No pass, fascismo, fascisti

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri queste dense riflessioni di Nicola, già autore degli Appunti sulla maledizione pandemica, usciti in tre puntate anche sul nostro sito. Benché egli usi linguaggio e categorie diversi dai nostri, le sue riflessioni si segnalano per la pregnanza (e la salutare controtendenza) con cui colgono la natura radicale, inedita e totale del terreno su cui si gioca la scommessa rivoluzionaria oggi. Buona lettura.

No pass, fascismo, fascisti

Tra i motivi più gettonati nella sinistra antagonista per prendere le distanze dal movimento contro il green pass (Gp) è che si tratta di un movimento egemonizzato dai fascisti, oppure di essere destinato a esserlo. La prima è semplicemente falsa, e chi abbia solo incidentalmente messo il naso nelle manifestazioni ha potuto verificarlo agevolmente. La seconda rientra, ovviamente, nel novero delle possibilità, al pari di altre di carattere diverso e persino antitetico. Che le mobilitazioni abbiano, in particolare dal 15 ottobre, un carattere prevalentemente proletario, con lavoratori di ogni settore, dipendenti o autonomi, apre, oggettivamente, alla possibilità che prevalga al loro interno un indirizzo classista, ma ciò non è un predestinato automatismo autoavverantesi per il semplice dato della composizione sociale. Dipende da un insieme di fattori, interni ed esterni al movimento, sui quali anche i fascisti possono, a determinate condizioni, giocare un proprio ruolo attingendo all’esperienza storica del mussolinismo e alla sua capacità di inquadrare il proletariato in quanto produttore, alla pari del capitalista nazionale, con un suo preciso ruolo nel sostegno della nazione e della sua economia (e adeguati riconoscimenti economico-sociali e politici).

È utile, perciò, ricordare i presupposti su cui il fascismo costruì il suo consenso anche in consistenti settori del proletariato, ma, non di meno, è necessario chiedersi se determinati processi sono destinati a riprodursi con le stesse modalità. E, primieramente, è necessario chiedersi cosa fu il fascismo.

I due episodi principali del fascismo furono in Italia e Germania. In entrambi i casi il fascismo fu la risposta della borghesia per sconfiggere e normalizzare una prolungata e forte insorgenza proletaria che minacciava di trasformarsi in rivoluzione, e, contemporaneamente, la messa in atto della necessità di centralizzare le risorse economiche e politiche per tutelare gli interessi collettivi del capitalismo nazionale nei confronti delle altre potenze mondiali.

Il fascismo fu totalitario. Il suo totalitarismo non consisteva tanto nell’abolizione della democrazia formale e nella repressione degli oppositori (cui, pure, non lesinava violenza), ma nel sancire ideologicamente e praticamente il nesso inestricabile tra popolo e Stato, fissato il quale la democrazia finiva con l’essere pletorica e gli oppositori divenivano sabotatori disfattisti. La fede nello Stato non era rivolta a un ente astratto, ma a uno Stato concreto, quello fascista, ossia allo Stato diretto dal fascismo, movimento/partito attraverso il quale il popolo si affasciava come un sol uomo per perseguire la missione di riscattare la patria (dimidiata della vittoria in guerra) e sé stesso, promuovendo il progresso della produzione agricola e industriale, dotandosi delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico e delle istituzioni utili al benessere del popolo, e contrastando il potere egemonico delle plutocrazie. Il totalitarismo popolo-partito-Stato era, sul piano storico, precondizione per realizzare il totalitarismo del capitale, che all’epoca si poneva ancora come qualcosa di esterno alla quotidianità della comunità umana (sussunzione formale), che si era appropriato, cioè, di grande parte della produzione materiale, ma doveva ancora conquistarne parti rilevanti e, soprattutto, doveva avviarsi a sottomettere a sé tutta la vita sociale, modellandola e funzionalizzandola completamente alla propria riproduzione. Il fascismo, infatti, si poteva permettere persino di lanciare degli strali contro il capitalismo, opponendogli le virtù del nazional-socialismo, ovvero un programma che si contrapponeva ufficialmente al capitalismo, ma praticamente solo al potere finanziario e militare dei concorrenti capitalisti (e all’egoismo anti-nazionale di capitalisti interni), che volevano bloccare il progresso dell’Italia quale paese capitalista dotato di forza propria, come cercavano di stroncare la Germania, che potenza capitalistica in proprio lo era già divenuta.

