Op. Scintilla: Un percorso lungo due anni

Riceviamo e diffondiamo:

Un percorso lungo due anni

Abbiamo deciso di prendere parola anche noi in merito alla dichiarazione rilasciata durante il riesame dell’operazione Scintilla nel febbraio del 2019.  Lo facciamo adesso in rete, a distanza di oltre due anni, forti di un lungo, faticoso e arricchente percorso. La scelta di uscire ora su internet ha diverse ragioni. Di sicuro è motivata da un dibattito aperto da diversi mesi con compagni e compagne a noi vicine sulla necessità di allargare il racconto di quanto accaduto a chi è rinchiuso nelle carceri italiane, come a coloro che vivono fuori dai confini nazionali. Dall’altra, l’incentivo arriva dai testi di recente pubblicazione, i quali aprono un piano di confronto al quale, per una completezza di narrazione, non sentiamo di sottrarci.  Precisiamo che, da subito non abbiamo ritenuto internet uno strumento idoneo ad affrontare quanto accaduto per la limitatezza di ragionamenti che questo strumento necessariamente impone. Non riconosciamo, infatti, questo spazio adatto a una discussione approfondita e sincera. Ci teniamo, quindi, a sottolineare i limiti che questo testo per forza di cose porta con sé, non potendo rendere la complessità dei ragionamenti e dei modi elaborati da quando abbiamo iniziato ad affrontare quanto da noi fatto.

Queste righe si pongono, comunque, due obiettivi:

– informare sui fatti quanti, nonostante gli sforzi fatti fino a ora, non lo siano, riportando una breve cronologia di quanto accaduto e aggiungendo alla fine del testo le parole della dichiarazione

– dare alcuni spunti rispetto al tentativo messo in campo per affrontare il nostro errore

I fatti sono questi:

Il 7 febbraio 2019, contemporaneamente allo sgombero dell’Asilo occupato, è scattata l’operazione Scintilla, indagine volta a colpire la lotta che allora si portava avanti a Torino contro i Cpr. Sei tra compagni e compagne sono stati portati in carcere con l’accusa in comune di associazione sovversiva, tre di loro con in aggiunta l’accusa di istigazione a delinquere e una con anche il fatto specifico relativo a una tanica di benzina posizionata fuori da un ufficio postale. Oltre ai sei arresti, una compagna è stata indagata a piede libero, mentre un’altra, accusata sia per l’associazione sovversiva sia per il posizionamento di un ordigno fuori da un ufficio postale, ha iniziato una lunga latitanza che è durata più di un anno e mezzo. Per il riesame dell’operazione Scintilla, che si è svolto il 26 febbraio 2019, sono state depositate in aula quattro dichiarazioni individuali e una dichiarazione collettiva. La dichiarazione collettiva, per volontà degli stessi firmatari e dei compagni-e a loro più vicini, è stata, da subito, messa a severa critica. Nonostante, al netto dell’errore fatto, niente possa suonare diverso da una giustificazione, ci teniamo noi per prime a riconoscerlo come tale. Riconosciamo innanzitutto la problematicità del tono dell’intera dichiarazione e di alcuni passaggi in essa contenuti, ma più in generale e prima di ciò, riconosciamo di aver sbagliato a scegliere il tribunale come referente, senza esserci date il tempo idoneo a far maturare le parole e i concetti da esprimere, come pure gli obiettivi da raggiungere. Pensiamo poi che sia stato un errore di metodo presentare una dichiarazione collettiva senza il necessario confronto né tra coimputati e coimputate, al momento detenuti in due carceri diverse, né con i compagni-e fuori con i quali si è lottato e, tra le altre cose, si è portata avanti la lotta contro i Cie-Cpr sotto accusa nell’operazione Scintilla. Inoltre, non tenendo conto che una compagna fosse ancora latitante l’abbiamo obbligata a confrontarsi con le conseguenze della nostra scelta sia in sededi tribunale sia, ancora oggi che è ai domiciliari, rispetto alla solidarietà che si poteva e si può sviluppare intorno alla sua situazione.

Come si è scelto di affrontarlo fino ad adesso e la possibilità di aggiungere un pezzo Scegliere la strada per affrontare ciò che avevamo creato è stato difficile, a tratti molto lento e non lineare, anche perché se prima la scrittura ha vinto sul pensiero, dopo il pensiero ha di sicuro rallentato e a volte frenato la scrittura. Ogni passo è stato il frutto di molteplici confronti che ci auspicavamo, come minimo, potessero mettere d’accordo, man mano che venivano rilasciati, i diversi firmatari. Nel tempo, tuttavia, si sono incontrate divergenze nel modo affrontare il problema tali da farci talvolta prendere direzioni diverse.

Il metodo tentato ha avuto sicuramente la sua genesi nella fiducia che molte-i tra compagni e compagne hanno deciso di accordarci lasciandoci lo spazio di un percorso nel quale ci siamo messe-i in discussione, abbiamo accolto le critiche rivolteci ed elaborato i motivi del perché abbiamo sbagliato. A partire da questo, abbiamo deciso di far fronte alla situazione tentando di diffondere il più possibile quanto accaduto, ricercando un confronto diretto con compagni e compagne, vicini e lontani, conosciuti e non. L’obiettivo non era solamente quello di raccontare ciò che era successo, ma, problematizzandolo in tutti i suoi aspetti, di farne occasione di sincero dibattito con l’intenzione di trarne ragionamenti validi per tutti-e. L’intento è stato, inoltre, quello di cogliere il nostro errore come un’occasione di approfondimento che, travalicando il caso specifico, potesse riguardare oltre il rapporto con i tribunali e la repressione, anche altre questioni come le possibilità di divulgazione dei propri progetti di lotta o delle proprie prospettive rivoluzionarie.

