Viva la vita, muoia la morte

Testo letto durante l’assemblea pubblica dallo stesso titolo, tenutasi il 3 aprile in una piazza di Polizzi (Palermo).

Se siamo ancora qui in piazza, è perché ci siamo fatti una promessa: MAI PIU’ staremo a guardare, passivi, i disastri del mondo.

Dall’ultima presenza in piazza niente è migliorato e le nostre angosce interiori vengono confermate dai quotidiani notiziari degli orrori di guerra, di fronte ai quali non arretra di un passo il cinismo spietato delle classi dominanti: corsa al riarmo, 109 mln di euro di spesa militare giornaliera in Italia, escalation dell’opzione nucleare; mentre il carovita, la compressione delle spese sociali, i 3 morti sul lavoro al giorno, sono il bollettino dell’altro fronte, quello della guerra sociale che attraversa la vita di noi che stiamo in basso, che subiamo le scelte dei Palazzi.

Eppure ci sono pure le buone notizie che non sono quelle che piovono dall’alto ma che, al contrario, sbocciano dal basso come i fiori: i blocchi dei lavoratori del porto di Genova e dell’aeroporto di Pisa dei carichi di armi camuffati da aiuti umanitari, le occupazioni universitarie a Roma contro la Guerra e l’invio di armi, sono bagliori nella notte che scaldano il cuore.

Questi gesti ci ricordano che per quanto la sproporzione di forze sia tutta a vantaggio di chi comanda e decide della vita e della morte dei propri simili, questa sproporzione può essere ribaltata, se facciamo buon uso di quello che non ci possono togliere: la coscienza, l’intelligenza, la determinazione ad agire.

Se l’apparato militare-industriale detiene mezzi tecnici di formidabile potenza e letalità, noi che non abbiamo e non vogliamo il potere di ammaccare il pulsante che possa decidere la fine di tutta la vita, non possiamo che fare il migliore uso possibile della nostra umanità per combattere un Sistema che – mentre si sostiene (volentieri) su guerra, colonizzazione, sfruttamento di gran parte degli umani – rischia, per incidente, di eliminarla tutta, l’Umanità.

E se c’è chi si stupisce che le piazze non siano piene della ribellione contro l’ingiustizia, che la coscienza sociale non sia all’altezza delle sfide attuali, è perché ha dimenticato i colpi che ci sono stati inferti in questi ultimi anni di pandemia. Veniamo da due anni in cui la guerra al virus ha mascherato (e continua a mascherare) la vecchia guerra di classe – fatta a senso unico da Confindustria & Co, la guerra a tutti i pensieri diversi, ai momenti e ai tessuti collettivi non immediatamente riconducibili alla produzione, al consumo e al controllo sociale (poliziesco).

La costruzione di momenti come questo serve per ricomporre le nostre coscienze frantumate, per rifiutare l’apologia dell’isolamento che, lungi dall’essere un mezzo sanitario, è in realtà l’obiettivo permanente di chi è al potere. L’isolamento, la continua gestione emergenziale militare e autoritaria, la repressione di qualsiasi movimento di lotta e di protesta, è la situazione perfetta per imporre qualsiasi progetto. E infatti: depositi di scorie radioattive, ritorno del carbone, spesa militare alle stelle, TAV e 5G, rilancio del nucleare, sdoganamento delle tecniche di ingegneria genetica etc. Tutte queste cose possono passare molto più facilmente se non siamo in grado di autorganizzarci per tentare di fermare il mostro che avanza.

La situazione in cui ci troviamo è particolarmente delicata: mai nella storia, come ora, organizzazione della produzione e organizzazione della distruzione sono state così collegate. Tutto ciò che mangiamo, che indossiamo, che usiamo, porta in grembo una certa dose di violenza: guerra alla natura e agli ecosistemi, guerra alle popolazioni e super sfruttamento dell’uomo sull’uomo, tendenza al genocidio delle culture altre – quelle che più potrebbero suggerirci vie d’uscita.

La società nata dalla rivoluzione illuminista, diventata subito tecno-industriale, ci sta portando in un vicolo cieco, anche se tutti possiamo vederlo.

Curarci le ferite, combattere i piani di chi domina e stermina e aprire varchi a possibilità inedite, reinventando il come si vive, è necessario e giusto.

Non solo: può essere l’occasione per un’avventura vissuta insieme, disertando l’infelicità in cui ci sprofonda questa “vita” da isolati e schermo-dipendenti.

Scrivevamo due anni fa su “Scirocco”: “auspichiamo la nascita di tanti comitati di autodifesa popolare quante saranno le emergenze sociali che si verranno a creare: problemi sul lavoro o sulla casa, bollette troppo care etc. Questi comitati dovrebbero nascere sulla base di una critica pratica della delega ai partiti, alle istituzioni, ai sindacati”. Oggi non basta, oggi dovrebbero indicare anche verso quale modo di vivere vogliamo andare.

Queste Assemblee pubbliche possono e vogliamo che siano strumento e occasione per tutto questo.

Perché l’assemblea, l’organizzazione orizzontale della solidarietà, è per la tradizione degli oppressi – con una prospettiva etica rovesciata – quello che l’isolamento competitivo degli individui è nella tradizione degli oppressori: mezzo per organizzarsi ma anche fine in sé. Per noi è un piccolo assaggio della vita per cui ci battiamo, della vita che potrebbe essere, della vita che ci batte in petto: una promessa di mondo che si mantenga da subito.