Una favoletta immorale
Riceviamo e pubblichiamo:
Una favoletta immorale
Gli anarchici leggono molto e scrivono ancor di più, forse è per qualche eccesso di cultura libresca che si straparla di etica a più non posso quando si arranca nel comprenderla e ci si dimentica di applicarla nella realtà quotidiana. E… quando ci si rende conto dell’errore commesso si scrivono ancora pagine e pagine (non è ben chiaro se ad uso privato o per un pubblico selezionato) ridondanti di rettifiche che suonano ancor più traballanti e ipocrite delle dichiarazioni processuali, quando non comiche nel loro affannoso contraddirsi.
Non mi diverte fare il moralizzatore chiusa tra quattro mura ma, preso atto che certi silenzi rischian d’essere riempiti dalle chiacchiere altrui, credo sia il caso di affrontare un curioso fenomeno di inversione di senso e referenti del discorso, vecchio di un paio d’anni e non ancora chiarito.
In occasione di uno dei tanti procedimenti repressivi antianarchici, come strategia difensiva gli imputati, da un mese in carcere, decidono di rilasciare delle dichiarazioni spontanee, depositate in sede di riesame nel febbraio 2019. Senza star ad entrare nel merito dei contenuti, la prima incongruenza è che questo viene fatto di nascosto ai compagni, al movimento (…quest’entità misteriosa a cui tutti facciamo comunque riferimento), palesando le proprie valutazioni politiche ed “etiche” (con tutte le virgolette del caso) su pratiche d’attacco, modalità di rapporti e campi d’interesse propri dei movimenti… solo ai magistrati. Strano vero?
Nella mia ingenuità sulla correttezza di movimento ero cresciuta sentendo un refrain diverso, qualcosa che suonava semplice, discuter anche ferocemente ma lasciar fioretto o mannaia fuori dell’aula di tribunale. Invece, al passo con i tempi, è un’altra la morale della favola. Fatto il danno, e se qualcuno se ne accorge, mettiamoci una pezza, o più d’una a seconda dell’interlocutore.
IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO
La bussola “etica” che tanto s’invoca diventa un peso inutile nel barcamenarsi cercando di rimanere a galla. La “riservatezza” a posteriori “nella volontà di non aggravare l’errore aggiungendo parole utili ai repressori”, per non discutere così pubblicamente le pezze successive, dopo che si è già privilegiato un interlocutore di tal fatta, suona particolarmente maldestro e grave. Il non voler buttare tutto in rete quando lo si è depositato in tribunale è un rovesciamento di valori palese. Chiamare questo barcamenarsi tra accuse da ricusare con sdegno e difesa della propria coscienza immacolata “quella linea oscillante tra tecnico e politico” od affermare che nel segreto del confessionale tribunalizio si siano fatte “affermazioni di principio”, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, dimostra solo quanto sia tremolante, gelatinosa, la base su cui poggiano i punti fermi del proprio agire “politico”.
LE IPOCRISIE SULLA SICUREZZA
Di questi tempi di psicopolizia quotidiana, siamo credo tutti (tra frequentatori di movimenti e, di conseguenza, di aule di tribunale) consapevoli che le nostre idee e la solidarietà tra compagni ce le stiano facendo pagare con anni e anni di vita rubata e che spesso le operazioni repressive si muovano sullo scandaglio, più che dei fatti, delle posizioni espresse su giornali e pubblicazioni, sulle solidarietà espresse e sulla vivisezione dei rapporti umani. Sulla base di ciò ci si richiama spesso all’attenzione, al soppesare il senso di ogni singola frase, di ogni singolo slogan. Ma questo deve
avvenire in senso positivo, a priori, per ponderazione dei contenuti (in pubblico ed in privato) non per timore, a posteriori, della sanzione. Sennò l’etica diventa merce in vendita, in saldo perché fallata.
SULLA SOSTANZA
Il primo passaggio da fare di fronte ai fatti sarebbe… sforzarsi di conoscerli prima di prender posizione, questo non solo ai fini difensivi. Affrettarsi a spiegar le proprie ragioni sulla falsariga di un’intimorita lettura dei capi d’accusa o della canea mediatica produce mostri nel peggiore dei casi, ben che vada sgradevoli ipocrisie e semplificazioni che fanno solo il gioco degli inquisitori. La responsabilità individuale, il rifiuto di strutture verticistiche e di compiere atti indiscriminati sono tautologici per degli anarchici: posso decidere di ribadirli o meno in un’aula di tribunale in base ad una serie di fattori. Il problema di fondo è la sintonia con i coimputati, la solidarietà tra compagni. Il problema di fondo è soprattutto la consapevolezza che i giudici giocano sporco noi no, o almeno non dovremmo, neppure con le parole, che finiscono per infangare solo chi le pronuncia con sconsideratezza.
Anna
giugno 2021
P.S. Se questa favoletta vi par troppo criptica potete iniziare la caccia al tesoro di strappi e toppe successive, chiedendole ai diretti interessati che auspicavano un dibattito… en privé.