Note sull’apartheid e i suoi critici

Riceviamo e diffondiamo:

Al momento della loro pubblicazione queste note potrebbero risultare già obsolete.

Note sull’apartheid e i suoi critici

 

Con l’introduzione del lasciapassare “sanitario” assieme all’obbligo di vaccinazione che verrà quasi sicuramente esteso anche agli/le insegnanti, ha luogo un importante giro di vite verso chi non vuole o non vorrà sottoporsi all’obbligo stesso, ben preparato da una (ormai) collaudata campagna di paura intorno alle varianti del virus.

Il dispiegamento di misure di carattere totalitario imposte e normalizzate in nome dell’emergenza sanitaria, di cui si è parlato molto e con cognizione, entra nei dettagli, in molte, anche se probabilmente non ancora in tutte, delle sue potenzialità ancora non espresse.

Come qualcuno ha notato, diversi Paesi europei hanno già adottato senza tanto fracasso misure, se non uguali, molto simili a quelle minacciate da Macron e in quattro e quattr’otto decretate anche da noi. Sono operative le prime sospensioni di medici ed infermieri/e. Si parla di lockdown differenziali dall’autunno per non vaccinati/e. L’Università di Milano “La Statale” ha fatto sapere che nel nuovo anno accademico gli alloggi saranno disponibili solo per gli/le studenti che si siano vaccinati/e. Passenger locator form, localizzazione digitale per il tracciamento dei contatti, obbligatorio per viaggiare in alcuni paesi esteri. L’utile idiota e vice-governatore del Friuli con delega alla salute ha giorni fa enunciato che la società si divide ormai nettamente tra chi è vaccinato/a, chi non può e chi non vuole vaccinarsi…

Insomma, a sentire le proposte e osservare le non poche quotidiane avvisaglie, e pur correndo il rischio di sembrare banale per alcuni o esagerato per altri, sono subito venute alla mente un certo numero di similitudini con un preciso momento dell’italica storia. 83 anni fa, il 14 luglio 1938, usciva il “Manifesto degli scienziati razzisti”, sottoscritto da numerosi scienziati e docenti universitari, sotto la direzione del Ministero della cultura e seguito nell’ottobre dello stesso anno dalla Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del Fascismo. Lasciando qui da parte i non secondari esiti della via così tracciata, il documento fissava i punti fondamentali e stabiliva i concetti che furono poi la base di numerosi regi decreti, leggi e circolari tra il ’38 e il ’45, accompagnati naturalmente da forti campagne di stampa, contro la comunità ebraica in Italia. Derivarono in rapida successione una serie di divieti che andavano dall’impedimento ad insegnare o a frequentare scuole e università, con conseguente allontanamento degli studenti e dei docenti da tutti gli istituti, di iscrizione agli albi delle libere professioni, fino al divieto di sposarsi con non ebrei, di possedere aziende, di prestare servizio nelle amministrazioni pubbliche, civili ed anche militari.

L’attuale forma di segregazione non si reggerà su basi etniche, religiose o in senso lato culturali, ma sarà applicata direttamente all’esercizio di una presuntamente libera scelta individuale. L’occidente democratico rispolvera i vecchi sistemi sempre a portata di mano e ritorna ad applicare ai suoi stessi sudditi ciò che era stato per un certo periodo di tempo riservato (quasi) solo ai sudditi di altri continenti.

Qui ritengo che sarebbe il caso di abbozzare, tra le altre, un paio di riflessioni.

La prima sulla posta in gioco nell’insieme delle future lotte contro le frontiere e i lager per persone senza documenti. C’è già infatti chi fa notare preoccupato che gli uomini e le donne ai nostri confini di terra e di mare molto difficilmente si presenteranno in possesso di un green pass.

Senza voler avventurarsi troppo nel campo delle ipotesi, a quali scenari stiamo andando incontro? Lungi da intenti di facile colpevolizzazione, il grado di privilegio dato dall’avere dei documenti regolari si sommerà o si è già sommato a quello di avere pure il vaccino? Se e quando si potrà essere imprigionati/e in un cpr o subire un respingimento nelle mani della polizia croata e poi nei campi di concentramento in Bosnia per non avere il lasciapassare, si proporrà la vaccinazione (gratuita e per tutti/e…) come soluzione? Su quali basi e con quali discorsi costruiremo nuovi attacchi, solidarietà di classe e percorsi di lotta assieme? Cosa diremo allora? Si organizzeranno carovane di vaccini verso la Grecia e la Libia?

