La reazione in Italia. Messaggio nella botte sull’operazione Sibilla e molto altro

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La reazione in Italia
Messaggio nella botte sull’operazione Sibilla e molto altro



La voluttà di distruggere è nello stesso tempo una voluttà creatrice.
— M. Bakunin,
La reazione in Germania



Si racconta che un giorno Alessandro Magno si fosse recato presso la botte dove viveva Diogene di Sinope. Diogene era il solo filosofo che non era andato ad omaggiare il grande re. Così fu Alessandro ad andare da lui. Alessandro gli chiese: «Dimmi cosa posso fare per te». E Diogene rispose: «Spostati, mi fai ombra».

Riflettere oggi sulle condizioni di incomunicabilità, di autonomia, di refrattarietà nei confronti del potere è molto più complicato di quanto lo fosse nel IV secolo a. C.

Oggi il potere non si sposta, non esiste più una botte nella quale l’ombra dello Stato non arrivi. L’unica relazione possibile con questo organismo globale è la violenza. Si sente fin troppo spesso ripetere, come una nenia di bizzocche al vespro, l’inattualità della violenza rivoluzionaria. Si dice «non sono più i tempi», quando semmai ad essere inattuale, ormai, è la possibilità di evasione.

Gli ultimi due anni hanno rappresentato una triste conferma di questa storia millenaria. Una nuova era si è annunciata con il massacro nelle carceri italiane, con la chiusura delle persone in casa mentre la produzione continuava ad andare avanti, con le aggressioni e le uccisioni durante gli scioperi della logistica, con le innumerevoli manovre repressive contro gli anarchici, infine attraverso il green pass, approdo definitivo (?) della nuova società del controllo.

Nella cosiddetta civiltà globale i disastri del capitalismo ci raggiungono in ogni antro. La parabola degli ultimi movimenti ambientalisti mi pare eloquente. Il «bla bla bla» della piccola Greta che le ricade in testa: siete proprio voi pacifisti che fate solo «bla bla bla» e intanto i padroni del mondo continuano a portarci tutti verso la catastrofe. Che fare allora? Uscire dalla botte, ed agire.

Possiamo leggere la recente operazione «Sibilla» sotto tre punti di vista: le dinamiche di desolidarizzazione; la svolta autoritaria di nuova forma; la fase nichilista.



1. Dinamiche di desolidarizzazione 

L’inchiesta mira in primo luogo a colpire gli scritti di Alfredo Cospito e chi li diffonde. Obiettivo dichiarato dei magistrati è creare un fossato più potente di quello fisico che circonda il carcere. Dare solidarietà rivoluzionaria a un prigioniero come Alfredo significa allora attirarsi le attenzione della repressione.

Certe cose non si possono dire! Non è stato dato ancora sufficiente risalto a un fatto inerente le perquisizioni dell’11 novembre. Il ROS ha sequestrato tutte e dicasi tutte le copie rintracciabili di “Vetriolo”, del libro Quale internazionale? e del libro Mio caro padrone domani ti sparo (Edizioni Monte Bove) nel tentativo di cancellare un pezzo importante della pubblicistica anarchica degli ultimi anni. Le parole, le analisi, le proposte dei rivoluzionari devono sparire, condannati alla damnatio memoriae, verranno verosimilmente bruciati nella prima notte di plenilunio, con la benedizione del vescovo e gli scongiuri della santa inquisizione. Ma le dinamiche di desolidarizzazione sono un fatto strisciante, non si esauriscono in una notte di caccia alle streghe. Si espandono come una nube tossica.

Come si risponde alle dinamiche di desolidarizzazione? Con la solidarietà, già, ma che significa solidarietà? Io non sono solidale con le idee di Alfredo. Alcune le condivido, altre non le condivido. Sono anarchico e ragiono con la mia testa. Io sono solidale con le pratiche di cui è accusato. Io penso che le pratiche di cui Alfredo è accusato sono un patrimonio del movimento rivoluzionario.

E uso la parola «patrimonio» non per caso. La nostra classe non ha ricchezze. Non eredita niente sulla terra dei padroni. Le nostre uniche ricchezze, il nostro patrimonio, è dato dalle nostre pratiche di lotta. Sono la nostra unica eredità, la dobbiamo custodire con gelosia, ma la dobbiamo soprattutto alimentare. Ogni generazione può essere una generazione «messianica», rivoluzionaria, diceva Walter Benjamin.

Naturalmente il pane si fa con la farina che si ha. Quando chiesero a Diogene quale fosse l’ora migliore per mangiare, sembra che il filosofo rispose: «Il ricco quando vuole, il povero quando può».

Diceva un grande stratega rivoluzionario, Carletto Mazzone, che «la tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri». Noi non abbiamo tecnica, non abbiamo scienza e non abbiamo fondazioni milionarie. Abbiamo la nostra intelligenza e la nostra fame.

E l’intelligenza fa paura, per questo ci sequestrano libri e giornali.