Il fascismo e il nazismo svolsero, quindi, un ruolo fondamentale per bloccare l’insorgenza proletaria nel cuore dell’Europa, nell’interesse del capitale europeo e mondiale, ma rappresentarono anche una decisiva spinta in avanti in termini di modernizzazione dei rapporti sociali del capitalismo e di sviluppo accelerato delle forze produttive, che senza di essi Italia e Germania non sarebbero riuscite a conseguire. Su questo secondo piano, svolsero, perciò, una funzione di supplenza in termini di centralizzazione del capitale che per ragioni specifiche di storia recente e di debolezza delle due borghesie, non era in grado di affermarsi spontaneamente, potenziando e tutelando, allo stesso tempo, gli interessi del capitale nazionale.

Alla morte ufficiale del fascismo è conseguito un processo di ulteriore sviluppo del capitalismo in tutto il mondo che ha portato alla realizzazione di un totalitarismo molto più… totalitario del fascismo, quello del capitale che per dominare le classi e i popoli oppressi non ha avuto più bisogno della mediazione popolo-Stato, ma si è affermato in proprio, trasformandosi (sussunzione reale) in rapporto sociale di produzione che si estende a tutti gli aspetti della vita sociale e individuale, immedesimandosi con la riproduzione della vita stessa. La vita batte al ritmo del capitale, se al capitale viene la tachicardia, la vita rischia… l’infarto.

Ciò, da un lato, rende il capitale potente come non mai prima, espungendo qualsiasi spinta (reale, non il… chiacchiericcio anti-capitalista della gran parte dell’attuale sinistra di classe) di massa a disfarsene, ma, dall’altro, lo rende sommamente a rischio: per conservare la sua presa totalitaria deve essere in grado di garantire sempre la riproduzione della vita sociale e individuale. Avendo introiettato che la propria vita è diretta emanazione del ritmo con cui pulsa il capitale, la massa proletaria (e l’intera società) è disposta a bere tutti gli amari calici per aiutarlo a riprendersi dai suoi momenti di difficoltà, che si tratti di crisi economica o di crisi pandemica, oppure, tra poco, di crisi climatica o dell’energia o degli approvvigionamenti, ecc., purché ne abbia in cambio la riproduzione della sua propria vita, sia pure progressivamente impoverita.

Oggi questo nesso capitale-vita inizia a rivelarsi problematico. Per risollevarsi dalla sua crisi, infatti, il capitale scopre che non può più garantire per quote crescenti delle masse sfruttate e oppresse la facilità della riproduzione della vita. Nell’ultimo degli Appunti, https://ilrovescio.info/2021/10/12/ancora-sulla-maledizione-pandemica-che-ha-colpito-la-sinistra-di-classe-ii/, si richiamava, per esempio, come si vada estendendo la pratica di salari inferiori al valore della forza-lavoro, ne vediamo ora anche qualche conseguenza, con l’abbandono del lavoro (che qualcuno chiama strike, sciopero!), soprattutto negli Usa, di milioni di lavoratori il cui salario non è sufficiente, appunto, neanche a pagare i minimi beni essenziali per sopravvivere, e/o che rifiutano di sottostare ai mandati vaccinali, cioè al ricatto infame di mettere la nuda vita a rischio con preparati genici sperimentali al solo scopo di accedere a lavori che, al massimo, danno in cambio la riproduzione della vita al puro livello neuro-vegetativo, e, ormai, spesso neanche questo. Ritmo del capitale e ritmo della vita iniziano, perciò, pericolosamente a divaricarsi, e a prospettare, addirittura, la possibilità di confliggere, aprendo al pericolo di conflitti, se non coscientemente, praticamente anti-capitalisti. Qui, perciò, torna in rilievo il secondo insegnamento del fascismo.

Se il totalitarismo capitalista ha ben superato quello fascista, si tratta ora di recuperare necessariamente l’aspetto di disciplinamento attorno allo Stato che il fascismo aveva realizzato. Torna in auge lo Stato quale unico ente capace di assicurare almeno la salute del proprio popolo, ossia della vita ridotta a pura sopravvivenza fisica, a condizione che il popolo si identifichi con lo Stato e militi a difesa delle sue scelte (e, dunque, accetti anche di ridurre la vita a pura sopravvivenza). Ove non si identifichi, c’è sempre la terza lezione del fascismo: isolamento, segregazione, criminalizzazione degli oppositori, e loro repressione, se del caso violenta. Il ritorno dello Stato fa a meno della mediazione-partito, in quanto questo presupponeva una mobilitazione del popolo, che, invece, nel nuovo quadro deve necessariamente essere mantenuto in una condizione di passività, delegando il governo nelle mani degli esperti, di una tecnocrazia capace per definizione di trovare le soluzioni migliori per il bene di tutti, purché tutti vi si disciplinino senza aspirazioni di apportarvi la propria opinione e i propri interessi di classe, neanche di quelli (che il fascismo storico sollecitava) di classe-nazione.

