Fine del governo

«Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, ad ogni movimento, annotato, registrato, censito, tariffato, timbrato, squadrato, postillato, ammonito, quotato, collettato, patentato, licenziato, autorizzato, impedito, riformato, raddrizzato, corretto.

Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, braccato, tartassato, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale».

Di questo celebre passo de L’idea generale della Rivoluzione nel XIX secolo (1851) di Pierre-Joseph Proudhon, un aspetto soprattutto mi colpisce. Nel lungo, soffocante elenco di vessazioni che colpiscono i governati, gli atti propriamente governativi sono un’esigua minoranza. La maggior parte delle azioni nominate da Proudhon rinvia a una macchina di oppressione in cui lo Stato si confonde – o si integra, per dire meglio – con il capitale. Il «governo», insomma, coincide solo in piccola parte con il Governo.

Lo sviluppo tecno-militare degli ultimi centosettant’anni ha aumentato a dismisura, in estensione e in profondità, l’insieme delle coercizioni denunciate dall’anarchico francese. Quelle «catene di acciaio» (oggi anche, e soprattutto, di silicio) che stringono la vita individuale e collettiva continuerebbero a riprodursi anche se il Governo fosse sospeso. L’oppressione è ormai incorporata nella macchina sociale. Il che non significa affatto che essa proceda indipendentemente dall’attività della gran massa dei salariati; significa semplicemente che se questi ultimi continuano a fare oggi quello che facevano ieri, la macchina si riproduce da sola, tanto innervata è la costrizione materiale che pesa sulla vita di ciascuno e di tutti.

Ma c’è dell’altro. La macchinizzazione del mondo rende via via più veloci, autonomizzati e insieme più ingovernabili i suoi effetti. Più aumenta la possibilità di dominare (comandare, sottomettere, sorvegliare, indirizzare, manipolare, incutere soggezione ecc.) più decresce quella di governare (acquisire consenso, mediare tra interessi contrapposti, prevenire conflitti, evitare sprechi eccessivi, contenere i contraccolpi ecc.). Non è un problema da poco per i potenti: soprattutto se i sottomessi smettono di stare al loro posto – eventualità, questa, che cresce nella misura in cui quel posto diventa una sorta di «inferno climatizzato» (con energia razionata). E in cui aumenta la tendenza del sistema verso l’obsolescenza programmata degli umani (lo sfoltimento non risparmia nemmeno i piani alti).

Il 23 marzo del 2020, milioni di individui erano confinati nelle loro case per via di formali decreti governativi, notificati dai mass media, garantiti dalla potenza coercitiva dello Stato e affidati in gran parte a quella «forza di gravità sociale» che è l’imitazione individuale dei comportamenti collettivi. Quel giorno la New York Stock Exchange – la più grande Borsa del mondo – ha funzionato regolarmente senza alcun operatore “umano”: il mercato azionario è stato interamente gestito dai robots traders, cioè da «un sistema di speculazione automatizzato, high tech e ultra-rapido». Un sistema a cui si deve ormai il 70% delle transazione mondiali e più del 40% del valore dei titoli scambiati. Le macchine integrano nei loro processi di calcolo enormi volumi di dati del tutto extrafinanziari (come le immagini satellitari che seguono in “tempo reale” l’attività di un gruppo industriale, la fluidità della catena logistica, gli “umori” dei mercati espressi sulle reti dette sociali…). Anche per questo la parola «governo» viene sostituita sempre più spesso con governance (nell’Università del North Carolina s’insegna una materia dal promettente successo: Logistical Governance).

Come si può facilmente capire, chi possiede o anche solo programma tali strumenti di potenza (dai grandi fondi di investimento alla schiera di ingegneri che ne garantisce l’infrastruttura tecnica) non è minimamente interessato a governare gli effetti della propria attività (bisogna che lascia volentieri agli ex agenti dei servizi segreti, ai proprietari di canali televisivi o ai comici). Ha bisogno, questo sì, di uno Stato forte, cioè di un gendarme e di un organizzatore complessivo.

I dirigenti di questa società vivono da tempo nel futuro preconizzato da Auguste Comte: superato il «governo degli uomini», si dedicano con profitto «all’amministrazione delle cose» («intelligenti» e connesse).

Ma siccome la macchinizzazione del mondo provoca catastrofi ambientali sempre meno occultabili; e la feroce concentrazione dei poteri spinge inesorabilmente alla guerra tra Stati, governare la macchina sociale è tanto più velleitario quanto più diventa drammaticamente necessario per i suoi proprietari.

Ci sono oggi più probabilità di sovvertire questo mondo che di governarlo. Dicendo questo non pecchiamo certo di ottimismo. Affermiamo solo che qualsiasi ipotesi di riformare, di normare, di porre limiti alla distruzione degli umani e della Terra equivale, come disse il poeta, a mettere ordine in un porcile.

Alcuni «esperti» sostengono che un’Intelligenza Artificiale «forte» i cervelli macchinici in uso oggi sono considerati evidentemente ancora «deboli» tenderebbe a prendere come «migliore decisione per proteggere l’ambiente» quella di sopprimere coloro che lo stanno distruggendo: gli esseri umani in quanto tali (che gli sfruttati non abbiano al riguardo le stesse responsabilità degli sfruttatori è problema troppo complesso per gli algoritmi). Come noto, il problem solving non va per il sottile. Più smisurati si fanno i calcoli e i mezzi a disposizione, più soccombono, insieme ai giudizi di valore, anche i soggetti in grado di formularli. La politica è antiquata.

Queste sono le ragioni storiche, strutturali per cui il Banchiere si è dimesso da presidente del Consiglio pur avendo la maggioranza assoluta in Parlamento. Ci sono senz’altro ragioni contingenti: un autunno-inverno di lacrime e sangue, con una possibile ripresa del conflitto sociale; un default per l’impresa-Italia sul modello della Grecia (che i giornali della borghesia tedesca chiamano con malcelato eufemismo «tempesta perfetta»); altri incarichi internazionali più appetibili – dove appunto si comanda senza dover governare).

Lubrificato per bene il «pilota automatico», al Governo possono andare i semi-scarti della selezione capitalistica e tecnocratica. Finché gli uomini-cose si lasceranno governare. Cioè addestrare, taglieggiare, sfruttare, monopolizzare, concutere, spremere, mistificare, derubare…