Kenosha, mi dispiace morire

Tratto da https://noinonabbiamopatria.blog/2021/11/21/kenosha-mi-dispiace-morire/

Kenosha, mi dispiace morire

Kenosha, I do mind dying

Da Il Will Editions – 17 novembre 2021 (Inhabit)

Presentazione di Noi non abbiamo patria

Il testo proposto è stato pubblicato da Ill Will ed è del 17 novembre 2021, pochi giorni prima che Kyle Rittenhouse fosse dichiarato non colpevole per l’omicidio di Joseph Rosenbaum e Anthony Huber e per il ferimento di Gaige Grosskreutz il 25 agosto 2020 durante i giorni di rivolta scoppiati a Kenosha a seguito del ferimento di Jacob Blake da parte degli ufficiali di polizia della cittadina del Wisconsin. Giorni di rivolta che riannodarono i fili della insorgenza contro il razzismo sistemico scoppiata a fine maggio dello stesso anno in seguito all’assassinio di George Floyd.

Questo testo è una importante lucida riflessione sullo stato reale delle cose che ha determinato gli eventi di Kenosha, che lascia al movimento degli sfruttati proletari di ogni colore domande su come affrontare l’orizzonte tumultuoso che si appresta. Non è una riflessione nel merito del processo giudiziario in sé, ma della causa a monte che ha determinato la sua precisa attuale rappresentazione.

Pochi giorni dopo, come esito scontato, l’adolescente bianco è stato assolto da tutte le accuse!

La giuria ha sentenziato che egli è innocente, egli era lì di fatto in una azione generosa a supporto dell’impegno della Guardia Nazionale, delle truppe della Polizia della Contea e di altre spontanee milizie bianche provenienti da altre contee tutti in difesa delle “proprietà private” minacciate dai rivoltosi. Ha ucciso quindi per legittima difesa della proprietà privata fondata sul privilegio capitalista dei “bianchi”. La giustizia borghese realizza il suo equo giudizio correttamente guidato dal criterio dello stato di diritto borghese che la società basata sul modo di produzione capitalistico ha determinato per la conservazione delle proprie relazioni di dominio di classe.

Il giudice che ha presieduto la corte del tribunale ha chiarito più volte che “questo non è un processo politico”!

Se l’esito del giudizio è dunque corretto dal punto di vista del diritto borghese (per cui questo blog non se ne dispera), è una infamante falsità affermare che il processo Rittenhouse non sia stato politico. A dimostrare il sottofondo reale del dominio di classe che lo ha assicurato c’è il dispiegamento della Guardia Nazionale a Kenosha in forze ancor maggiore di quelle viste operare durante i giorni del processo a Derek Chuavin condannato per l’assassinio di George Floyd. Così come mai come durante i precedenti processi per fatti simili avvenuti negli ultimi sette anni il processo all’adolescente Kyle abbia mobilitato fin sotto l’aula del tribunale segmenti sociali contrapposti a fronteggiarsi di bianchi sostenitori dell’innocenza del giovane e di neri e bianchi uniti che chiedevano giustizia contro il suprematismo bianco e razzista.

Successivamente alla sentanza di non colpevolezza piena, in maniera coordinata ed organizzata il venerdì sera del 19 novembre 2021 a Chicago, Los Angeles, Portland e New York giovani facce nere, bianche e marroni si sono dati appuntamento nelle strade schiumanti rabbia nelle downtown delle città, delle suburb ed exurb metropolitane in solidarietà con la Kenosha infamata.

Grossi centri commerciali e negozi di marchi multinazionali sono stati saccheggiati, Luis Vitton di Chicago è stato “svuotato”, ma i target della rabbia giovanile multirazziale non si è limitata a questi. C’è un istintivo ma ponderato attacco alle cattedrali delle merci, in quei luoghi dove il valore socialmente prodotto ed espropriato si realizza in profitto. Non si saccheggia per una necessità primaria, questo oramai dovrebbe essere chiaro anche agli sciocchi. Si vuole attaccare l’unico anello raggiungibile della catena della produzione e realizzazione del valore capitalistico accumulato da questo proletariato multirazziale che vive nello stato cronico di precarietà ed incertezza.

