Noi non ci arruoliamo

Riceviamo e diffondiamo:

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Alla fine la guerra è arrivata. Dopo due anni di preparazione alla guerra, di canti, bandiere, disciplinamento, quel «siamo in guerra» annunciato a partire dalla primavera del 2020 è infine realtà. Le tragiche notizie che vengono dall’Ucraina sono la miccia che si andava cercando per la militarizzazione definitiva della nostra società.

Le guerre sono sempre un bagno di sangue per gli sfruttati e un ricco affare per i padroni. Non ci interessano le contrapposte ragioni della propaganda dei belligeranti. Gli sfruttati in Russia come in Ucraina, in Italia come negli Stati Uniti sono i nostri fratelli, il loro sangue è il nostro sangue. I governi, i generali, gli industriali, i finanzieri sono i nostri nemici, i nostri carnefici, i nostri affamatori.

L’arrogante e insaziabile espansione trentennale della NATO e la crisi interna della Russia sono state la miscela per la situazione esplosiva nella quale ci troviamo gettati. Da una parte, una lunga serie di precedenti imperialistici come i bombardamenti in Serbia, le guerre in Afghanistan e in Iraq, il sostegno a bande criminali come quelle che governano l’Ucraina, dove i sindacalisti vengono bruciati vivi; dall’altra, dei regimi, come quelli di Putin e Lukašenko, che si tengono in piedi con la colla della paranoia da accerchiamento e le nostalgie imperiali, dove gli anarchici e gli oppositori vengono arrestati e torturati. Di fronte a tutto questo schifo nessun fronte è il nostro. I nostri nemici non sono gli sfruttati dall’altra parte del fronte, ma i governanti tutti, a partire da quelli di casa nostra.

Da questo punto di vista, la politica italiana sta mostrando il suo vero volto e sembra aver gettato la maschera in commedia con la quale le forze politiche recitano la loro dialettica. Così vediamo un allineamento senza pudore alla retorica militaristica: dal Partito Democratico, che ormai incarna la più grande forza sistemica della nostra società, che non rinuncia a ogni occasione a rimarcare il proprio atlantismo ed europeismo, alla fittizia opposizione di Fratelli d’Italia, che – come recita l’inno più brutto del mondo – quando «l’Italia chiamò» non ha aspettato un minuto per mettersi in testa l’elmetto della NATO.

Nel ribadire il nostro internazionalismo e il nostro rifiuto a partecipare a questa tragica farsa, giova ricordare come, se c’è oggi un «partito russo» in Italia, questo non è certo incarnato da qualche ferro vecchio dello stalinismo, semmai dai loschi affari di Intesa Sanpaolo o delle multinazionali tricolori dell’energia.

Perciò non abbiamo alcuna fiducia nei confronti di coloro che ci hanno trascinato in questa situazione. La guerra può essere fermata solo dall’azione diretta dei proletari, dalla loro insubordinazione: al lavoro come al fronte, disobbediamo ai superiori, disarmiamoli, blocchiamo la produzione, fermiamo la mobilitazione bellica. Siamo noi che paghiamo il prezzo più caro per i giochi di potere degli Stati. È un prezzo che sta venendo pagato da coloro che si trovano sotto le bombe e che stiamo pagando anche noi, con l’aumento dell’energia e del carburante, e di conseguenza di tutti i beni di consumo.

Salutiamo con gioia le manifestazioni che in queste ore si stanno svolgendo a San Pietroburgo e Mosca, come salutiamo con gioia le proteste degli autotrasportatori in Italia contro l’aumento del carburante: anche se non ne sono consapevoli, coloro che oggi fermano il paese contro il carovita sono i più grandi nemici della guerra, perché fin da ora stanno facendo pagare alla politica e all’economia il prezzo delle sue conseguenze.

Però, affinché questi non siano movimenti sporadici, reazioni episodiche ed estemporanee, occorre che gli sfruttati di ogni paese possano dialogare tra di loro: l’internazionale è la forma d’organizzazione concreta con cui, nella lotta, gli sfruttati possono coordinarsi e dialogare, costringendo così gli Stati a fermare la loro macchina di morte.

Anarchici a Spoleto
25 febbraio 2022