Si può, dunque, parlare di un ritorno del fascismo? Sì, a condizione di aver chiaro che l’essenza del fascismo (il totalitarismo) non se ne è mai andata, anzi è di molto cresciuta da allora e si è qualificata con più forza come totalitarismo capitalista. Quel che, con maggiore evidenza, torna oggi del fascismo è il più rigido disciplinamento sociale e politico attorno allo Stato, e la conseguente maggior forza consensuale di questo a ricorrere, contro gli oppositori, a strumenti repressivi. In questo ultimo punto si inserisce anche l’attacco di Mattarella al diritto di sciopero. Quali sarebbero infatti le violenze che rischiano di bloccare la ripresa economica contro le quali ha inveito? Considerato che il movimento no green pass di violenze non ne ha fatte e non mostra intenzione di volerne fare, si può facilmente comprendere che le violenze sono gli scioperi dei portuali che interrompendo i flussi commerciali attentano, appunto, alla ripresa. Ci si prepara, insomma, a definire lo stesso sciopero una violenza che blocca la riproduzione del capitale e, quindi, la riproduzione della vita sociale e individuale, oltre a essere, come per il fascismo, anti-nazionale.

Ma se il fascismo nella sua essenza totalitaria non se ne è mai andato e in altri aspetti (disciplinamento e repressione) torna ad affermarsi (o consolidarsi) attorno al totem-Stato ri-popolarizzato in quanto ente benefico che sovraintende amorevolmente alla salute del popolo, perché i fascisti vi si oppongono? La loro opposizione è, talvolta, solo di facciata e serve, come il 9 ottobre, a favorire lo Stato nel criminalizzare il movimento contro il pass, ma, non di meno, vi sono da parte loro motivi veri di opposizione, perché essi si fanno paladini del quarto aspetto del fascismo, quello del nazionalismo anti-plutocratico e, in ultima istanza, inevitabilmente conflittuale con gli oppressori della nazione e con i suoi concorrenti economici e politici, che implica una partecipazione attiva di popolo attraverso un partito e/o un movimento nazional-popolare che lo rappresenti e lo inquadri. La loro non è, perciò, solo un’occasionale e strumentale opposizione di facciata, ma è reale, nel senso che, pur condividendo le forme (totalitarismo, disciplinamento, repressione) le vorrebbero tutte al servizio del riscatto del popolo attraverso lo Stato nazional-popolare e non al servizio della finanza e del grande capitale cosmopoliti, anzi contro di loro.

Inutile dire che questo discorso nazional-popolare contro il grande capitale globalista trova agganci molto concreti nella realtà delle cose. La domanda da porre è, tuttavia, se la dinamica in atto possa spingere l’opposizione (nata contro il pass, ma potenzialmente crescente verso le ulteriori misure in preparazione, sul piano politico ed economico-sociale) direttamente nelle braccia dei fascisti oppure dare vita a una ri-edizione di populismo cittadinista e sovranista, con inevitabili differenze rispetto alla prima ondata (più sociale, ma, proprio per questo, più decisamente sovranista).

Quella dei fascisti è una soluzione che fino a un certo punto può svilupparsi dal basso, ma, per potersi affermare, deve trovare spazi decisivi in alto. Non può affermarsi contro lo Stato, ma deve averne la complicità. La complicità di uno Stato che, come negli anni ’20-’30, non si sente più in grado di resistere all’assalto proletario e, per altro verso, di uno Stato che non può più accettare compromessi al ribasso con i partner/concorrenti, ma deve passare al conflitto aperto nei loro riguardi, e deve, perciò, ricostituire una comunità nazionale combattente. La maturazione ulteriore della crisi del capitale può creare condizioni analoghe a quelle dei primi decenni del ’900?