Certamente una insorgenza effettivamente efficacie ad colpire duramente la catena di espropriazione de oppressione capitalistica dovrebbe aggredire gli anelli della catena dell’accumulazione a partire laddove il rapporto del modo di produzione produce quel valore globale messo in vetrina. Ma questa è una utopia che non tiene conto dei fattori materialistici. Quel valore (di Nike, Apple, Luis Vitton, IBM, ecc) in massima parte è prodotto altrove, così come non si comprende la profondità di mutamento della nuova geografica capitalistica che attraverso la selvaggia deindustrializzazione e la realizzazione delle isole toyotiste delocalizzate del just in time hanno prodotto nel corpo proletario. Rimangono i percorsi della lotta attraverso i riot, i saccheggi come modalità e corridoi per questo nuovo proletariato meticcio per stringere relazioni, collegamenti, solidarietà e comunità (ed organizzazione, perché un saccheggio di massa disperso in varie zone dell’area metropolitana richiede sempre un certo grado di organizzazione della massa priva di coscienza). E non solo: solo su questo terreno il giovane proletario bianco può mettere alla prova se stesso, spinto dalla radicalità di quello nero che prima lo vedeva col sospetto di essere in definitiva un alleato bianco ma che non era disposto a mettere in discussione il proprio privilegio di razza che la divisione sociale del lavoro – basata sulle linee del “colore – ha determinato fin dalle sue fondamenta capitalistiche.

Non è un caso che Anthony e Joseph erano due bianchi, ed in queste ultime 24 ore i giovani neri gridano di rabbia per i loro fratelli bianchi uccisi e umiliati dalla giustizia borghese.

Questo è un terreno potenziale della lotta dove la radicalità indomita e storica della ribellione dei neri si incrocia tracimando dietro di se un giovane proletariato senza riserve bianco che potrebbe produrre consapevolezza, o che comunque segnala l’approssimarsi di un nuovo orizzonte della lotta proletaria dopo la sconfitta del vecchio movimento operaio e della classe operaia organizzata del secolo scorso sotto i colpi della crisi sistemica del capitale. La riflessione anonima proposta ci chiarisce perché la ribellione accade con queste forme e modalità, che cosa sottendono i fatti inediti di Kenosha del 2020 e di oggi in tutta la loro drammaticità. Perché questi avvenimenti segnalano un salto di fatto in avanti rispetto alla radicalità dell’insorgenza dei neri nei movimenti degli anni ’60 e ’70.

Le exurb del Midwest sono un particolare girone infernale in cui gli incubi del Novecento tormentano i vivi. Le doppie promesse fallite di fuga dei bianchi e i sogni della classe media nera ora si fondono in uno dei terreni più segregati degli Stati Uniti. Quartieri scarsamente illuminati, povertà visibile e una sensazione pervasiva di senza via d’uscita formano l’arazzo culturale di città come Kenosha.

Quanto velocemente questo terreno è diventato una zona di guerra. Lo spargimento di sangue in sé non era una novità: c’erano stati colpi di arma da fuoco dall’inizio della rivolta, con oltre venti morti tra maggio e novembre. Ricordiamo che solo cinque anni fa i veterani neri dell’Iraq a Dallas e Baton Rouge hanno reagito immediatamente. Erano passati solo due anni da quando Chris Dorner aveva causato da solo una crisi in tutta la contea conducendo una guerra non convenzionale e asimmetrica contro la polizia di Los Angeles per la sua corruzione interna e il razzismo. Ci sono centinaia di milioni di armi in America e una popolazione indurita da una storia di sconfitte, guerre infinite e massacri pubblici. Facciamo fatica a dare un senso a Kenosha perché la sua verità è più terrificante delle teorie del complotto.

