Comunicati e testi di solidarietà riguardo l’ultima operazione repressiva in Trentino

Notifiche

Sulle ultime misure cautelari

In quest’epoca di falsificazione totale (“dei fatti e delle notizie complici dei fatti”), certe parole della nostra quotidianità dicono, involontariamente, il vero. “Notifica” è una di queste. Che il termine esprima contemporaneamente l’ingiunzione algoritmica che arriva sullo smartphone e l’atto poliziesco-giudiziario con cui si viene multati o sottoposti a misure cautelari, ecco qualcosa che ci informa assai bene sul mondo in cui viviamo.

L’ultima operazione in Trentino – talmente bislacca da non meritare nemmeno uno di quei nomi con cui reparti speciali dei carabinieri e polizia politica esprimono le loro velleità letterarie – contiene alcuni elementi che meritano di essere conosciuti.

Il primo riguarda le modalità di esecuzione. Non ci era mai capitato di vedere arrivare otto pattuglie di poliziotti in borghese e con il volto coperto per notificare… un obbligo di dimora a una compagna, senza nemmeno una perquisizione domiciliare al seguito.

Altra novità relativa – in quest’epoca così ricca di innovazioni – è che tre procedimenti distinti e distanti nel tempo compaiano nella stessa ordinanza, senza il solito collante di un qualche reato associativo. Tre procedimenti distinti potrebbero sì portare alle stesse misure cautelari, ma farebbero perdere il senso e il gusto dell’Operazione.

Le tecniche con cui si cerca di attribuire a un compagno la paternità dell’attacco contro il tribunale di sorveglianza di Trento avvenuto il 28 gennaio del 2014 non sono nuove (comparazione di presunte tracce di DNA e analisi linguistica del comunicato di rivendicazione). Inedito è invece il passaggio storico in cui si inseriscono gli accenni alle perizie genetiche contenuti nell’ordinanza; perché nel frattempo gli strumenti scientifici utilizzati sono diventati familiari a milioni di persone. Per “rilevare i valori di concentrazione di DNA” si è “proceduto alla reazione di amplificazione delle regioni genetiche (Polymerase Chain Reaction – PCR)”. Chissà, forse prima di dare del “paranoico” e del “complottista” a chi teme che grazie ai “tamponi” per il tracciamento del Covid-19 si stia realizzando la più vasta schedatura genetica della storia, beh, forse vale la pena di pensarci due volte. Ma non divaghiamo.

Il potere dello Stato e i profitti del capitalismo hanno bisogno di assegnare a ogni individuo un’identità, per decenni anagrafica e oggi anche digitale. È di conseguenza normale che vengano colpiti coloro che cercano di sfuggire all’identificazione, falsificando delle carte d’identità oppure, di questi tempi, un lasciapassare fondato sul QR code. Se poi degli anarchici, già condannati per fabbricazione di documenti falsi, sono accusati di aver favorito con tale pratica la latitanza di un altro compagno, allora sbirri e inquirenti cercheranno di ricamarci sopra fin dove riescono, aggiungendo alla condanna un ulteriore obbligo di dimora per tenerli lontani dalle proprie relazioni affettive e di lotta.

Sull’ultima misura, invece, vale la pena di soffermarsi un po’ di più. Perché qui, in fatto di “uso creativo del Diritto”, i magistrati sono stati forti, non c’è che dire. Per apprezzare tutte le finezze della Procura, occorre fare un esercizio di memoria del presente.

Metà aprile del 2020. Milioni di persone sono agli arresti domiciliari per decreto del presidente del Consiglio; possono uscire solo se munite di “autocertificazione” e solo per “attività essenziali”. Nelle settimane precedenti, lo Stato ha ammazzato quindici detenuti, pestato e torturato centinaia di prigionieri (le violenze poliziesche nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, finite mesi dopo alla ribalta mediatica, in quei giorni sono già note nei vari ambiti solidali). Un gruppetto di compagni e compagne – che non vogliono starsene buoni in casa – si interroga su come rompere il silenzio attorno alle rivolte e alla strage. A chi parlare, in città deserte che evocano scenari post-atomici? Cosa fare perché anche altri umani se ne accorgano? L’idea non è certo un colpo di genio, perché è già stata realizzata altre volte sia in Italia che all’estero, ma ha un suo senso: visto che la gente è chiusa in casa, si può trasmettere un comunicato da una radio piuttosto ascoltata.

Il tentativo non riesce, per ragioni che non è di grande interesse raccontare.

