Materia prima
Nel tecnomondo dell’innovazione permanente, persino i nanotubi di carbonio impiegati nei semiconduttori – cioè i fogli di grafene la cui scoperta è valsa al suo autore il Nobel nel 2010 – sono già un «metodo tradizionale». Un metodo che ha due inconvenienti: non può evitare le impurità (gli «atomi spazzatura») né la dispersione di energia, a meno che i nanotubi non vengano raffredati a temperature vicine allo zero assoluto.
Quali sono le nanotecnologie – cioè i “ponti” tra la materia organica e l’apparato digitale – più «performanti»? Come spiegava anni fa l’attuale ministro alla «transizione ecologica» Roberto Cingolani (in una conferenza dal titolo Nanotecnologie per l’essere umano), sono le nanotecnologie i cui componenti si avvicinano sempre di più alle caratteristiche del vivente. (Il transumanista Cingolani aggiungeva anche che la tecnologia non deve limitarsi a mimare miliardi di anni di evoluzione naturale, bensì superarne i limiti, permettendo all’uomo, ad esempio, di colonizzare altri Pianeti). Se i semiconduttori necessari all’elettronica di una futura auto a guida autonoma o di uno smartphone di nuova generazione o di un missile a controllo guidato fossero fatti di DNA, non sarebbero forse «ecologici»? Un recente studio pubblicato su “Science” dimostra che è possibile: «I biochimici Edward H. Egelman e Leticia Beltran propongono di utilizzare i filamenti di Dna per eliminare fastidiose impurità dai nanotubi e migliorare le capacità conduttive dei filamenti fatti di grafene» (“Ansa” del 4 agosto 2022). I due professori dell’Università della Virginia assicurano con entusiasmo che la loro scoperta «potrebbe rivoluzionare i metodi di produzione dei materiali». Non ne dubitiamo. Ecco il titolo della prossima conferenza al caffè delle tecnoscienze: L’essere umano per le nanotecnologie. L’organico come materia della macchina, la vita incapsulata nel «movimento autonomo del non vivente».
Negli stessi giorni altri ricercatori, questa volta dell’Università di Yale, pubblicavano anch’essi uno studio «rivoluzionario» su “Nature”. Per abbreviare i tempi già quasi azzerati tra ricerca e commercializzazione, lo studio ha anche il nome di un prodotto: OrganEx. Tema: «Ripristinare le cellule dopo la morte». Svolgimento: sperimentando sui maiali «una tecnologia che impiega macchinari simili a quelli usati per la circolazione extra-corporea e la somministrazione di sostanze protettive per le cellule», gli scienziati «hanno riattivato la circolazione sanguigna e alcune funzioni in organi essenziali per la vita a distanza di un’ora dall’ultimo battito cardiaco. I risultati, a detta degli autori dello studio sorprendenti, sono stati mantenuti fino a sei ore dopo l’esecuzione del trattamento». Lo stesso gruppo di ricerca nel 2019 aveva dato vita a BrainEx, un eseprimento riuscito che consisteva nel «ripristino dell’attività cellulare nei cervelli di maiali quattro ore dopo la loro morte». Da BrainEx, quindi, hanno sviluppato OrganEx, «un sistema di perfusione artificiale da utilizzare in tutto il corpo in grandi mammiferi, come i maiali». Nei suini coinvolti nello studio è stata indotta la morte per arresto cardiaco; un’ora dopo, alcuni di essi sono stati trattati con OrganEx, di cui sono stati valutati i risultati fino a sei ore dopo il trattamento. Gli esiti? «Sorprendenti». «“Siamo stati in grado di ripristinare la circolazione in tutto il corpo, il che ci ha stupito”, ha confermato il coordinatore Nedan Sestan». Gli autori dello studio «ritengono che OrganEx possa trovare diverse applicazioni nel futuro della medicina, come il mantenimento in vita degli organi subito dopo la morte cardiocircolatoria, che aumenterebbe la disponibilità di donatori per il trapianto di organi» (“Wired” del 4 agosto 2022). Del maiale, si sa, non si butta via niente. Con gli umani, invece, c’è ancora un grande spreco.
La mercificazione della vita raggiunge una nuova soglia quando travolge ogni distinzione tra l’organico e il macchinico, tra l’animale e l’artefatto, tra l’umano e il capitale.
Si può anche solo definire una prospettiva di emancipazione individuale e collettiva senza difendere un’idea non modificable di condizione umana?
La risposta a questa domanda non è un trastullo filosofico accademico, bensì una linea del fronte. A cui concorrono, dal lato nostro, tanto l’immaginario utopico quanto i filamenti di una ragione sensibile che tesse resistenza contro il dominio e alterità radicale dai suoi incanti. Che non tesse, insomma, contro se stessa:
Vita, morte,
la vita nella morte;
morte, vita,
la morte nella vita.
Noi col filo
col filo della vita
nostra sorte
filammo a questa morte.
E più forte
è il sogno della vita –
se la morte
a vivere ci aita
ma la vita
la vita non è vita
se la morte
la morte è nella vita
(Carlo Michelstaedter, Il canto delle crisalidi, 1909)