La classe operaia americana avrebbe presto seguito l’esempio. Dopo i compromessi sindacali del dopoguerra, Kenosha fu uno dei tanti in una costellazione di città industriali che vendevano il sogno americano ai lavoratori. Come le suburb e le exurb di Detroit, questo scambio è stato fatto sulla base del rifiuto delle solidarietà di classe e, in particolare, della soppressione di ogni legame tra la lotta di classe e il movimento per i diritti civili. Questa frattura fu solo ulteriormente esacerbata durante i tumultuosi anni Sessanta e Settanta. La posizione reazionaria dell’AFL riassume la debolezza della strategia democratica nell’ultimo mezzo secolo: il ritiro dalla lotta di classe è costato tutto ciò che ha cercato di proteggere. In nessun luogo questo patto catastrofico è più ovvio che a Kenosha.

Incapace di fermare l’ondata di automazione, la fabbrica di assemblaggio di auto di Kenosha è passata da 16000 lavoratori negli anni Sessanta a 6000 nel 1988, quando la Chrysler ha finalmente chiuso il negozio. Nel 2009, solo 800 lavoratori potevano fare poco più che radunare e sventolare segnali dal loro deserto di autostrade e centri commerciali, mentre i CEO di Chysler hanno intascato il salvataggio del governo e hanno posto fine a tutte le operazioni.

Non è un caso che la ribellione di George Floyd sia iniziata nel Midwest, prima di estendersi alle città costiere. La ribellione ha le sue radici tra i nipoti del movimento operaio sconfitto. È stato un incontro atteso da tempo tra persone che lottano da secoli, attivisti militanti ispirati da immagini di ribellione nazionale che sapevano di avere molto da imparare, bande che operano su tregue informali e giovani selvaggi che vivono in un tempo senza futuro.

E qui si fa riferimento su che cosa sia la base sociale di massa del trumpismo sociale, che non può trascrescere per la parte proletaria bianca in qualche cosa differente dal suprematismo reazionario se non attraverso un conflitto aperto.

Il resto del pezzo è più cupo, in merito alla prospettiva aperta circa i caratteri di questo conflitto aperto non riassorbibile. Descrive un percorso intricato, per nulla affatto di semplice soluzione, dove le via di fuga “nichiliste” attraverso l’uso autodistruttivo della violenza e delle armi e di come quest’uso possa separarsi dalle motivazioni etiche per cui quella violenza è funzionale alla autodifesa della nuova vita sociale e comunitaria che è costretta ad affermarsi sotto i colpi reali del capitale.

Gli Stati Uniti d’America, il luogo più sviluppato e profondo delle relazioni determinate dal modo di produzione capitalistico è anche il luogo dove le relazioni sociali si manifestano con la più cruda violenza, non come retaggio di un passato, ma per culmine il culmine raggiunto dal suo processo storico di sviluppo. E’ il luogo dove insieme al culto del valore e del profitto ha realizzato una sovrastruttura ideologica di massa basata sulla proprietà privata e la sua difesa armata da parte del singolo cittadino o del gruppo sociale di affinità. Una sovrastruttura di massa che la crisi sistemica del capitalismo ha ulteriormente rafforzato forgiando una psicologia di massa che si muove dal culto della violenza alla cultura della guerra, che nell’ingovernabilità della sua crisi tende come contro insorgenza di ingabbiare i conflitti sociali e di classe futuri (come lascia riflettere il testo) secondo una dicotomia tra cittadino o terrorista che il processo a Kyle Rittenhouse ha messo in scena. E’ un’America già abbondantemente divisa a metà su tutte le faglie delle contraddizione generale capitalistica che si aprono come voragini: la perdita di leadership nello scenario plasmato dal dopoguerra che scuote le consolidate mediazioni tra le classi sotto l’egida delle divisioni secondo le linee del colore, la delusione per i sacrifici e le ritirate delle guerra infinite, la pandemia e le sue contraddizioni sanitarie, i folli massacri pubblici nelle scuole e nei luoghi di socialità gentrificata, la violenza economica e razziale. Una dicotomia in cui scagliare in un scontro civile e violento privo di quel valore etico e politico di classe, che verrà condotto piuttosto che nella retorica della guerra civile del passato storico o con le bandiere dell’antifascismo contro il fascismo del passato recente, nel suo riadattamento temporaneo tra liberalismo/libertà e governance tecnologica totalitari. Gli interpreti interscambiabili tra “destra” e “sinistra”.