Quanto all’assalto proletario, allora si trattò di rivoluzione in un paese, sia pure arretrato, che fu accolta come esempio da seguire da parte di nutrite sezioni di proletariato europeo, soprattutto giovane e poco vincolato alla precedente esperienza socialdemocratica, messe in movimento dalle drammatiche urgenze sociali ed economiche suscitate dalla guerra. Difficile ipotizzarne la ri-edizione con caratteristiche analoghe. Difficile, d’altronde, ipotizzare non solo le forme, ma la possibilità stessa di un assalto proletario. Con certezza si può dire soltanto che crescono potentemente le condizioni oggettive per la ripresa di un vivace conflitto di classe, ma nessuno può predire né che ciò avvenga all’immediato, né che assuma un carattere rivoluzionario.

Quanto al precipitare della concorrenza tra capitali in scontro tra nazioni e/o loro coalizioni, in generale è sempre più possibile, ma vanno indagate le modalità in cui può concretamente avanzare. Al momento l’Occidente imperialista tende ad agire come un tutt’uno sotto la guida Usa. Non è una guida imposta con la forza o con sotterfugi o in qualsiasi altro modo artificiale, ma è una guida che si fonda su un legame materiale solidissimo, in quanto garantisce a tutti gli alleati di conservare la propria posizione imperialista nei riguardi del resto del mondo. Senza la potenza finanziaria, politica, ideologica, militare degli Usa, le altre mini-potenze occidentali (compresi Giappone e Australia) non avrebbero alcuna possibilità di conservare i vantaggi dello scambio ineguale col resto del mondo, tanto più perché nell’ambito di questo si sono sviluppate due potenze di un certo calibro (Cina e Russia), che, ove mai saldassero organicamente i propri punti di forza, darebbero a un Occidente unito filo da torcere, e potrebbero con una certa facilità prevalere su un Occidente disunito. Di conseguenza ogni eventuale tendenza a sviluppare in un qualsiasi paese della ristretta camarilla imperialista un fascismo che comprenda il quarto elemento (popolar-nazionalismo aggressivo) viene vista come un pericolo da scongiurare a tutti i costi. La possibilità, dunque, che si sviluppi la complicità dello Stato nei confronti di un fascismo nazionalistico è, al momento, da escludere. Tutti gli insegnamenti del fascismo vengono, perciò, messi a frutto, con la sola piccola differenza che il nazionalismo viene integrato all’interno del blocco degli interessi della comunità internazionale che si identifica con la cupola dei paesi imperialisti, mentre viene combattuto il ripresentarsi del fascismo nazionalistico che possa incrinare questo blocco (e, quindi, come detto, viene contrastata la possibilità che si sviluppi il nesso mobilitante popolo/partito). Questo, tuttavia, è possibile se e fino a quando questa comunità può conservare la sua unità di interessi, ma se la comunità si dovesse sgretolare sarebbe impossibile tenere il coperchio chiuso sulla pentola in ebollizione dei fascismi nazionalistici, e, anzi, diverrebbe per ogni singolo Stato necessario piegarsi a loro. Ciò non porterebbe necessariamente a una lotta di tutti contro tutti, ma al ricostituirsi di nuove alleanze su basi e condizioni, non di meno, diverse da quelle attuali.

Per ultimo, non meno importante, per l’affermazione, soprattutto iniziale, del movimento fascista furono, all’epoca, essenziali consistenti settori di ceto medio che si sentivano emarginati dai benefici della vittoria bellica e prima di tutto penalizzati dal forte protagonismo proletario, cui imputavano la responsabilità della mancata affermazione degli interessi italiani nel consesso internazionale e perciò della propria stessa marginalità. Oggi invece i fascisti dovrebbero, in primis, cercare di affermarsi in questo settore sociale in contrapposizione non più a un movimento operaio super attivo (come nel biennio rosso) o al rischio di generalizzazione di esperimenti socialisti come era possibile allora, ma al potere di uno Stato che, sia pure eterodiretto dall’esterno (come sostiene la loro narrazione), impone la propria oppressione a tutto il popolo e non ai soli ceti medi. Almeno al momento attuale, quindi, essi si trovano a far parte di un blocco sociale e di un movimento informe che si oppone a questo Stato e alle esigenze della borghesia dominante. Una bella contraddizione anche per gli aspiranti neomussoliniani…

