Sardegna: La voglia di riprovarci

La mattina di lunedì 1 Novembre circa duecento persone si sono radunate nel porto di Teulada per raggiungere la base militare dalla parte della spiaggia di Porto Tramatzu. Nonostante le temibili previsioni meteorologiche le nuvole si sono trattenute e i manifestanti si sono potuti incamminare per la strada provinciale che conduce ad uno dei cancelli principali della base, superandolo e raggiungendo la spiaggia dove era stato precedentemente allestito un presidio. La composizione – con la partecipazione di tanti giovani – e gli slogan trasmettevano entusiasmo, mentre gli interventi al microfono ricordavano lo scempio che ogni giorno avviene all’interno dei reticolati.

Il poligono di Teulada purtroppo sta vivendo una fase di continua ascesa, contraddistinguendosi per un ruolo sempre più centrale nella preparazione della guerra “pesante”, quella dei carri armati, delle granate, dei missili e delle mitragliatrici, ma anche nelle pratiche di green washing dell’esercito italiano (come il recentissimo Rally Extreme E) .

Una volta raggiunta la spiaggia un gruppo di manifestanti ha aperto un varco nelle reti della base permettendo a gran parte del corteo di invadere il poligono. La Digos ha inizialmente tentato in maniera timida di bloccare pinze e tenaglie, con scarsi risultati. Una volta entrati e raggiunta una delle prime strade all’interno del poligono una camionetta è arrivata sgommando e un gruppo di celerini ha convinto i manifestanti ad indietreggiare…ma non a demordere.

Tornati indietro dal buco nelle reti ci si è diretti verso un altro punto della base, questa volta passando dalla spiaggia.

Le forze dell’ordine, inizialmente spiazzate, hanno maldestramente cercato di bloccare il corteo, non lesinando l’utilizzo del manganello ma dovendo comunque indietreggiare per la determinazione dei manifestanti. Alcuni infatti sono riusciti a non farsi bloccare entrando nuovamente nel poligono, come attestano le fotografie dei fumogeni accesi all’interno.

La giornata è proseguita con alcune scaramucce, interventi al microfono e poi la ripartenza.

Cosa ci dice una giornata come questa?

Indubbiamente la questione militare smuove le coscienze di tanti e tante, pronti e pronte a sfidare il meteo e i chilometri pur di manifestare la propria contrarietà all’occupazione della nostra terra. Non si può non fare i conti anche con lo spirito di una grossa fetta di persone, stanche delle giornate di testimonianza, e volenterose di varcare i confini di quelle reti, anche a costo di affrontare le cariche della polizia. Una giornata come quella di ieri ci dice che tanta gente ne ha voglia, ha voglia di rimettersi in gioco, di prendere in mano delle tenaglie, se serve di coprirsi il volto e di rischiare un pezzetto della propria libertà pur di riprovare a dimostrare che i militari si possono bloccare, che quelle reti si possono tagliare e che la repressione può non fermare le lotte.

Lo spirito di ieri ci dice che se questi ultimi anni sono stati un po’ sonnacchiosi dal punto di vista delle iniziative e della propositività non significa che tutto è perduto, la rabbia e la determinazione hanno solo covato, non trovando i giusti modi per venire fuori, causa anche l’assurda situazione pandemica.

Al fronte di ciò è quanto mai urgente sforzarsi per ragionare e discutere di come provare a mettere i bastoni tra le ruote dei militari, partendo dalle pratiche conosciute ma non fermandosi ad esse, cercando di trovare dei modi che resistano alle misure repressive e siano riproducibili in varie forme e situazioni.

Come alcuni di noi hanno scritto in un contributo per il corteo, c’è da augurarsi che la stessa determinazione vista ieri saremo in grado di portarla anche contro le altre forme di sfruttamento che l’isola subisce. Per liberare, pezzo dopo pezzo, la terra dove viviamo.

 

Tratto da https://www.maistrali.it/2021/10/30/una-lotta-piu-grande-qualcosa-per-cui-battersi/

Una lotta più grande, qualcosa per cui battersi

Pubblichiamo qui di seguito un contributo inviatoci in vista del corteo a Teulada del 1 Novembre e delle prossime mobilitazioni autunnali contro l’occupazione militare.

Una lotta più grande, qualcosa per cui battersi

L’autunno 2021 sembra essere iniziato con uno spirito differente dagli ultimi, dall’iniziativa come quella del Limbara ad una ritrovata propositività e vitalità nei percorsi, sembra che i presupposti per poter rilanciare le lotte in Sardegna siano positivi.