La possibile via di attrazione a questo preludio è data proprio da una necessità insopprimibile a dover e voler continuare a reagire con l’autodifesa alla violenza generalizzata dello Stato e della destra sociale cui l’improvviso e a sbalzi movimento multirazziale degli sfruttati è continuamente sottoposto.

…Dopo il lungo 2020, la posta in gioco sembra più alta. Kenosha mi suona nell’orecchio ogni volta che sparo il mio AR. L’estate fatale ha restituito uno spettro di forza alla politica dei giornali, con la pandemia un costante promemoria della fragilità di tutto. Le linee guida in America continuano e ci siamo tutti uniti alla mischia.

C’è un futuro non così lontano in cui tutte le centinaia di milioni di armi negli Stati Uniti, tutti i nuovi negozi di armi di sinistra, tutti i LARP dei tiri al piattello e la pratica del fuoco di copertura e delle esercitazioni di combattimento ravvicinato, daranno origine a una situazione ancora più sanguinosa di quella che si è sviluppata nel 2020. Se il liberalismo al centro del possesso di armi americano continua a infettare e avvelenare la crescente cultura delle armi “di sinistra”, allora gli adolescenti disamorati simpatizzanti della sinistra potrebbero essere spinti a commettere atrocità nichilistiche simili a quella delle loro controparti 8kun. Non è questo il terreno su cui vogliamo combattere. In questo futuro, la violenza continua a essere pornografica e le questioni etiche alla base dell’uso della forza rimangono senza risposta.

Se la nostra immagine della guerra non può spezzarsi con una fantasia di annientamento, ci troveremo sempre a lottare per afferrare una tragedia da noi stessi creata. Esiste invece un mondo in cui non si fugge dalla violenza – dove i guerrieri sono chiamati alla guerra – ma dove quella disposizione verso la morte è un prolungamento della nostra celebrazione di una vita eccessiva ed esuberante? Come possiamo affrontare con sobrietà il futuro oscuro che ci attende, continuando a celebrare lo spirito del 28 maggio, la notte in cui è bruciato il Terzo Distretto?

In sostanza si vuole far riflettere su come il trascinamento dentro uno scenario di violenza possa non far perdere di vista la sua ragione “etica” che sottende alla necessaria autodifesa che non esclude la violenza per cui ancora oggi viene celebrato l’incendio del Terzo distretto di polizia di Minneaopolis dello scorso 28 maggio 2020?

Se si determinano milizie spontanee in difesa reazionaria dello stato di cose esistente, affondando nella sovrastruttura ideologica di massa circa il diritto all’uso ed al possesso delle armi, questa stessa sovrastruttura sta permeando settori di proletari neri e bianchi a seguire le stesse mimiche. È un fenomeno sociale che rischia di diventare a-politico tra generazioni di nuovi militanti insorgenti neri e bianchi alienati dal movimento delle masse. Segmenti sociali che si distaccano dalla massa che si compone nelle battaglie e nelle proteste di massa di strada, attuando un professionalismo armato di autodifesa ed addestrato alle tecniche militari e nei campi di tiro per la gioventù antirazzista e anticapitalista. Non è più un esercizio che possa riproporre la riedizione utile dell’autodifesa armata del Black Panther Party contro la violenza dello stato e della polizia. Rischia di diventare qualcosa che spezza in negativo la necessaria domanda e risposta all’autodifesa proletaria di massa. È una questione “etica”, ci dice il testo proposto, che effettivamente è già emersa lo scorso anno a Portland quando la rivolta contro il razzismo sistemico si è dovuta confrontare sotto il triplice attacco della polizia del sindaco giovane sindaco democratico Ted Wheeler, delle forze speciali federali del DHS di Trump e William P. Barr e delle carovane dei suprematiste della middle class bianca (generalmente intesa). Come realizzare la necessaria autodifesa degli sfruttati e dei razzializzati? Portare in strada un mitra e metterlo in bella mostra ai margini del corteo, o indossare una rivoltella nei pantaloni e far sapere a chi ti sta vicino che in caso ci si possa proteggere? Come l’autodifesa militante possa non separarsi dalla auto attività della massa che lotta ed alienarla a funzioni di corpi militari scelti? Questa non è una questione di tattica militare, è una questione che ogni rivoluzione sociale si è trovata ad affrontare.