In questo modo, pur nell’asprezza dei confronti e nella durezza delle critiche ricevute, siamo arrivate ad avere discussioni arricchenti che speriamo siano state tali non solo per noi e che ci auguriamo di avere anche con chi ancora non abbiamo raggiunto. Dal nostro punto di vista, pensiamo di aver maturato in questi anni posizioni molto più solide, complesse e articolate, anche se mai arrivate, su molteplici aspetti che questa dichiarazione ha fatto emergere. Ci teniamo a dire che niente di questa storia è stato a livello personale e pratico semplice da affrontare. Ci interessa anche affrontare la critica di chi pensa che abbiamo facilmente voluto risolverci la questione in privato, per ribadire che non è stato questo a muoverci ma la volontà di arrivare anche molto lontano da noi, cercando, di volta in volta, di assottigliare il più possibile gli ostacoli del metodo scelto. È di sicuro vero però che a una diffusione quantitativa di quanto accaduto, che pure si è cercata, abbiamo preferito la qualità che i diversi passaggi ci potevano offrire nella direzione di un superamento delle ragioni che ci hanno portato a depositare in sede di riesame tale dichiarazione. Per
questo nel sottolineare l’impegno da noi messo nel capire come superare le difficoltà che, di volta in volta, le distanze hanno imposto al metodo scelto, ci scusiamo per le volte che non ne siamo state capaci.
Ad oggi decidiamo di pubblicare il testo depositato in sede di riesame il 26 febbraio 2019 così che quelle parole possano essere lette da tutti-e e possano dare chiarimenti a chi non aveva elementi. Crediamo nel confronto tra compagni e compagne, e continueremo a prediligere dei modi di discussione vis-à-vis, anche collettivi, per chi fosse interessato ad approfondire la questione.

Giada e Silvia

Dichiarazione depositata in sede di Riesame il 26/02/2019

In seguito alla lettura dell’ordinanza e a un primo confronto che siamo riusciti ad avere tra imputati detenuti nella medesima sezione della Casa Circondariale di Ferrara 1 dichiariamo quanto segue (i virgolettati sono ripresi dall’ordinanza)

– di non far parte di alcuna “componente più ristretta e segreta” rispetto agli usuali frequentatori dell’ex spazio occupato denominato Asilo che normalmente ragionavano di presidi, cene benefit, concerti, picchetti, e iniziative varie.

– di non aver mai elaborato alcun “progetto” per la realizzazione dei reati scopo contestati ne alcuna “ripartizione di ruoli” o strategia, composta di “fasi” o di “livelli”.

– che l’idea o la volontà di offendere indiscriminatamente “un numero indeterminato di persone” quali potrebbero essere segretarie di ufficio, impiegati o passanti, in alcun modo ci appartiene.

– che tra il 2015 e il 2017 si è sviluppato, tra gli ambienti cosiddetti antagonisti, ma anche paraistituzionali, un dibattito riguardante l’utilizzo smodato e sovrastimato del DNA, quale elemento indiziario nei procedimenti giudiziari, inserito in una più ampia critica sul controllo sociale e sull’intrusività della tecnologia nella vita delle persone.

Un dibattito che ovviamente si è riflesso in svariate iniziative pubbliche, ma anche in chiacchierate più informali tra amiche e amici. In particolar modo ricordiamo svariate discussioni in merito all’intrusività della “Banca dati dei detenuti”, inserita poi in quegli anni, oltre che di alcune richieste di prelievi fino ad allora inusuali, legati a iniziative di piazza, anche in occasione delle proteste “No Expo”. Richieste di prelievo sulle quali alcune delle persone coinvolte avevano anche pubblicato su internet testi di critica e analisi.

Va inoltre sottolineato come in occasione degli arresti del 28/11/2016 a carico di alcune amiche e amici frequentatori dell’ex Asilo Occupato, tra cui l’imputata Silvia Ruggeri, apprendevamo per la prima volta del prelievo obbligatorio del DNA in caso di applicazione di misure cautelari, alimentando quell’ordine di critiche e ragionamenti poc’anzi esposto; anche perché non si sapeva se fosse stato possibile rifiutarsi, come se ne ha la possibilità in altri paesi come la Francia.
– Va infine sottolineato come molti frequentatori assidui dell’Asilo Occupato e partecipanti alle varie iniziative che avvenivano in quartiere, sono stati a più riprese sottoposti a misure cautelari nell’ambito di inchieste spesso riferite a fatti di lieve entità. In particolar modo si ricordano le inchieste e le misure del 18/12/2015 – 18/5/2016 – 29/10/2016 – 3/8/2017, misure poi cadute o ridimensionate dal Tribunale del Riesame di Torino e in alcuni casi che hanno visto l’assoluzione in fase di processo o pene pecuniarie di gran lunga ridimensionate rispetto alla sospetta gravità iniziale.
Motivo che portava molti amici e amiche a discutere sul clima intimidatorio posto in atto dalla procura verso le attività di lotta e protesta, utilizzando pratiche quali contestazioni e picchetti, soprattutto nei confronti di giovani che si avvicinavo a queste iniziative.

1La dichiarazione è stata scritta nel carcere di Ferrara e sottoscritta anche dalle compagne al momento rinchiuse nella sezione femminile delle Vallette a Torino.