Un’idea senza misure

Volantino distribuito in occasione di un convegno, tenutosi a Trento il 28 settembre scorso, sulla storia del movimento anarchico in Trentino tra Ottocento e Novecento.

UN’IDEA SENZA MISURE

Solidarietà a Massimo

Se c’è una storia sistematicamente oscurata, è senz’altro quella del movimento anarchico. Il danno che ne deriva è enorme, e non va a colpire solo quell’idea smisurata di libertà e giustizia che è l’anarchismo, ma la comprensione stessa dei fatti storici e sociali. Senza parlare di Malatesta o della “Machnovitcina”, del giornale “Cronaca sovversiva” o di Buenaventura Durruti, si può capire molto poco – solo per fare degli esempi – di cosa sono stati il biennio rosso e il montare del fascismo in Italia, la rivoluzione in Russia o la lotta di classe negli Stati Uniti – per non parlare della guerra di Spagna. Ben venga quindi un convegno sulla storia dell’anarchismo in Trentino e altrove – al quale peraltro prendono parte alcuni compagni che conosciamo e stimiamo. Tuttavia, se alla memoria del passato non si affianca una memoria del presente, questa storia rischia di insegnarci ben poco.

Colpito da un cumulo di sentenze definitive (a partire da una condanna per un’azione contro il TAV in Valsusa) e da una misura cautelare per un’iniziativa vòlta a denunciare la strage nelle carceri del marzo 2020 (con l’incredibile accusa di «estorsione con finalità eversiva» per il tentativo di far trasmettere un comunicato a una radio di Rovereto), il nostro amico Massimo Passamani – anarchico compagno di tante lotte in Trentino e altrove – si trova da quasi due anni agli arresti domiciliari. Di recente, il Tribunale di Sorveglianza di Trento ha rifiutato di concedergli la liberazione anticipata per aver pubblicato un testo sull’archiviazione dell’omicidio di Matteo Tenni (ucciso dai carabinieri ad Ala nel 2021). A detta dei giudici, quelle parole dimostrerebbero che Massimo non si è «ravveduto» e persevera nel suo essere «contro lo Stato».

Se non è certo la peggiore ingiustizia di questo mondo, l’evidente accanimento repressivo contro Massimo la dice lunga sull’èra in cui viviamo. Anziché mascherarsi dietro i soliti contorsionismi della giurisprudenza (come quelli che hanno permesso di condannare il nostro compagno Juan a 28 anni per un’azione contro una sede leghista che non ha provocato né morti né feriti), stavolta lo Stato, attraverso i suoi ermellini, parla chiaro: la colpa di Massimo è semplicemente di essere anarchico, e non perdere il vizio di pensare ad alta voce.

Che conclusioni trarne? Potremmo dire: una buona e una cattiva.

Quella cattiva è che, dopo due anni di terrore sanitario – tra runner inseguiti con i droni, apartheid vaccinale e digitale, linciaggi televisivi dei “no vax” e radiazioni di medici non allineati –, la censura ha fatto passi da gigante. Così lo Stato non si accontenta più soltanto di perseguire le azioni contro l’oppressione e lo sfruttamento (colpendo chi le appoggia apertamente), ma attacca le idee pericolose in quanto tali.

Quella buona è che – dopo anni in cui si poteva opinare a buon mercato più o meno su tutto – le idee di liberazione tornano ad avere un peso.

Mentre la follia tecnologica minaccia di sostituirci tutti con i nostri cloni robotizzati; mentre si avvicina un autunno di miseria; mentre l’ingordigia dei potenti rischia di trascinarci verso la guerra nucleare, non saranno certo le invocazioni alla «democrazia» o alla «sovranità popolare» a metterci al riparo dalla catastrofe. Mentre ci stringiamo a Massimo e Juan, lo diciamo apertamente: senza la rivolta, e senza un’idea smisurata di libertà e giustizia, da questo abisso non si esce.

Anarchici e anarchiche