La dinamica in cui Kyle Rittenhouse potè facilmente ammazzare due ribelli bianchi antirazzisti durante la rivolta dei neri a Kenosha è emblematica. Kyle stava lì ai margini del corteo seguendolo passo passo come mostrato da diverse registrazioni visive delle telecamere di sicurezza. Si poteva pensare fosse uno dei “nostri”, uno di quei giovani esuberanti che hanno iniziato a scendere in strada col mitra in spalla come presenza difensiva dei rivoltosi. Poi o qualcuno lo riconobbe per averlo visto qualche mezz’ora prima ricevere rifornimenti di acqua dai militari della Guardia Nazionale o davanti al Dipartimento di Polizia (di fatto definendolo come uno delle milizie bianche a supporto della Thin Blue Line dello stato e della polizia), oppure perché si precipitò con mitra spianato alla prima vetrina scassata di uno shop nei pressi di una stazione di benzina.

Smascherato il suo ruolo di infiltrato pronto ad agire armato (non isolato ma aggregato insieme ad altri) a difesa di qualsiasi proprietà privata attaccata, il diciasettenne Kyle ha sparato tre volte ed ucciso due volte. Questa è la reale ricostruzione dei fatti e la giustezza della etica borghese per cui lui è “innocente” in quanto ha agito per legittima difesa (dello stato di cose presente). Ma questa realtà svela anche l’incongruenza circa come possa determinarsi l’autodifesa in uno scenario di quasi guerra di classe, dove il non aver sciolto la questione dell’autodifesa esponga le masse in lotta. La risposta a questa domanda non è di tipo tecnica organizzativa, ma tipo etica nel senso di politica e di prospettiva della lotta di massa degli sfruttati ad ampio raggio e sulla necessità di svelare la falsa rappresentazione del conflitto che le forze economiche che ci dominano determinano facendo emergere la ragione e causa profonda del conflitto in insorgente atto: la rivoluzione sociale attraverso la lotta rivoluzionaria abolizionista del razzismo sistemico capitalista contro la violenza e l’oppressione del capitalismo razziale.

…In un certo senso, la cultura delle armi di sinistra che è cresciuta dal 2020 si concentra sulle sue debolezze politiche piuttosto che sulla forza della tecnica. Anche se è vero che “ci teniamo al sicuro”, prendere le armi cambia il tuo orientamento al mondo in modi più fondamentali della capacità di proteggere te stesso o la tua comunità. Devi convivere con la capacità della violenza, un’appendice che avrebbe dovuto essere amputata da noi molto tempo fa. Devi essere responsabile e tendere a questa capacità, esercitando la tua tecnica, pulendo e mantenendo le braccia e affinando il tuo talento. Allo stesso modo c’è qualcosa che va ben oltre il punto in cui si posiziona una museruola. Come usare una tecnica è una questione etica. Rispondere a questo in pratica ti collega a un mondo.

Questo attaccamento è il modo in cui anche le tecnologie ci usano sempre. Non abbiamo solo bisogno di aggiungere tiri al piattello e occhiali per la visione notturna al nostro repertorio per prepararci alla guerra civile, un impulso verso il quale le tecnologie che prendono la vita ci spingono. Invece, una dimora robusta nel mondo delle armi potrebbe significare anche vedere attraverso la pistola il suo altro lato: vivificante…”

E’ ovvio che qui non vi è la ripetizione di una domanda la cui risposta è al momento impossibile, soprattutto reiterando programmi, organizzazioni e strategie che sono l’orpello inadeguato di un ciclo passato del conflitto e dello scontro di classe.