Per concludere sul punto: il capitale ha fatto sua l’esperienza totalitaria del fascismo, sottomettendo la vita sociale e individuale al proprio diretto e completo servizio, come il fascismo l’aveva messa al servizio dello Stato quale mandatario del riscatto del popolo e della patria. A questo si unisce, oggi, la riesumazione di altri caratteri fondamentali del fascismo (disciplinamento sociale, che, a differenza del fascismo storico, non promuove mobilitazione attiva del popolo, ma anzi ne esige la sua totale passività; criminalizzazione, isolamento e repressione dei dissidenti), mentre viene contrastato con ogni mezzo il rischio di sviluppo del carattere nazional-popolare aggressivo contro i partner/concorrenti. Questo ultimo carattere è quello che, al contrario, fornisce l’identità principale ai fascisti, i quali potrebbero, in astratto, trovare terreno favorevole in un movimento che contrasta, per quanto confusamente, il capitale globalista, ma le condizioni che permisero al fascismo di affermarsi, pur essendo storicamente, almeno in buona misura, riproducibili, di sicuro non lo sono in questo momento, e non lo saranno se non quando si realizzassero: 1. una violenta implosione del blocco imperialista; 2. il prendere forma di un assalto rivoluzionario del proletariato e, 3. un’attivizzazione dei ceti medi con forte carattere anti-proletario.

Seconda ondata di neo-populismo?

Come si riflettono queste questioni nel movimento contro il Gp e l’obbligo vaccinale?

Nelle piazze della protesta contro il pass è diffusa la sensazione di un ritorno del fascismo. Quando si grida ora e sempre resistenza si vuole intendere la resistenza contro il dispositivo di potere dello Stato di intervenire nella vita di ciascuno imponendogli trattamenti sanitari discutibili, di disporre con il pass (con i lockdown e il new normal del distanziamento sociale) quante e quali relazioni sociali, sindacali, politiche avere, e a quali condizioni, di imporre versioni ufficiali delle cose con la criminalizzazione di ogni dissenso, nonché il ricorso a strumenti tradizionali e via via più sofisticati di controllo e di repressione. Viene, perciò, interpretata correttamente come fascista la svolta autoritaria dello Stato coperta col dominio della tecnocrazia (ciò che gli antifa non riescono neanche a vedere, mentre sono mobilitati contro i fascisti, contribuendo, così, a contrastare solo e soltanto lo sviluppo del quarto insegnamento del fascismo, ossia il popolar-nazionalismo aggressivo… che, come si è visto, potrebbe creare qualche problema al globalismo sotto egida Usa). Viene, solo parzialmente, avvertita la minaccia del totalitarismo capitalista, attribuita non al capitale nel suo insieme ma solo al grande capitale finanziario, tech e pharma, terreno favorevole a sviluppare un popolar-nazionalismo anti-plutocratico, ma che contiene, a determinate condizioni, la possibilità di svilupparsi in una opposizione totale al capitale.

Il sentimento anti-fascista delle piazze è, dunque, genuino e coglie alcuni aspetti reali del fascismo storico che stanno tornando in auge. Insieme a questo sentimento si sviluppa, anche come forma di resistenza concreta, la sollecitazione a mobilitarsi in quanto popolo per contrastare questa svolta e ritornare a una situazione di democrazia che restituisca al popolo la sua libertà dall’autoritarismo Stato/grande capitale e la sua sovranità nelle scelte politiche e governative. Terreno che contiene l’ambivalenza: sviluppo in senso nazional-popolare (con praterie di possibilità aperte ai fascisti) o sviluppo in senso classista. In sottofondo rimane, almeno per ora, la necessità, ma anche la difficoltà, di organizzare il popolo in partito, anche perché pesano ancora le esperienze negative di M5S e della stessa Lega di Salvini, che contribuiscono a diffondere diffidenza verso le ipotesi di far pesare elettoralmente le proprie opinioni. Non di meno, prima o poi l’esigenza del partito tornerà a farsi sentire, vuoi per conferire un inquadramento più complessivo e organico alla resistenza, vuoi per ritentare soluzioni elettoralistiche.

La tendenza che, perciò, più probabilmente può prendere forma da un eventuale (e non scontato…) consolidarsi della resistenza contro pass, obbligo vaccinale, società del controllo, e della sua eventuale estensione ad altri temi di carattere politico ed economico-sociale, è quella di un populismo cittadinista e sovranista, che contiene al suo interno la possibilità di svilupparsi nel senso fascistico tradizionale (sebbene vincolata dal concretizzarsi di alcune variabili sia interne che internazionali oggi non all’orizzonte), ma anche quella opposta di svilupparsi in una opposizione a tutto campo contro il capitale con caratteri di classe. Il terreno su cui si può sviluppare la contro-rivoluzione è (come sempre) lo stesso su cui si può sviluppare la rivoluzione, e sono molte le variabili che possono decidere dell’uno o dell’altro corso.

