Apocalisse o insurrezione (III)

Guerra alla guerra dei padroni

Contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale (L. Galleani).

Alle ore 3.58 del 24 febbraio l’esercito russo ha iniziato l’invasione dell’Ucraina, avanzando rapidamente con i battaglioni corazzati con celeri manovre a tenaglia in direzione di Kiev. Contemporaneamente a ciò, l’aviazione e i missili russi supportano l’avanzata di terra con bombardamenti sulle principali città ucraine e sui principali siti di difesa aerea del militarismo ucraino, ottenendo sin da subito la superiorità aerea sull’intero teatro di operazioni militari. Battaglioni di paracadutisti e mini sbarchi di forze speciali occupano velocemente i centri nevralgici del Paese dietro alle linee dell’esercito ucraino. Contemporaneamente il militarismo degli Stati occidentali si mette in moto e nuove truppe di terra partono per rafforzare i confini del “fronte est”, terre di espansione dei capitalismi europei e della superpotenza statunitense da ormai trent’anni, come i Paesi balcanici e i paesi baltici. Ex colonie del capitalismo di Stato sovietico ed ora del padronato franco-tedesco e occidentale. La mobilitazione dei capitalismi occidentali prosegue per aria e per mare, mentre nuove armi vengono inviate da alcuni Stati europei, dal capitale USA e da quello britannico del neonato Empire 2.0 all’esercito e ai padroni ucraini, verso quella che è de facto una nuova guerra, per il momento solo “per procura”, in Europa. Una guerra “da manuale”, che segue le dottrine strategiche del “rullo compressore” di sovietica memoria, basato sulle concezioni della vecchia Blitzkrieg nazista. Gli attacchi militari sono avvenuti in diverse città strategiche come Kharvik, Odessa, Kiev. Il presidente ucraino Zelensky ha annunciato l’introduzione della legge marziale nel Paese. Centinaia di sfruttate e di sfruttati si stanno combattendo e stanno morendo sugli opposti lati del fronte per difendere gli interessi dei propri padroni e dei propri Stati. Centinaia ne stanno morendo sotto le bombe nelle città e nei villaggi. Da un lato e dall’altro della barricata le sanzioni verso lo Stato russo, come gli effetti inflazionistici e speculativi del mercato delle materie prime, andranno a colpire esclusivamente le condizioni di vita del proletariato. Questa è l’economia capitalistica che nella guerra ha il proprio paradiso. Il dado, il primo della nuova guerra in Europa, era già stato tratto il 23 febbraio scorso, quando Putin ha firmato in diretta televisiva il decreto per il riconoscimento dei separatisti del Donbas. È stato ripetuto lo stesso scenario visto in Georgia nel 2008, con il riconoscimento da parte russa di Abkhazia e Ossezia del sud come garanzia anti-Nato. Tra gli obiettivi più rilevanti conquistati nelle fasi iniziali dalle truppe russe spicca la cittadina di Noca Kakhouka, 60 km a nord dell’istmo di Crimea, sede dell’invaso idrico sul fiume Dnepr che prima del 2014 riforniva di acqua dolce la penisola di Sebastopoli. La guerra passa inevitabilmente anche dalla Sicilia. I droni statunitensi Global Hawk svolgono lunghe missioni di sorveglianza sui cieli dell’Ucraina, decollando dalla base di Sigonella. Queste attività continue confermano l’assoluta centralità della Sicilia per il militarismo a stelle e strisce. Con un’autonomia di 36 ore e di oltre 20000 km, questi droni possono spingersi verso le piane dell’Europa orientale oppure sorvolare i deserti del Nord Africa. L’importanza dell’installazione siciliana in questo conflitto è confermata inoltre dalle attività degli aerei antisommergibile P8 Poseidon della US Navy, che hanno operato incessantemente in quest’ultimo periodo fra lo stretto di Sicilia e le acque del Mediterraneo Orientale brulicanti di navi militari russe, fra cui i sommergibili classe Kilo, temuti per la loro silenziosità. Kiev è sotto assedio. L’obbiettivo del militarismo e del capitale russo secondo le parole di Putin, è ovviamente quello di creare uno “Stato cuscinetto” fra l’area di influenza russa e quella europea e statunitense: “Russia pronta a cessare le ostilità se l’Ucraina rinuncia alla Nato”. Nel momento in cui scrivo, la Casa Bianca ha detto al Congresso di aver bisogno di 6,4 miliardi di dollari di nuovi fondi per assistere gli interessi dei magnati ucraini. La popolazione è stremata e terrorizzata. Trascorre le nottate nella metropolitana adibita a rifugio antiaereo e il giorno ad improvvisare trincee con i sacchi di sabbia. Quello che è evidente è che l’espansionismo ad est del capitale europeo e statunitense è ormai in collisione con quello russo che dopo trent’anni rinizia a spingere verso ovest. Il cambio di padrone che sta avvenendo in Ucraina è (per chi dopo decenni non avesse ancora capito la posta in gioco su questi territori) ne è un terribile esempio. La velocità estrema con la quale questi terribili avvenimenti si stanno susseguendo e con la quale la guerra sta marciando e dilatandosi su tutti i fronti non ci permette di fare un’analisi adeguata della situazione strategica e militare. Né tantomeno ci interessa farlo in questa sede. Altre cose sono importanti da analizzare: gli interessi in gioco fra i blocchi rivali di potenze, il costo che gli sfruttati di ogni latitudine stanno iniziando a pagare per la guerra dei propri padroni, come le prime mobilitazioni delle sfruttate e degli sfruttati contro la guerra, e soprattutto ribadire con forza una salda posizione internazionalista e di classe mentre il mondo sta avviandosi alla soglia della catastrofe di una potenziale e (poco) futura guerra mondiale. Senza delle idee e delle teorie chiare non può esservi una pratica precisa e fondamentale di sabotaggio della macchina di morte della guerra e degli Stati.