Rimane la rappresentazione reale di un processo penale ancor più incubatore di materiale incendiario di quanto lo è stato quello per l’assassinio di George Floyd e di Breonna Taylor ancor prima. Tanto più che Kyle Rittenhouse è stato assolto, mentre i poliziotti assassini di Breonna Taylor non sono stati nemmeno incriminati e portati a processo per omicidio.

Questo processo ha queste caratteristiche più accentuate non tanto perché Kyle sia stato assolto. Le ha soprattutto perché si tratta dell’assoluzione con formula piena per l’assassinio due giovani bianchi antirazzisti durante una rivolta dei proletari neri. Non si poteva condannarlo, perché qui il livello della contraddizione è più incandescente. Si “concede” quasi d’obbligo condannare un poliziotto bianco per aver intempestivamente ucciso un povero uomo di colore a causa del suo “retaggio culturale dell’America schiavista” (come amano farci credere gli spacciatori di questo società come il miglior mondo possibile). Ma non si può condannare il bianco quando esso uccide altri bianchi che combattono trascinati dai neri contro il razzismo sistemico, c’è un monito da inviare chiaro al proletariato bianco la cui bianchezza scricchiola e per cui non debba scendere come complice a fianco dei neri. Biden ed i Democratici che alla maniera del razzismo liberale si sono schierati con le ragioni giuridiche dell’accusa, hanno immediatamente dichiarato che il pronunciamento unanime della giuria popolare deve essere rispettato, che la sentenza racchiude la giustizia democratica e costituzionale.

Allo stesso modo è stato necessario infliggere la condanna più pesante per l’incendio del terzo distretto di Minneapolis del 28 maggio 2020 proprio a quel ventitreenne bianco Dylan Shakespeare Robinson.

La compagna Silvia Baraldini, cresciuta nella società americana e nelle università del Wisconsin, che ha sopportato con orgoglio e coraggio la galera razzista degli Stati Uniti d’America per lunghi anni, ancora un anno fa nel commentare la rivolta di George Floyd e nel proporre la sua riflessione si riferiva a se stessa come una solida “alleata” dei neri nella loro lotta rivoluzionaria di liberazione. Sappiamo bene che lei è stata ed è qualcosa di più di una semplice “alleata”. Ma l’aggettivo qui è conforme al paradigma generale sostanzialmente corretto per cui i movimenti giovanili dei bianchi e della classe operaia di quell’epoca si configuravano come “alleati” e non “complici” dell’insorgenza dei neri, perché alla fine sottomettevano le finalità della lotta dei neri alle superiori (supreme?) necessità della lotta dei bianchi. Dato di fatto per cui la storia militante di Silvia stessa – sebbene una vera eccezione – non fa la regola.

La sera e la notte di Venerdì scorso i neri hanno di nuovo riempito di rabbia le strade di molte città. Non è importante se si sia trattato di un “momentum” di una sola notte. Il taglio netto col passato che si apre verso un orizzonte nuovo è tracciato ed ancor più evidente a seguito dei fatti di Kenosha. I neri iniziano a lottare ed insorgere perché anche le white insurgent lifes matter, perchè le vite dei ribelli traditori della razza bianca contano al di là delle linee del colore imposte dal capitalismo razziale, perché il sospetto lecito nei confronti “dell’alleato” sempre più in questo anno e mezzo ha visto la constatazione pratica di una presenza reale di un “complice” bianco. Qui il cambio dell’aggettivo segue l’inizio del cambio della sostanza nel rapporto tra proletariato nero e bianco. Perché una nuova generazione di proletari bianchi è costretta a muoversi come complice e non più come alleato anche per salvare se stessa. Questo è davvero il Santo Graal svelato del nuovo mostro proletario… per una notte sola? …E poi?

Testo integrale: Kenosha mi dispiace morire