Oltre ad alcune differenze tra la prima e la seconda (potenziale) ondata di neo-populismo già individuate, ce n’è un’altra di importante rilievo. Se alla prima ondata è stato, giocoforza, necessario lasciare un certo spazio elettorale e persino governativo, alla seconda non si potrà concedere nulla sul secondo piano e, di conseguenza, neanche sul primo. La prima ondata non ha conseguito alcun reale obiettivo, ma ha provocato un ritardo nell’incalzare del ritmo delle riforme necessarie al capitale, avendolo costretto a impiegare una manciata di anni per sottomettere o destrutturare dall’interno e dall’esterno i soggetti politici che l’avevano tradotta sul piano elettorale. Alcun ritardo potrà mai più essere concesso. La gestione della pandemia, la diffusione della medicalizzazione della vita e della società, l’estensione di un controllo sociale totalitario, hanno già permesso un salto ulteriore verso la governamentalità tecnocratica che spoglia di potere il meccanismo democratico-elettorale (e sottrae, anzitutto, spazio al compromesso nei conflitti sociali e alla loro stessa espressione sul piano politico-sindacale), ma, se del caso, non ci saranno esitazioni a utilizzare contro lo sviluppo di tendenze neo-populiste tutti i mezzi necessari per destrutturarle fin dal loro tentativo di divenire soggetti politico-elettorali. All’esperienza accumulata nel denigrare, ricattare, circuire e manipolare si sta, ormai, unendo anche la capacità di manipolare, se necessario, gli stessi risultati elettorali. Se Grillo poteva rivendicare a sé il merito di avere, con il successo elettorale dei 5S, depotenziato e impedito nell’interesse del sistema le esplosioni di rabbia sociale, il nuovo neo-populismo rischia di non poter agire neanche in questo senso. Ciò potrebbe aprire a prospettive di radicalizzazione delle forme di lotta e, di conseguenza, anche di quelle organizzative. E potrebbe aprire anche a una radicalizzazione dei contenuti, rivendicazioni, programmi, in una direzione più classista. Ciò rende il green pass ancora più urgente, non come mero strumento per l’obbligo vaccinale, ma come primo passo per implementare in tempi stretti un sistema di controllo sociale e di dispositivo di comando che utilizzi al meglio la possibilità di repressione preventiva fondata sulla capacità predittiva dei comportamenti individuali e sociali.

Sciogliere le ambivalenze in senso classista e anti-capitalista

Si può fare qualcosa per cercare di favorire lo scioglimento delle ambivalenze in senso classista e anti-capitalista?

Nelle mobilitazioni contro il pass e l’obbligo vaccinale sono presenti, anche se minoritarie, posizioni di piccoli gruppi e singoli compagni che si sono sottratti alla deriva della sinistra di classe, e che sviluppano la critica al Gp, all’obbligo vaccinale e alla gestione della pandemia sulla base di un discorso anti-capitalismo totale e, insieme a ciò, cercano di mettere al centro della mobilitazione il proletariato, con la sua potenzialità di lotta e con le sue necessità di resistere agli attacchi politici, economici e sociali che la gestione della pandemia gli sta portando e che il neo-autoritarismo permetterà di approfondire in sommo grado. D’altronde non si tratta del solito attacco anti-proletario sul piano economico-sociale, ma di una generale ristrutturazione del capitale nel suo insieme e dei rapporti sociali, economici, politici e geo-politici su cui fonda il proprio dominio. Lo sviluppo della scienza e della tecnica offrono, ormai, degli strumenti sofisticati di dominio politico e bio-politico sul corpo individuale e sociale e i teorici del Grande Reset non nascondono certo i loro scopi di implementare il transumanesimo, una combinazione di corpo e macchina con il comando da remoto delle macchine, che renderebbe gli uomini sempre più simili al secolare ideale capitalistico di uomo-macchina, altamente produttivo e scarsamente resistente. La sinistra di classe arriva a questo appuntamento nella completa ignavia, se non addirittura lasciandosi suggestionare dai progressi della scienza e della tecnica. Si continua a montare la guardia al bidone (vuoto da quel dì…) del capitalismo di fine ’800, di cui il marxismo positivista della II Internazionale ammirava adorante lo sviluppo delle forze produttive, sulle quali aspirava a mettere le mani dopo un adeguato sviluppo dell’organizzazione proletaria sul piano economico-tradeunionista con susseguente “presa dello Stato”. Chi resiste alla sua deriva e ha archiviato, a tempo debito, le illusioni tradeunionistiche, deve, perciò, spesso costruire quasi dal nulla una critica a tutto campo della ristrutturazione in atto, e si trova a dover contrastare, all’interno di un movimento che inizia a confrontarsi con i primi effetti di essa, impostazioni critiche che hanno una direzione opposta. Le considerazioni su queste problematiche contenute in https://ilrovescio.info/2021/11/08/sulla-nave-dei-folli/ sono del tutto condivisibili, e segnalano l’elevato livello di complicazioni con cui i militanti anti-capitalisti devono, ormai, confrontarsi.