Quasi due anni dopo quell’episodio a cui nessuno pensava nemmeno più, un compagno, già agli arresti domiciliari, viene perquisito per “il tentativo di imporre una programmazione radiofonica coerente con le proprie ideologie”, indagato e sottoposto alla misura della detenzione domiciliare per “tentata estorsione”, aggravata dalle “finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”. Perché mai “estorsione”? Qui arriva il primo pezzo forte. Seguite il sillogismo, perché è notevole. Una radio commerciale offre i propri spazi a pagamento. Se qualcuno pretende di trasmettere un comunicato senza pagare, questo qualcuno arreca un “danno patrimoniale” al proprietario della radio (privato del suo diritto a vendere quello spazio radiofonico a chi desidera), ed esercita su di lui una “estorsione contrattuale” (perché questi potrebbe perdere clienti che non gradiscono i contenuti espressi in quel comunicato). Il precedente giurisprudenziale citato è una sentenza contro un Tizio che ha imposto al gestore di un locale di farsi assumere come buttafuori. Solo un sovversivo non troverebbe, tra le due “fattispecie di reato”, una inequivocabile medesimezza.

E le finalità terroristiche? Uno dirà: il contenuto istigatorio del comunicato. No. L’eversione dell’ordinamento democratico consiste nella limitazione della libertà di espressione del proprietario della radio, dal momento che le sue opinioni differiscono dalla “idelogia anticarceria dell’imputato”. Perché, ci ricordano i PM, tre sono i pilastri su cui si fonda l’ordine costituzionale: la libertà di espressione, la libertà di movimento e quella di associazione. Che l’episodio in questione sia avvenuto in pieno confinamento – in quelle settimane, cioè, durante le quali la sola libertà autorizzata era quella di cantare sui balconi, preferibilmente l’inno nazionale – aggiunge poi quel tocco ubuesco che non guasta mai. Insieme all’umorismo di scrivere che la mascherina sul volto fosse – da parte del nostro “estorsore” – un tentativo di “travisamento”…

Qual è la morale della storia? Per quanto ci riguarda, sempre quella.

La solidarietà è il sentimento più prezioso tra gli umani. Nel nostro mondo, che è il rovescio di quello arrovesciato del potere, rischiare per i propri compagni o per degli sfruttati che nemmeno si conoscono, è qualcosa di cui andare fieri.

Quanto ai tribunali di sorveglianza, l’essenziale è già stato scritto nel manifesto uscito il giorno stesso dell’attacco alla sede di Trento, e che riportiamo di seguito.

 

Di respirare la stessa aria
A proposito dell’attacco al tribunale di sorveglianza di Trento

Questa mattina all’alba, nei locali del tribunale di sorveglianza di Trento, circolava l’aria.
Qualche anonimo, verso le 5,00 (orario in cui nessun passante poteva venir coinvolto), aveva fatto esplodere una pentola a pressione con dentro una bomboletta di gas, distruggendo lamiere e vetrate.

Questa volta non abbiamo letto la notizia sui giornali, ma sul verbale di perquisizione della Digos. A metà mattina, infatti, la polizia politica si è presentata in quattro appartamenti di compagne e compagni, perquisendo poi anche gli spazi anarchici El Tavan di Trento e La nave dei folli di Rovereto. Con il solito articolo 41 Tulps: “ricerca di armi ed esplosivi”.
La notizia delle perquisizioni è uscita in “tempo reale” sui quotidiani in rete, ma non da sola. In una manciata di ore, Cgil, Cisl e Uil avevano già steso un comunicato di condanna dell’attentato e di solidarietà ai magistrati. E poi, nell’ordine, videointerviste e comunicati del presidente della Provincia, del presidente del Consiglio provinciale, del Procuratore capo della Repubblica, del presidente del tribunale di sorveglianza e di svariati politici. Persino il Consiglio provinciale si era aperto in mattinata con un discorso di condanna del gesto e di solidarietà ai magistrati (e già che c’erano, anche alla Lega Nord, di cui qualche notte fa sono andati in frantumi i vetri della sede). Insomma un coro di unanime, immediato e solerte servilismo.
Non ci interessa sapere chi ha compiuto l’azione contro gli uffici giudiziari. Ciò che sappiamo per esperienza è che il tribunale di sorveglianza e i suoi magistrati sono l’istituzione e le figure più odiate dai detenuti e dai loro familiari. Questi funzionari hanno trasformato in premio ciò che dovrebbe essere automatico per migliaia di prigionieri: la concessione dei giorni di liberazione anticipata e di misure cosiddette alternative al carcere.
Dietro gli atti di autolesionismo o i suicidi in prigione c’è spesso proprio una decisione forcaiola di un magistrato di sorveglianza. Dietro le botte delle guardie c’è la sua protezione togata. Non ci risulta che politici e sindacalisti siano così solerti a condannare i pestaggi dei secondini o i provvedimenti staccacollo ai danni dei poveri in cui consiste il “lavoro” dei magistrati.
Questa mattina all’alba, nei locali del tribunale di sorveglianza, circolava l’aria.
Scommettiamo che in carcere, quando è arrivata la notizia, si è festeggiato.
Lo abbiamo fatto anche noi, a dispetto di Digos, magistrati, politici e sindacalisti.

