Rompere la trappola, passare all’offensiva

Rompere la trappola, passare all’offensiva

Partiamo da quello che interessa a noi: ricacciare indietro il lasciapassare “sanitario”. Quest’ultimo non è solo un odioso strumento di ricatto e di divisione, bensì un salto qualitativo nel controllo autoritario delle vite e della società. Per chi non lo ha capito – o fa finta di non capirlo – abbiamo finito le parole. E non cominceremo con i disegni. La centralità della digitalizzazzione per lo Stato e per la tecno-industria appare più che lampante, ad esempio, anche a una lettura superficiale del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per il quale la classe dominante ha richiesto i servizi dell’affamatore di professione Draghi. La nostra priorità è dunque spaccare questo programma – il quale ha bisogno del patto tra le classi e della pace sociale – nel punto più fragile e più evidente per decine di migliaia di persone: il “green pass”.

Oltre al monopolio del discorso sulla “salute pubblica” (voi potete discutere i dettagli, segnalare questa o quella contraddizione, ma niente di più), ora governo e tecnocrati vorrebbero addirittura quello sull’“antifascismo”, trasformato in uno schifoso pretesto per rafforzare la dittatura che è già qui (quella ben democratica dei padroni) e per giustificare una ulteriore stretta verso le lotte (dai fascisti, ricostituitosi nel lontano 1946 e sempre usati alla bisogna dallo Stato “nato dalla Resistenza”, si passa poi ai “violenti”, cioè agli antagonisti, ai lavoratori combattivi, ai rivoluzionari). Draghi ha scelto non a caso la sede nazionale della Cgil per confermare la “linea della fermezza” sul lasciapassare, dopo il commovente abbraccio con Landini. L’operazione, tuttavia, ci sembra in buona parte fallita, come dimostrano l’ampia partecipazione allo sciopero generale dell’11 ottobre (con gli importanti blocchi di Piacenza, Genova e Napoli, e l’imponente manifestazione di Trieste contro il “green pass”, galvanizzata proprio dall’elemento di classe e di forza aggiunto dai portuali) e l’attesa per la giornata di domani. La “linea della fermezza” si è già incrinata, con i funzionari del Viminale che propongono i tamponi gratuiti ai portuali (proposta rispedita al mittente dai diretti interessati, mentre a richiederli alle aziende per tutti i lavoratori è una parte del sindacalismo di base…).

La protesta è “sporca”, non c’è dubbio. Ma una società sempre più mostruosa può forse produrre proteste di massa che non lo siano? Cacciare a calci in culo i fascisti avrebbe da tempo limitato la confusione creata ad arte dai media sulle piazze renitenti al “green pass”. Non sprechiamo ora un’occasione che non ci pare esagerato definire storica: quello di ricacciare indietro finalmente uno dei tanti decreti di emergenza (e “sicurezza”) che si susseguono senza sosta dagli anni Settanta. Un decreto, oltretutto, che non attacca “solo” i salariati, gli immigrati, i dissidenti, ma gli umani in quanto tali, i loro corpi, le loro relazioni sociali, i loro gesti quotidiani.

Non è il tempo di piagnucolare né di girare come banderuole a seconda di quello che dicono e fanno i nostri nemici grandi e piccoli, ma di fare le nostre, di scommesse. Non saranno i proclami anticapitalisti a toglierci dall’angolo, ma la capacità e il piacere di assestare un colpo dove più nuoce, per aprire altre possibilità, diffondendo così il contagio dell’entusiasmo e del conflitto.

Noi scommettiamo. Mettendoci in gioco, come sempre. Scommettiamo sullo sciopero dai gesti obbedienti, sulle strade e sulle pratiche renitenti, sui blocchi annunciati dai portuali di Trieste, Monfalcone, Genova…, sulle contromosse che il potere sarà costretto ad attuare, e su ciò che queste potranno scatenare, nonché sulla forza dell’azione diretta e autonoma. Alla lotta!