Anche se queste forze fossero più cospicue difficilmente potrebbero fare di più o conseguire maggiori risultati. Quel che decide dello scioglimento in senso classista delle ambivalenze è, in ultima istanza, nelle mani della classe stessa.

L’iniziativa dei portuali ha fatto da leva poderosa a un protagonismo proletario, ma si è anche immediatamente scontrata con la ritrosia a mobilitarsi della grande massa proletaria. Si è compreso già il 15 ottobre, quando è stato chiaro che erano rimasti praticamente soli (tranne gli operai della manutenzione stradale di Napoli) a contrastare il governo con scioperi e blocchi delle attività economiche. La partita, ovviamente, non si è chiusa lì, ma il problema posto è rimasto tutto sul tappeto.

Il movimento contro il Gp ha accennato, con l’iniziativa dei portuali, a una possibile trasformazione da movimento di opinione in movimento di costrizione, ma per determinare i rapporti di forza necessari a costringere il governo al ritiro delle misure il movimento deve, anzitutto, conservarsi e, insieme, estendersi, aprire crepe nella base di consenso (attivo o passivo) del governo. Si pone, perciò, il problema di resistere nella mobilitazione per cercare di agganciarsi ad altri fatti che potrebbero incrinare il fronte avverso: stanchezza dei lavoratori vaccinati nel dover sopperire all’assenza dei non-vaccinati, resistenza alla terza dose alimentata dall’emergere di effetti avversi e della scarsa efficacia contro il Covid, inoculazione dei bambini, maggiore evidenza che il Gp è solo il primo passo verso strumenti di controllo più generali e più pervasivi, e, soprattutto, l’emergere della politica governativa anti-proletaria e anti-ceti medi impoveriti.

La congiunzione della lotta al Gp e all’obbligo vaccinale con la resistenza ad altre misure del governo sarebbe, naturalmente, il terreno più favorevole per imprimere un’ulteriore spinta di classe alla mobilitazione, e, allo stesso tempo, il modo per rendere possibile la vittoria almeno sul terreno dell’obbligo vaccinale e del Gp. Per scongiurare questa saldatura entrano in gioco i sindacati confederali e quelli di base (con unica eccezione del Sol Cobas e di qualche sezione territoriale di altri sindacati di base), cercando di intercettare i primi dubbi di parte proletaria verso le politiche draghiane per tenerli rigidamente separati dalla questione Gp e obbligo vaccinale, nonché sulla gestione della pandemia.

Landini fa la pantomima con Draghi sulle pensioni. La Fiom minaccia addirittura lo sciopero generale. Entrambi evitano qualunque collegamento con Gp, vaccinazione e gestione della pandemia, anzi continuano a sostenerli e sono pronti a disciplinarsi a ogni nuova restrizione da parte del governo. Il capolavoro, però, lo fanno i sindacati di base che denunciano le politiche economiche e la repressione del governo, ma che evitano ogni seria denuncia del Gp (destinato a implementare il meccanismo repressivo dello Stato del capitale che dominerà la prossima epoca!) e ogni critica alla politica di vaccinazione di massa e della gestione della pandemia, che sono i due presupposti decisivi per mettere in atto le politiche di aggressione al proletariato e ai ceti medi, dopo averli sottomessi alla beneficenza dello Stato e sterilizzati nelle capacità di resistenza con l’obbligo di distanziamento sociale permanente, del divieto di assembramento, assemblea fisica, ecc.

Le forze che avrebbero, teoricamente, potuto veicolare tra i lavoratori il messaggio dei portuali erano contenute nello strato di militanti sindacali sui posti di lavoro. La Cgil ha immediatamente blindato i suoi, in accordo col governo, contro i fascisti e gli egoisti no-vax. Dal governo otterrà qualche concessione di facciata su qualche dettaglio delle varie riforme. I sindacati di base hanno tenuto i propri militanti a distanza di un movimento piccolo-borghese e li hanno messi al servizio del governo per aiutarlo a inoculare tutti con sieri genici sperimentali e stemperare l’opposizione al Gp in quanto strumento inutile o al più discriminatorio solo sul lavoro (che i lavoratori siano discriminati nelle relazioni sociali poco importa, così imparano a volersi distrarre dai compiti produttivi!). Dal governo non otterranno neanche concessioni di facciata. Nel caso di questi ultimi la situazione è davvero demenziale. Non vedono l’unitarietà e consequenzialità della politica governativa. Persino Massimo Cacciari capisce che le politiche anti-pandemia preparano riforme del lavoro che toglieranno ai sindacati ogni libertà di iniziativa. Loro non se ne avvedono.