28 gennaio 2014
anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto


Da Bologna :

CHE LA PAGHINO TUTTA

Opposti imperialismi riportano la guerra sul suolo europeo. Una gestione militare della pandemia lascia sul campo morti e sofferenze psichiche, ridisegnando il corpo sociale attraverso una pedagogia del ricatto e della costrizione. Il nazionalismo prende sempre più forza, al fine di compattare il corpo sociale in vista di una nuova austerità che si affaccia alle porte.
La ripresa economica, ovvero il profitto del padronato, in una società stravolta rimane l’obiettivo ultimo da perseguire. Nonostante il carovita, nonostante una sanità allo sfascio, nonostante l’ambiente. Nonostante tutto insomma.
I luoghi di lavoro sono sempre più irregimentati e non garantiti, gli stipendi inadeguati e insindacabili. Le carceri si affollano.
Ampi strati sociali vanno impoverendosi e proletarizzandosi.

Mentre tutto ciò avviene e perché tutto ciò possa avvenire, lo Stato nostrano continua a colpire, senza sosta, chi da anni non fa mistero della propria ostilità al potere e alle sue endemiche violenze: tre misure cautelari, tra carcere, domiciliari e obblighi di dimora, sono state notificate il 25 febbraio a compagni/e anarchici/e per non essersi resi domi nonostante le già pesanti batoste repressive subite negli ultimi anni.
Tra loro, Juan, compagno anarchico già in carcere dal 2019, con l’accusa di strage per un attacco alla sede della Lega Nord di Treviso, è stato accusato di un attentato al tribunale di sorveglianza di Trento avvenuto nel 2014; Massimo, già agli arresti domiciliari, è stato accusato di tentata estorsione con finalità di terrorismo, per essersi introdotto nella sede di una radio per leggere un comunicato in solidarietà con i rivoltosi delle carceri di tutta Italia nel 2020, in seguito alla strage compiuta nelle galere dallo Stato; Agnese e Stecco, dopo anni tra carcere, domiciliari e obblighi di dimora in seguito all’operazione “Renata” sono stati nuovamente messi all’obbligo di dimora, per procurata inosservanza della pena e falsificazione di documenti, in relazione alla latitanza di Juan.
Ci teniamo a nominare questi compagni e compagne, perché sono pezzi di cuore, perché ne conosciamo la generosità e la determinazione. Perché di fronte a tutto quello che sta avvenendo in questo mondo, non si sono mai girati dall’altra parte e non hanno perso mai lo spirito della solidarietà tra sfruttati, tra ribelli.
Lo facciamo vieppiù perché, in un mondo “sempre più ingiusto e irrespirabile”, la loro lotta e le accuse mossegli ci testimoniano come della poca libertà che ci rimane, anziché farne un labile privilegio che ci tenga al riparo dalla tenaglia di questi maledetti, si può farne una leva che dei loro meccanismi spacchi gli ingranaggi. La devono pagare tutta. Sta a noi far sì che questo accada.

SOLIDARIETA’ CON JUAN, AGNESE, MASSIMO E STECCO E CON TUTTE LE PRIGIONIERE E I PRIGIONIERI ANARCHICI

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Volantino distribuito durante l’iniziativa “Per chi sente il ticchettio”  (su gestione pandemica, emergenza e guerra) svoltasi a Catania il 3 marzo scorso.

 

Solidarietà ai compagni e alle compagne trentini

Per un’Internazionale dei cuori ardenti

Il 25 febbraio, il giorno in cui il governo Draghi non ha fatto mancare il suo contributo alla guerra sul “fronte esterno”, mandando 1400 soldati italiani per conto della Nato, la magistratura non ha fatto mancare il suo contributo alla guerra sul “fronte interno”, reprimendo alcuni nemici di tutti gli eserciti, generosi compagni che per anni hanno alimentato con passione la critica al militarismo e al mondo che lo produce.