Alla disponibilità pratica crediamo serva sempre affiancare uno sforzo di lettura teorica, un’analisi delle lotte, del contesto, delle prospettive, in breve della fase.

Seppur non saranno queste poche righe a sviscerare la fase attuale, è per noi importante dire qualcosa che ci sta a cuore.

Crediamo che i vari tentativi di indorare la pillola, di lobotomizzare le persone con tecnologia e coprifuoco vari, di comprare il silenzio con sussidi, RdC e le varie forme di assistenzialismo, riescano a nascondere, ma assolutamente non a eliminare le logiche di sfruttamento che viviamo in Sardegna, le stesse riscontrabili in altre regioni meridionali dello Stato italiano: uno sfruttamento di stampo coloniale.

La condizione di subalternità nelle quali alcune porzioni di Stato vengono sistematicamente relegate è sempre più condizione necessaria affinché le “locomotive del paese” continuino a sbuffare vapore nell’avanzata mortale del capitalismo.

Dal finto mito della green energy (forse sarebbe meglio chiamarla green economy), alla monocoltura turistica, all’occupazione militare, vecchie e nuove forme di sfruttamento si compenetrano imponendo alla Sardegna, e non solo, un ruolo di batteria energetica, di immensa spiaggia mercificabile, di enorme poligono a cielo aperto e così via, in poche parole: una colonia.

Gli esempi che la rendono tale sono vari e numerosi: dai siti candidati a diventare il deposito unico delle scorie delle ex centrali nucleari, alle carceri speciali, dalle schiavitù industriali, arrivando alla miseria in cui versa l’apparato sanitario, tutto è di fronte ai nostri occhi.

La stratificazione secolare del colonialismo, imposto dalle varie dominazioni nel corso dei secoli, probabilmente altera la nostra percezione sull’entità di questo fenomeno, rendendolo spesso normalizzato o addirittura accettabile. Eppure l’uso e il consumo delle risorse umane e naturali è sempre più evidente, dai lavoratori stagionali in nero e sottopagati, alla devastazione dei mari e delle terre per fini commerciali, tutte risorse che ingrossano i profitti dei ricchi imprenditori stranieri o della locale classe compradora, spalleggiati dalle varie giunte regionali.

L’occupazione militare rappresenta forse l’aspetto più evidente della logica coloniale che la Sardegna ha subito nell’ultimo secolo.

Contro di essa – e altri nemici – abbiamo già lottato, hanno lottato altri e altre in tanti modi diversi.

Dalle esperienze di ieri vorremmo provare a raccogliere e attualizzare un orizzonte delle lotte che ci è mancato nel passato recente, quello della liberazione e dell’autodeterminazione.

Sentiamo la necessità di rilanciare un modo diverso di vivere, interpretare e speriamo condividere, queste giornate e questa lotta. Sentiamo forte la necessità di dire che tagliare un pezzo di rete o fermare un’esercitazione è per noi un piccolo passo in più verso la liberazione di un territorio.

Per anni questi concetti ci sono sfuggiti tra le mani pur lottando contro chi e cosa ci opprimeva, non riuscendo a riconoscere le connessioni tra le varie forme di sfruttamento che si insediavano o rafforzavano nella nostra isola.

Potrebbe sembrare un futile capriccio teorico, e possiamo anche accogliere questa critica, ma ad esso noi aggiungiamo la nostra tensione, che solo teorica non è.

Troppo spesso ci siamo fermati ai NO, perdendoci la grinta che invece i sogni e le ambizioni regalano alle lotte e a chi le vive. Affrontare i temi a settori, come se non fossero parte della stessa logica, è un errore che non vogliamo commettere ancora. Sentiamo quindi la necessità di un orizzonte più ampio: una visione d’insieme dell’opposizione e della lotta che poi diventa il trampolino per creare collettivamente un sogno.

Auspichiamo che in futuro le varie pratiche di lotta possano riconoscersi nel filo conduttore che unisce tutti i tipi di sfruttamento specifico, per essere più incisivi e finalmente rendere più ostile una terra fin troppo martoriata.

Se per noi il colonialismo è la forma più evidente con cui lo Stato Italiano ci opprime, la liberazione e l’autodeterminazione sono l’orizzonte per cui vale la pena lottare.

Kontra sa prepotentzia de s’istadu, feus kumente s’ortigu.

L. M. R.

Sardinnia, 2021