2. Svolta autoritaria di nuova forma 

A proposito di analisi che fanno paura, l’operazione Sibilla conferma una importante ipotesi di “Vetriolo”. L’avvento di una «svolta autoritaria di nuova forma». Per inquadrare correttamente questo concetto dobbiamo prima dire qualcosa sul santo patrono dell’operazione Sibilla.

Momentaneamente parcheggiato alla procura di Perugia, Raffaele Cantone è uno degli astri splendenti della borghesia italiana. Riserva della repubblica in servizio permanente effettivo, è stato fatto più volte il suo nome per la presidenza del consiglio, in particolare dagli ambienti europeisti, liberisti e dalla camarilla che ruota attorno a Matteo Renzi. Beninteso per un governo di congiura parlamentare, che questa gente, si sa, lo abbiamo visto con Mario Monti, non li vota nemmeno la loro mamma.

Di tutte le accuse mosse da Manuela Comodi e benedette da San Raffaele Cantone, il capo M) dell’ordinanza è senza dubbio il più spassoso. Si viene accusati di aver scritto un testo a firma «Circolaccio Anarchico – Spoleto» nel quale si fa appello «per un vero sciopero generale» – me coglioni! – «così da istigare pubblicamente alla commissione di delitti contro la personalità dello Stato, minacciando gravemente un ingiusto danno».

Ecco cos’è la svolta autoritaria di nuova forma: mentre le squadracce dei padroni prendono a bastonate gli operai in sciopero, chi invoca un vero sciopero generale all’altezza del livello dello scontro, minaccia un «ingiusto danno» a quei padroni che in tanta considerazione tengono il dott. Cantone.

Onde evitare ogni pericolo di «vittimismo» o «innocentismo», bisogna precisare che Cantone, come dire, non ha preso nessuna cantonata. La sua strategia si colloca del tutto pacificamente all’interno della svolta autoritaria di nuova forma. C’è una linea rossa che collega la strage del Mottarone a Stresa, i sei morti al giorno sul lavoro, i sindacalisti ammazzati, il green pass e l’operazione Sibilla. Questa linea rossa si chiama: ripartenza dell’economia capitalista.

Io sono completamente colpevole, ha ragione «Cantone il censore», di aver inneggiato al sabotaggio della ripartenza economica.

L’accusa di Cantone ha in effetti quel sapore nostalgico che ci riporta a un piccolo mondo antico. Bisogna infatti ricordare che, in origine, l’articolo 270 del codice Rocco puniva quelle associazioni che promuovevano «l’odio di classe».

Figuriamoci se non sono colpevole, noi anarchici sono 150 anni che promulghiamo l’odio di classe! Non solo mi dichiaro colpevole, ma affinché la mia confessione sia più convincente intendo chiamare in correità:

l’associazione industriali (vi ricordate quel sacco di merda di Macerata che diceva «se qualcuno morirà pazienza»?);

l’associazione commercianti, per quei contratti da 10 ore e altre 40 ore in nero (così durante i lockdown abbiamo preso la cassa integrazione solo su quelle 10 ore);

le aziende come la SPK di Milano, che affittano i «gorilla» per le squadracce con cui vengono picchiati i lavoratori in sciopero.

Chiedo scusa ai tantissimi che ho dimenticato. Io ho fatto di tutto per fomentare l’odio di classe nella mia vita, ma è solo grazie a voi che siamo arrivati fino a qui.

Se questa è istigazione, beh, è un’istigazione irresistibile!

Nonostante quel piccolo mondo antico del codice Rocco che da 15 anni fa sognare Manuela Comodi, bisogna precisare che la svolta autoritaria di nuova forma non è il fascismo. Come il braccialetto elettronico non è la palla al piede. D’altronde, lo avevano promesso che la tecnologia ci avrebbe migliorato la vita!

Questa precisazione, tra l’altro, mi tiene ben lontano dal complottismo. Chi ritiene, per esempio, che lo Stato provochi le tensioni e le crisi di proposito, per poi dare un avvitamento autoritario. Lo Stato, se potesse, vivrebbe nella pace sociale. Lo Stato ci attacca perché è attaccato!

La verità è che le crisi che sta provocando il capitalismo – ambientali, sanitarie e sociali – sono ingovernabili. Per questo occorre una svolta autoritaria. A questo servono le tecnologie, il controllo digitale, il passaporto interno per spostarsi e lavorare.

Questa precisazione, inoltre, mi tiene ben lontano da ogni antifascismo democratico. È proprio vero, come diceva Bordiga, che l’antifascismo sarebbe diventato il peggior prodotto del fascismo.

Immodestamente, “Vetriolo” è stato il giornale da sempre più lucido su questi temi. In tempi non sospetti, quando avevamo Matteo Salvini al governo, “Vetriolo” ha sempre criticato chi parlava di pericolo fascio-leghista. Sulle colonne di “Vetriolo”  è sempre stato scritto che i veri rischi autoritari venivano da un avvitamento del liberismo, che rischiavamo più un Bava Beccaris che un Mussolini (Bava Beccaris invocato proprio di recente per mitragliare le piazze no green pass).