L’inchiesta ha prodotto quattro misure cautelari: due arresti, uno in carcere e uno ai domiciliari, e due obblighi di dimora.  Se non ci aspettiamo certo né una ragionevolezza né un etica che ci accomunino con i signori della Procura, neppure si può rimanere indifferenti rispetto all’intensificazione della logica inquisitoriale e del nemico interno a discapito di ogni altra logica umana, anche di quella giuridica, cui questi soggetti dovrebbero ottemperare. Dall’accrocchio di carte tribunializie affiorano fatti reato tra i più disparati, sia sul piano temporale – azioni del 2014 insieme a fatti recenti, sia sul piano della tipologia delle azioni e dei contesti di lotta all’interno dei quali queste sono maturate. In questo teatro dell’assurdo, brilla per fantasia l’accusa di “Tentata estorsione con finalità di terrorismo” per un compagno che, insieme ad altri, nell’aprile 2020 aveva occupato una radio locale per leggere un comunicato di solidarietà ai detenuti in rivolta (rivolta poi stroncata nel sangue, con quindici morti tra i prigionieri).
Una cosa è certa, nel mondo degli algoritmi, del “tutti isolati” e del totalitarismo del pensiero binario, chi persegue la solidarietà tra sfruttati è un nemico e come tale lo Stato lo tratta.

Soprattutto in un periodo in cui questa solidarietà degli oppressi contro gli oppressori potrebbe prendere lo slancio e la forma del sabotaggio, dell’azione diretta contro l’apparato bellico, di una vasta mobilitazione contro la guerra degli Stati.

Se abbiamo stampato degli opuscoli di questi compagni e compagne, è perché, in questo modo, è un po’ come averli qui tra noi.

E, anche, perché le loro parole e i loro gesti sono fionde con cui rompere la cappa che si sta creando di un “nazionalismo occidentale allargato” a firma NATO.

Buona lettura!

 


Da Trieste:

 

Veniamo a sapere dell’ennesima operazione repressiva contro anarchiche e anarchici del trentino: con i soliti pretesti da burocrati giudiziari, vengono comminate 4 misure cautelari, su fatti la cui unica congiunzione sembrerebbe la lotta anticarceraria.

Oltre le squallide motivazioni degli oppressori e del sistema che li difende, sappiamo intravedere, ancora una volta, i fili della vendetta di stato contro chi lotta e non si pacifica nello stato di guerra in cui siamo. Rinchiudere, e rinchiuderci, è ormai l’obiettivo neanche troppo celato.

Un caloroso abbraccio alle persone colpite da questa ennesima operazione. Solidarietà e complicità con chi lotta!

Alcuni/e compagni/e di Trieste – Collettivo Tilt

 


 

Contro il carcere e le sue strutture: la nostra ostinazione, determinazione, solidarietà

Solidarietà con gli anarchici coinvolti nell’operazione repressiva del 25 febbraio

Il 25 febbraio – a distanza di poco più di tre mesi dall’ultima ondata di perquisizioni e misure restrittive, risalenti all’11 novembre con l’operazione “Sibilla” – è avvenuta un’operazione repressiva contro dei compagni anarchici ad opera delle forze di polizia e della procura di Trento nelle figure dei pubblici ministeri Raimondi, Ognibene e Profiti. Stando a quanto apprendiamo, non sarebbero state effettuate perquisizioni ma esclusivamente notificate quattro differenti misure restrittive contro altrettanti compagni, in quanto ritenuti responsabili di fatti ed eventi differenti verificatisi tra il 2014 e il 2020.

I quattro compagni sono accusati di tre fatti. Juan Sorroche, arrestato il 22 maggio 2019 e già recluso nel carcere di Terni, ha ricevuto un’ulteriore ordinanza di arresto in carcere con l’accusa di atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi: secondo le forze repressive sarebbe responsabile della collocazione ed esplosione di un ordigno all’ingresso del Tribunale di sorveglianza di Trento nella notte del 28 gennaio 2014. Massimo, che ha già trascorso i recenti mesi agli arresti domiciliari, si trova nuovamente destinatario della stessa misura restrittiva, stavolta con l’accusa di tentata estorsione con l’aggravante della finalità di terrorismo: insieme ad altri avrebbe provato a convincere il responsabile di una radio a leggere in diretta un testo in solidarietà con i detenuti durante le rivolte e i successivi massacri avvenuti nelle carceri italiane nel marzo del 2020. Per una compagna e un compagno è stato disposto l’obbligo di dimora nel comune di domicilio con l’accusa di procurata inosservanza della pena: secondo le forze repressive, tra il 2017 e il 2018 avrebbero sostenuto la latitanza di Juan fornendogli dei documenti d’identità falsi e una abitazione. I compagni non sono indagati per alcun reato “associativo”, come l’associazione sovversiva o a delinquere, ma solo per queste specifiche accuse.