Per sviluppare in senso classista le potenzialità del movimento anti Gp e vaccini è, insomma, necessario che si sviluppi una nuova leva di militanti proletari. Gli ostacoli da superare sono, indubbiamente, notevoli. La più parte dei lavoratori che hanno sviluppato resistenza ai sieri genici e hanno cominciato a contrapporsi al Gp quale strumento di ricatto vaccinale, non hanno esperienza di militanza sindacale o politica per affrontare la riluttanza dei colleghi e il loro assoggettamento ai diktat governativi. Difficile anche per quelli che militanti sindacali lo sono e che per lottare contro il Gp hanno trovato nel sindacato stesso un invalicabile muro, finendo con l’essere costretti a doversene dimettere.

Una nuova leva, perciò, tutta da costruire e che, forse, potrebbe iniziare a manifestarsi se la critica al Gp e ai vaccini (terza, quarta dose, vaccinazione dei bambini, ecc.) dovesse estendersi ad altri settori di lavoratori.

Anche in questo aspetto (al momento, senz’altro critico) si evidenzia un cambio di paradigma che segna la nuova epoca. Non è più tempo per maturare prima un’esperienza sindacale che possa, in seguito, trascrescere in lotta politica, ma è un’epoca che esige il contrario: la necessità di lotta politica contro la totalità dell’oppressione capitalista richiama quella di sviluppare un’iniziativa sindacale, intesa non tanto come organizzazione sul terreno delle rivendicazioni economico-sociali (che, pure, è indispensabile che non si abbandoni mai), quanto nell’aspetto di organizzazione delle forze proletarie per lo scontro sul terreno politico.

Lotte contro la gestione della pandemia, lasciapassare e obbligo vaccinale ce ne sono in mezzo mondo. Ovunque settori di proletariato si sono trovati coinvolti nel conflitto. Da nessuna parte sono emersi segnali di nascita di una nuova leva di militanti proletari, anche dove (come a Melbourne) è stato evidente come il ruolo del proletariato potesse essere decisivo per bloccare i piani dei governi.

Siamo, in ogni caso, solo all’inizio. Pandemia, sieri genici, lasciapassare sanitario sono solo i primi passi di una grande ristrutturazione dei rapporti tra le classi e di quelli geo-politici. Le proteste avute finora sono, pur nei loro limiti, incoraggianti, soprattutto dopo un anno e mezzo di paralisi sociale e politica dovuta al terrore pandemico. Se sono vere le dichiarazioni di Biden al G20 di Roma a proposito del fatto che forse è meglio imprimere alla transizione ecologica un ritmo meno pressante di quello rivendicato dalla grande finanza (e da Greta…), forse qualche cosa hanno già prodotto, qualche crepa la hanno già aperta. Non si può prevedere se le parole di Biden (per quel che vale…, peraltro) siano premessa alla rinuncia di passare, senza soluzione di continuità, dall’emergenza pandemica a quella climatica e/o energetica, ma, senza dubbio, le proteste crescenti (e internazionali!) a sieri e Gp lasciano trasparire il rischio che quel passaggio non si prospetti, per il grande capitale, propriamente indolore. E, se dovessero rimandare quel passaggio, diverrebbe sempre più complicato estendere all’infinito l’emergenza pandemica… ma non è l’occasione per andare oltre nelle considerazioni generali e in quelle geo-politiche, su cui, non di meno, sarebbe necessario indagare, in quanto hanno, entrambe, conseguenze dirette sul piano di ristrutturazione generale del capitale e anche su sieri e Gp.

Nicola

L’articolo è frutto del confronto di un gruppo di compagni che condividono la proposta di avviare un collegamento tra militanti per la riflessione, la discussione e l’iniziativa politica per il rilancio di una tendenza anti-capitalista che sia all’altezza della nuova fase di dominio totale del capitale. Per chi sia interessato a contribuire: connessioni_militanti@protonmail.com

25 nov. 21