 

Gasdotti e Artico

“Duecentomila anime e 1,2 miliardi di dollari non definiranno la contesa di quel palmo di terra. È un tumore che, frutto di un’agiatezza soverchia e di una quiete troppo protratta, scoppia all’’nterno senza che nulla mostri al di fuori come sia stata cagionata la morte” (parafrasando Amleto, Atto IV, scena IV).

La vera guerra attualmente in corso fra le classi sfruttatrici europee e statunitensi contro quelle russe per il controllo del territorio ucraino si sta combattendo in realtà da un anno in modo cruento, ed è ovviamente parallela all’uso delle armi. Si usano soldi (milioni di euro), e-mail, incontri, dove ceti privilegiati ucraini e americani ed europei, con le loro agenzie di lobby politiche, spiegano l’importanza delle idee dei loro clienti… o meglio, un’unica idea: “il nord stream 2 non va bene per i capitalisti dell’UE”.

La rotta per portare il gas dalla Russia in Europa attualmente passa dal “Nord Stream 1” (proprietà russa) e porta il gas in Germania, di lì al resto d’Europa. A questo gasdotto si aggiungono le vecchie rotte che passano per Ucraina, Polonia e Bielorussia. Tuttavia Mosca (in accordo con una frazione significativa del padronato tedesco), per incrementare l’export di gas in Europa, ha creato un nuovo gasdotto, il Nord Stream 2. Questo nuovo gasdotto avrebbe aumentato sensibilmente il potenziale flusso di gas verso il mercato europeo, il cui costo, specie ora che il capitalismo europeo con il suo manifesto Next generation EU ha votato per integrare il gas nella tassonomia della nuova frontiera del capitale, ovvero quella della “transizione ecologica”, rischia di aumentare sensibilmente nei prossimi anni, senza fonti stabili e sicure. Il padronato Usa sta incrementando l’afflusso del proprio gas liquefatto tramite il trasporto su navi metaniere in Europa. Il capitalismo e gli Stati francese e tedesco, all’interno del tentativo di emergere come potenza mondiale attraverso il “compromesso storico” dell’Unione europea, sono attanagliati dalla doppia morsa del capitale statunitense e russo sulla questione dell’approvvigionamento di gas e di idrocarburi per l’espansionismo dei capitalismi europei. Non è un caso che l’obiettivo prioritario e fondamentale del capitale europeo in salsa verde sia quello della “differenziazione delle fonti energetiche”, soprattutto tramite le rinnovabili disseminate sul suolo europeo (e delle neocolonie) e il rilancio-ritorno del nucleare. Non è un caso che, in questi giorni, il padronato Usa abbia fatto pressione sull’Unione europea per abbandonare il gasdotto “Poseidon” nel Mediterraneo orientale in cerca di un accordo temporaneo con l’espansionismo neottomano di Erdogan in chiave antirussa. Non è un caso che lo Stato russo e quello americano siano nel contempo nemici ed alleati. Simile discorso vale per lo Stato tedesco con quello russo e via discorrendo. I dominatori sono sempre nemici ed amici fra di loro. Sono sempre nemici solamente di noi oppressi. Le precedenti rotte dei gasdotti passavano per il territorio polacco, bielorusso e ucraino. I tre Stati e i loro ceti privilegiati aggiungono una tassa di passaggio che, nel solo caso dello Stato ucraino, corrisponde a circa 1,2 miliardi di dollari all’anno. Per uno Stato dove il salario medio si aggira sui 400 dollari, un’entrata molto importante per le casse statali e dei ceti ricchi ucraini. Se fosse entrato in servizio il NS2, il gas di passaggio da Polonia e Ucraina sarebbe andato drasticamente a calare. Motivo per cui la borghesia ucraina da anni spende milioni per convincere i politici USA del rischio che il Nord Stream 2 rappresenta per “gli europei”. Tra le organizzazioni più attive, specialmente e non a caso nel 2021, risulta la Ukrainian Federation of Employers of the Oiland Gas Industry, che rappresenta gli interessi delle aziende di petrolio e del gas del padronato ucraino.