Ad una prima lettura dei fatti, ci pare che questa operazione repressiva abbia due “fili conduttori”. Da una parte la lotta – ineludibile per ogni nemico dell’autorità – contro il carcere, l’apparato giuridico-legislativo, le sue strutture: in questo terreno si poneva, ad esempio, l’importante azione contro quell’istituzione infame che è il Tribunale di sorveglianza. Un bagliore nel buio della notte, un bagliore che illumina le responsabilità di chi conduce l’apparato carcerario, quella magistratura e quei benpensanti che blaterano di violenza, mentre – come scrivevano gli anonimi compagni che realizzarono l’azione – «la nostra violenza rispetto a quella della magistratura e dell’apparato è poca cosa […]. Non siamo ipocriti come voi, ci rivendichiamo la violenza anche contro le persone che sono responsabili di tutto questo». Ma non solo, anche la latitanza di Juan, in quanto radicale espressione di autonomia di pensiero e d’azione, di insubordinazione contro ogni reclusione, contro ogni sentenza che mai potrà rinchiudere l’anelito di chi sogna la libertà, è stata espressione della lotta che da sempre gli anarchici hanno condotto contro il carcere e le sue istituzioni, apparati imprescindibili per ogni organismo statale. Dunque inevitabile è il fatto che venga colpita la solidarietà con i detenuti che nel 2020 hanno dato vita alle spesso fragorose rivolte che hanno giustamente devastato intere sezioni dei penitenziari, con i compagni che strenuamente e coraggiosamente si sottraggono alla mannaia della giustizia, con chi dentro le carceri non è disposto a chinare la testa, e per questo viene torturato, massacrato, ucciso.

Dall’altra parte, il secondo filo conduttore che vediamo in questa operazione repressiva, riguarda quella che riteniamo sia la specificità repressiva propria della costante offensiva che lo Stato pone contro di noi. Nel contesto di questa specificità, i compagni che già si trovano reclusi o sotto altre misure restrittive sono sempre più colpiti da ordinanze di arresto o coinvolti in indagini, in parte nel tentativo di prolungare (o rinnovare, se “scaduta”) la loro carcerazione e in parte perché le indagini operate dalle varie procure sono incessanti. Ad esempio, Juan e un altro compagno anch’esso arrestato nel maggio 2019 e processato con l’accusa di averne sostenuto la latitanza sono già indagati dal 2017 in un procedimento inerente l’attacco esplosivo contro la scuola di polizia di Brescia nel 2015, un’indagine con cui la procura bresciana sta cercando in tutti i modi di “scovare” un responsabile; mentre il compagno e la compagna destinatari questa volta dell’obbligo di dimora sono stati già arrestati il 19 febbraio 2019 per l’operazione “Renata”, dispiegatasi principalmente in Trentino, e successivamente condannati a 2 anni di carcere a testa per produzione di documenti falsi (vediamo ora come questa accusa si ripresenti in relazione alle indagini riguardanti la latitanza di Juan, sebbene senza l’aggravante della finalità di terrorismo, presumibilmente rimossa in quanto già “decaduta” durante il processo di primo grado di “Renata”).

Ora, noi non siamo sostenitori della tesi secondo cui, partendo dalla repressione contro il movimento anarchico, lo Stato intenda successivamente estendere l’utilizzo di varie misure restrittive e il dispiegamento di periodiche retate poliziesche contro la società intera, o contro determinate componenti sociali. Nemmeno riteniamo che queste operazioni repressive abbiano un qualsivoglia carattere di “eccezionalità”, anzi. Al contrario, riteniamo che (ancora di più in questo periodo storico) esista, appunto, una specificità repressiva operata dallo Stato contro i compagni che manifestano concretamente una disponibilità rivoluzionaria sul terreno della lotta. Perciò per comprendere la natura di queste “ondate” repressive, e per non cadere in suggestioni “emergenzialiste” o evocative di una presunta “eccezionalità” della situazione, riteniamo occorra tenere sempre bene a mente questo concetto.