E sul mio libro di storia, dopo Bava Beccaris viene Gaetano Bresci…



3. La fase nichilista 

L’ultimo aspetto di cui ci parla l’operazione Sibilla è inerente a quella che su “Vetriolo” è stata chiamata la «fase nichilista». La fase nichilista, a mio avviso, chiama in causa due ordini di problemi.

Il primo è inerente al rapporto sempre più conflittuale con cui, ormai a livello di massa, viene percepita la scienza. Bakunin aveva profetizzato, ormai 150 anni fa, questa degenerazione. Legando l’idea di Stato all’idea di Dio e osservando che ogni potere statale ha bisogno di un apparato ideologico-religioso, Bakunin aveva previsto che nel pieno sviluppo dello Stato borghese gli scienziati sarebbero diventati i nuovi preti.

Bakunin, va ricordato, non polemizza con la scienza, come se questa avesse una sua vitalità soggettiva, ma con il costituirsi in clero degli scienziati. Cioè il problema di Bakunin non è l’anti-scienza, è sempre un problema sociale, dello stratificarsi in chiave ideologica e non solo meccanicistica delle classi sociali.

Il clero scientista, come ogni clero, ha i suoi riti e i suoi misteri, il suo linguaggio è avvolgente ed escludente, composto di vani idiotismi che escludono le masse.

Oggi la profezia di Bakunin è diventata realtà, milioni di proletari nel mondo scendono nelle strade contro i nuovi «scriba». Se anche la civilissima Olanda vede la polizia sparare contro i manifestanti significa che sta succedendo qualcosa di potente.

La grandezza del gesto di Alfredo consiste nell’aver individuato in maniera ferocemente lucida la contraddizione del secolo: la lotta tra gli sfruttati e il nuovo clero che vuole ridisegnare il mondo affinché l’ordine dei padroni divenga irrovesciabile. In un’epoca in cui siamo tutti responsabilizzati, Alfredo «redistribuisce» un po’ di responsabilità.

Il secondo ordine di problemi che la fase nichilista chiama in causa consiste nella rimozione della lotta di classe. È stato operato un vero e proprio sradicamento pratico e culturale di questa lotta. L’odio di classe è il grande rimosso della nostra epoca.

La fase nichilista consiste allora in questo: il ritorno dell’odio di classe rimosso sotto forme sintomatiche, carsiche, irrazionali. Irridere questa irrazionalità perché gli incazzati non venerano la scienza come le chiese marxiste prevedono, o perché non aderiscono al manuale del perfetto attivista verde-fucsia della «new left», significa non aver compreso la natura della fase nichilista.

Noi dobbiamo al contrario contrapporre al mito della scienza il mito della rivoluzione sociale, portare dentro la fase nichilista quella negatività radicale che è l’anarchia vendicatrice.

Bisogna ahimè riconoscere all’operazione Sibilla una certa «puntualità». Finiti i «tempi lunghi» sembra che la storia abbia calzato gli stivali delle sette leghe. Sono convinto, però, che queste operazioni non abbiano alcuna possibilità di successo. Sono molto affezionato a una frase della Piattaforma:

«L’anarchismo nacque, dunque, non dalle astratte riflessioni di un dotto o di un filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitale, dai loro bisogni e necessità, dalla loro psicologia, dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza».

Essendo un’idea immanente degli sfruttati, non bastano le sbarre per rinchiudere l’anarchia. Non basta chiudere i giornali. Inevitabilmente, dalla rabbia, come l’araba fenice, tornerà a sorgere l’Idea indicibile.

Da ultimo, visto che parliamo di «reati di opinione» (definizione del Giudice per le Indagini Preliminari, sic) siamo chiamati a rispondere a una domanda: cosa significa pensare?

Pensare significa negare. Ogni affermazione è una negazione, diceva Spinoza. Nelle nostre lingue ci è quasi impossibile una qualunque frase che non contenga una negazione. Il pensiero sorge dunque come negazione dell’essere, come negazione di ciò-che-sta, dello Stato. Gli umani da sempre negano una realtà che trovano insopportabile.

C’è solo un ente che non nega mai, è la macchina. La macchina è una «entità positiva», noi siamo delle entità negative. Abbiamo dentro una frattura tra il nostro sé e la natura, tra il nostro sé e la storia, tra il nostro sé e lo Stato. Questa è la ragione per cui non potranno mai esistere delle macchine intelligenti, checché se ne dica. La sola macchina intelligente è quella che si spegne. Perché solo chi si nega, chi «sciopera», ha la dignità dell’intelletto.

Come dice l’odioso motto dei carabinieri, «obbedir tacendo». L’obbedienza è muta, è la negazione che fonda il linguaggio. Per quanto mi riguarda, non riuscirete ad ammutolirmi: sono un proletario, sono un anarchico, sono un insurrezionalista e non farò mai un passo indietro.

 

Michele Fabiani
un anarchico dei Sibillini