“Vedo la vicina morte di ventimila uomini, che per un nonnulla, per una varia fama s’avviano al sepolcro come ad un letto: vanno a combattere per ragioni ignote ai più, per una terra non pure vasta abbastanza per ricettare quelli che morranno in tale tenzone” (Shakespeare, Amleto).

La nuova cortina di ferro è ora in rapida evoluzione e ridefinizione visto la guerra appena iniziata sul continente europeo. La regione indipendente della Transnistria, in Moldavia, è da decenni l’avamposto russo oltre cortina ai confini con il territorio rumeno, appartenente alla NATO e al padronato europeo, e che ora potrebbe trovarsi “ricongiunto” alla sfera d’espansione del capitale russo nel caso di una vittoria militare di Mosca in Ucraina. Davanti al padronato russo si trovano i giacimenti di gas rumeno nel Mar Nero con le nuove aree di prospezione, essenziali per gli interessi dei ceti privilegiati e del New Green Deal europeo. Nel frattempo, la talassocrazia statunitense ha siglato nuovi accordi con lo Stato greco per la costruzione di tre nuove basi militari sull’Egeo e di nuovi depositi di gas liquido a terra per le navi metaniere americane che arrivano sul territorio greco. Il padronato turco, che intrattiene rapporti sia con Mosca che con Kiev, rischia di finire sotto il fuoco incrociato della guerra in corso. Il ministero degli esteri turco ha definito come inaccettabile il riconoscimento delle repubbliche separatiste da parte dello Stato russo. Ankara rischia di diventare la vittima eccellente della crisi del Donbas, e fiuta distintamente il pericolo di restare schiacciata fra capitalismo USA e russo a nord del Mar Nero. Per la borghesia europea invece la strada da percorrere è quella della formazione storica di ogni Stato: oltre al soldo, è necessaria la spada. In questo senso il rilancio da parte dei nostri padroni del progetto di “difesa europea”, e nel frattempo quello del nucleare nella sua nuova maschera ideologica di green economy in chiave duale: per le forniture energetiche per il capitalismo europeo e per il riarmo.

Come si vorrebbe invece il capitalismo russo nel 2051? I piani di Mosca sono funzionali alle “garanzie di sicurezza” esposte da Putin alla fine del 2021. Lo Stato russo intende innanzitutto mettere in sicurezza il proprio nucleo, procedendo al riassorbimento di Bielorussia ed Ucraina, a esclusione della “polacca” città di Leopoli ad ovest. Aree attualmente oggetto dell’espansionismo europeo e statunitense. Ma il settore più importante di sviluppo degli interessi economici capitalistici russi è quello dell’Artico. Mosca vorrebbe sfruttare le esigenze commerciali della borghesia e dello Stato mandarini per attivare nel “suo oceano”, l’Artico, importanti investimenti portuali. I padroni russi sognano un mar glaciale navigabile tutto l’anno, che permetterebbe di accorciare tempi e costi delle linee logistiche delle nuove vie della seta da Pechino all’Europa, e che oggi attraversano l’oceano indiano. Il nuovo passaggio settentrionale sarebbe servito da infrastrutture moderne. Inoltre, mediante la risalita delle vie fluviali euroasiatiche, le nuove rotte internazionali potrebbero favorire lo sviluppo del vastissimo e spopolato territorio interno della federazione russa. Una nuova drammatica avventura coloniale ad est degli Urali di sfruttamento e di devastazione del territorio per i ceti privilegiati russi.