Lo Stato ci attacca perché è attaccato, perché ci sono compagni che agiscono, perché c’è ancora qualcuno che – nella disgustosa desolazione di questi tempi – si ostina a sognare la libertà integrale per gli individui, per gli sfruttati, ponendo le basi materiali per la lotta rivoluzionaria anarchica. Ai compagni colpiti da questa operazione repressiva va la nostra solidarietà. Contro queste operazioni repressive, contro tutti i carcerieri, contro il carcere, le sue strutture materiali e ideologiche, opponiamo la nostra ostinazione, determinazione, solidarietà.

Anarchici

[Pubblicato in “Bezmotivny”, quindicinale anarchico internazionalista, anno II, numero 5, 7 marzo 2022]


Da Milano:

 

Il 25 febbraio 2022 sono state notificate delle misure cautelari ad alcuni compagni e compagne in trentino: una custodia in carcere, un arresto domiciliare e due obblighi di dimora.

I fatti specifici riguardano un’azione avvenuta contro il tribunale di sorveglianza nel lontano 2014, un tentativo di incursione in radio per portare solidarietà ai rivoltosi del carcere di Modena nel marzo 2020 e l’aver favorito la latitanza di un compagno.

L’attacco da parte dello stato appare sempre più evidente e continuo, nel tentativo specifico di fiaccare gruppi di compagni e compagne ed eradicare ogni esperienza di organizzazione e lotta. Anche per questo è stata proprio la solidarietà a finire al centro di molte inchieste: sostenere una lotta o un’azione specifica o il provare a farne eco viene ascritto alla voce terrorismo del codice penale.

Ci sembra dunque ancora più importante esprimere la nostra solidarietà ai compagni/e inquisiti/e, convinti che attaccare lo stato non solo sia giusto, ma urgente e necessario e che nel farlo non lasceremo solo/a chi viene colpito dalla repressione.

Pensiamo sia necessario rilanciare le lotte sempre più messe al centro delle recenti inchieste.

Scenderemo quindi in piazza a Milano il 16 marzo nel corteo in memoria di Dax in particolare per portare solidarietà a Juan, accusato di strage per aver posizionato un ordigno davanti alla sede della lega nord di Treviso e nuovamente inquisito in questa ultima inchiesta.

Convinti che sia giusto attaccare le sedi dei ‘nuovi’ fascisti. Stragista è lo stato!

Tutti liberi, tutte libere. Fuoco alle galere!

Galipettes occupato Milano

Il nostro sangue il loro profitto, per Lorenzo, Adil e tutte le persone morte di lavoro: Dax odia ancora!

16 MARZO 2003 – 2022 Milano

Via Brioschi – angolo Via Zamenhof

ORE 20:00 PRESIDIO

ORE 21:00 CORTEO


 

Da Padova:

 

Apprendiamo che quattro compagni anarchici di Rovereto sono stati colpiti dalla repressione con accuse di favoreggiamento, 270 bis e 280 [in realtà si tratta di 280 bis; non viene contestato il 270 bis – “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” –, bensì l’aggravante di “terrorismo” per due episodi].

Conosciamo questi compagni per la loro militanza, per il loro impegno, per la loro costanza e determinazione nella lotta di classe contro lo Stato borghese che li hanno caratterizzati in tanti anni di presenza sul territorio.

Non esitiamo quindi a schierarci al loro fianco contro i tentativi dello Stato di annichilire chi si pone sul terreno dello scontro per farla finita con questa società basata sullo sfruttamento e sulla guerra.

Lo Stato ha da tempo dichiarato guerra ai lavoratori, agli studenti a chi si oppone ai sistemi di discriminazione e controllo come il Green Pass. Così come in tempi di guerra aperta, come sta accadendo circa la questione Ucraina, tramite la repressione e una propaganda servile, falsa e tesa a formare il pensiero unico vuole assemblare la massima coesione interna per muovere venti di aggressione servendo quella compagine guerrafondaia e nemica dei popoli che è la NATO.

AL FIANCO DEI COMPAGNI COLPITI DALLA REPRESSIONE!

PER UNA SOCIETÀ SENZA PIÙ GUERRE, CLASSI E SFRUTTAMENTO!

NON UN EURO, NON UN SOLDATO DALL’ITALIA PER LA GUERRA IN UCRAINA!