L’Artico sta diventando sempre più la principale area strategica del globo. Il fattore che ha maggiormente inciso sulle caratteristiche del contesto regionale è stato il fenomeno della distruzione dell’ambiente in corso da parte del capitalismo. Questo dramma determina significativamente anche le modalità di sostentamento delle comunità locali e quelle della politica degli Stati. La regione è il barometro climatico mondiale: il tasso di aumento della temperatura è più rapido e superiore di due gradi rispetto alla media del pianeta. Il segno più visibile di questi fenomeni terribili è nella banchisa artica, che ha perso il 75 % del proprio volume dal 1980, con la riduzione sensibile della propria superficie in estate. Questo fenomeno rappresenta per i produttori di morte mondiali nuove opportunità economiche, ovvero l’apertura di vie di navigazione transoceaniche e la possibilità di sfruttamento dell’ambiente mediante l’estrazione di risorse naturali come idrocarburi, minerali vari e soprattutto “terre rare”. Già nel 2008, uno studio probabilistico attribuiva al nord del pianeta il 13% del petrolio, il 30% del gas convenzionale e il 20% di gas liquido non scoperti. Questo ha costruito nella mentalità dei padroni l’idea della regione come di un El dorado da conquistare. Lo sviluppo degli apparati militari nella zona è impressionante. I dispiegamenti militari dello Stato russo hanno subìto un costante aumento dal 2007. Sono ripresi i pattugliamenti dei bombardieri strategici ai confini dello spazio aereo dell’Alleanza Atlantica e la riapertura di vecchie basi militari. Nel 2014, il comando strategico congiunto della flotta del nord è diventato il quinto distretto militare della Federazione.

Il 20% del Pil del capitalismo russo è generato nell’Artico e la penisola di Kola ospita i 2/3 del nucleare dell’esercito russo.

Lo Stato e i capitalisti cinesi hanno pubblicato nel 2018 una “strategia artica” che rivendica il diritto alla ricerca scientifica, alla navigazione, alla pesca, alla posa di cavi sottomarini in alto mare. In questo documento per il futuro prossimo viene trattato anche l’aspetto degli investimenti economici nelle miniere della Groenlandia, e lo sviluppo dei progetti dei gas russi, fino alla navigazione lungo la via della seta artica.

Il capitale a stelle e strisce ha interessi economici in Alaska. Nel 2019 è stata pubblicata la “Strategia artica del Dipartimento della Difesa” e nel 2018 è stata ricostituita la seconda flotta con competenze nel Mar Glaciale Artico.

 

Il nemico è in casa nostra

I militari italiani sono in stato di preallerta. Il ministro della difesa Lorenzo Guerini ha specificato nei giorni scorsi che il militarismo italiano potrebbe schierare fino a 3400 soldati che partirebbero verso il fronte est per rafforzare le truppe già dispiegate in Lettonia e in Bulgaria in ambito NATO. Con loro 77 mezzi terrestri, 2 navi e 5 aerei da guerra.

Il Consiglio dei ministri ha promulgato un decreto legge che stanzia 153 milioni di euro quest’anno e 21 nel 2023 per il potenziamento della presenza militare dell’“imperialismo straccione” italiano lungo la linea del conflitto.

La sola pratica coerente con la prospettiva internazionalista è quella che va contro il proprio Stato, contro i propri padroni, contro il proprio capitalismo, contro il proprio militarismo. Ovvietà necessaria da ripetere e da avere ben presente in questo periodo per evitare ogni confusione od ogni posizione frontista.

L’Unione Europea chiude il proprio spazio aereo mentre finanzia apertamente l’esercito ucraino con l’apertura di un ponte aereo verso l’Ucraina. In pratica, le armi europee andranno tramite corridoi aerei e terrestri sin dentro il territorio ucraino direttamente al fronte. Tutto questo è una prova della determinazione del padronato europeo di proseguire sulla strada dell’autonomia strategica. Questi progetti sono la premessa indispensabile per l’acquisizione di una effettiva autonomia strategica. Come già dichiarato nel documento del 2017 dell’ESPAS (European Strategy and Policy Analysis System), dal titolo Tendenze globali fino al 2030: l’UE sarà in grado di affrontare le sfide future?. L’ESPAS è l’ente che ha lo scopo di supportare il padronato ed il militarismo europei nell’individuazione delle principali tendenze globali, di valutarne le implicazioni e di esaminare le sfide, nonché le opzioni politiche dei decisori. Riferisce direttamente alla Commissione europea, al Parlamento europeo, e al segretariato generale del Consiglio di Stato dell’Unione Europea. Già dunque nel 2017 vi erano delineate le tendenze del documento Next generation EU, ovvero su tre direttrici principali: 1) economia e ristrutturazione del modo di produzione; 2) società; 3) gestione della società e potere. Così dicono i nostri padroni: “le possenti forze che guidano la trasformazione globale iniziata nei primi anni 90 dello scorso secolo stanno cambiando la fisionomia mondiale in modo sempre più rapido e profondo”. Vengono individuate altre macrotendenze: l’invecchiamento della popolazione ed il rafforzamento del ceto medio mentre nel contempo si rafforzano le disparità sociali. Nel frattempo il peso economico e il potere politico si spostano verso l’Asia mentre la rivoluzione tecnologica con le sue applicazioni incide su quasi tutti gli aspetti della società provocando cambiamenti radicali e dirompenti. Ultimi due punti, la possibilità di guerre sempre più crescenti e l’aumento del consumo energetico. Scrivono gli analisti dei nostri signori:

“La convergenza delle tecnologie e la proliferazione di strumenti disponibili per le masse trasformeranno le economie e le società. Gli sconvolgimenti sociali potrebbero determinare anche un’ulteriore crescita della disoccupazione, accentuare le diseguaglianze e provocare l’impoverimento del ceto medio nei paesi sviluppati. La tendenza a contestare l’ordine costituito potrebbe rafforzarsi ulteriormente, così come il ricorso a iniziative meno tradizionali e più locali. In un contesto di incertezza, volatilità e rischio sistemico, è altamente probabile che si verifichino fenomeni sovvertitori come una grave crisi finanziaria e monetaria, una pandemia devastante, una crisi energetica su vasta scala o un conflitto di portata gigantesca. L’UE deve affrontare queste grandi tendenze e sfide all’inizio di un nuovo ciclo economico e politico”.

Mentre la propaganda di guerra, ciascuna a favore del proprio padrone e del proprio militarismo, inizia a farsi martellante da un lato e dall’altro della linea del fronte, qual è la situazione attuale di noi sfruttate e sfruttati dinnanzi a tale nuovo macello? Il proletariato dall’altro lato del fronte, che subisce arresti, deportazioni e uccisioni, e che negli ultimi giorni inizia a scendere in strada e a mobilitarsi contro la guerra, saprà, assieme alle anarchiche e agli anarchici ucraini, bielorussi, russi ecc. trovare la propria strada di lotta contro l’ennesimo massacro militarista dei padroni e degli Stati? Ad ognuno la propria autonomia e l’analisi dei propri contesti e delle contraddizioni per trovare la propria azione. Multidirezionalità delle galassie e dell’agire anarchico, fermo restando e ribadendo saldamente i princìpi basilari di classe e di internazionalismo ed antiautoritarismo, coscienti che il primo nemico da battere per ogni internazionalista è il proprio padrone e il proprio Stato.

Per noi, sfruttate e sfruttate al di qua e al di là della linea del fronte, la necessità di provare a bloccare tutto. A partire, come già detto e ripetuto in questi contributi, dall’ostacolare la ricerca di morte nelle università, fino alla logistica di morte che permette il funzionamento del tritacarne militarista e il funzionamento dell’economia capitalista. Un’economia di guerra che si basa e sarà basata sempre di più sui settori di punta dell’industria bellica.

E della ricerca applicata ai maxi bisogni del capitale (come nel settore energetico ed informatico, oltre che, naturalmente, nel riarmo) e sul mercato dei generi di lusso per una borghesia sempre più ricca ed ostentatrice. La fine della “società dei consumi” degli ultimi 60 anni, è già stata sperimentata durante la gestione pandemica. La “Nuova” fase del capitalismo sta portando ad una proletarizzazione e ad un impoverimento crescenti. Già solo nei primi giorni di guerra in Europa, oltre all’aumento dei prezzi del carburante e dell’energia elettrica, vi è anche quello del grano (in questi pochi giorni il costo del mais è aumentato del 3,5%, quello del grano tenero del 2,5% e quello della soia dell’1,5%).

In ogni bolletta che entra nelle case di ogni sfruttata e di ogni sfruttato c’è la guerra. In ogni aumento segnato c’è la costruzione di un fucile nuovo puntato sulla testa del proletariato. In ogni snodo logistico c’è un ponte aereo o terrestre o di rifornimento per rendere possibile ogni nuovo giorno di guerra e di morte al fronte. Per ogni ricerca duale in ogni università c’è una nuova e più micidiale arma che verrà creata. Bloccare tutto, e cercare di portare la guerra a casa è ormai una drammatica necessità per la nostra unica speranza di sopravvivenza: la trasformazione della guerra dei padroni in guerra contro i padroni.