In molti e molte ci siamo chiesti cosa significasse condurre un’esistenza avendo i documenti giusti ed agire di conseguenza, da un punto di vista di classe; ora che ancora ulteriori stratificazioni, appunto, di classe, emergono all’orizzonte, viene da chiedersi quanto tempo passerà prima che, oltre ad una carta d’identità valida, ci sia anche un valido certificato sanitario a interrogarci. Lo slogan la “carta è solo carta” potrebbe diventare alla svelta obsoleto. D’altro canto, se fino ad oggi erano le urla e le rivolte dei/le prigionieri/e a ricordarci di essere dalla “parte giusta del muro”, d’ora in poi potrebbe bastare guardare fuori dal finestrino di un treno o dal vetro di un bar.

La seconda riguarda l’opposizione all’ingegnerizzazione del vivente. C’è chi ha fatto notare che in campo medico-farmacologico questa non è cosa nuova. Non ho le conoscenze teoriche per addentrarmi in questo campo, tuttavia, le operazioni messe in atto a livello planetario non hanno alcun precedente e anche che le evidenze di questo siano sotto gli occhi di chiunque.

Detto questo, a mio avviso una certa superficialità e spensieratezza nel ragionamento (già presente) è emersa in modo evidente, l’ingegneria genetica nei campi e nel piatto mai e poi mai, quando le multinazionali sementiere e istituti di ricerca promettevano la liberazione dalla fame e dall’inquinamento nel mondo nessuno/a ci è cascato/a, ora invece di corsa a fare l’iniezione in nome di una presunta “salute collettiva” tutelata e garantita solo grazie ai colossi farmaceutici e delle telecomunicazioni. Se e quando tenteranno di sfondare finalmente le resistenze sparse un po’ dappertutto nel mondo con la scusa del conclamato potere salvifico del geneticamente modificato, diremo che ce lo siamo iniettato ma non lo vogliamo mangiare, o bere? Diremo che il virus era una questione di salute, “di vita o di morte”, mentre il nutrirsi no? Quali argomenti, anche solo di natura tecnica, avanzeremo?

L’intento qui non è di tentare di istituire una classifica delle motivazioni “accettabili” o non, puntare il dito e farsi giudici di decisioni la cui varietà di presupposti è amplissima e fuori dalla mia portata. Chi scrive per primo riconosce di trovarsi in una posizione di privilegio, che tutto agevola, rispetto alla scelta dell’ottenere o meno il lasciapassare. Ognuno/a ha scelto e sceglierà in coscienza.

Ma non è negabile che dall’inizio della campagna vaccinale in tanti e tante – alcuni/e dei/le quali avendo tra l’altro tutti gli strumenti teorici per farlo – hanno evitato di riflettere e mettere in discussione le conseguenze, non tanto e non solo della natura di chimere biotecnologiche dei vaccini e del mondo come immenso “campo di sperimentazione”, quanto delle possibili derive sociali dell’adesione alla campagna stessa.

La malriposta fede progressista, l’aderenza quasi senza se e senza ma alla retorica del regime e la smania di tornare senza tante ciance alla “vita di prima”, ora fa intravvedere preoccupanti conseguenze. La liquidazione di tante, troppe delle questioni emerse nell’ultimo anno e mezzo, la totale mancanza di disponibilità anche solo ad una discussione tra pari manifestata da molti/e, adesso fa luce su delle responsabilità.

Qualche tempo fa qualcuno/a (pochi/e veramente) diceva che il grosso problema stava nell’eventuale obbligo, che il nodo della questione fosse l’imprescindibilità della libera scelta. Ora non è più così, o almeno ci manca davvero molto poco.

Se come è stato giustamente scritto “il silenzio di fronte al lasciapassare diventa ora a tutti gli effetti complicità”, l’adottare, il fare proprio, il lasciapassare può risultare collaborazione attiva al progetto di dominio, segregazione, sfruttamento. Tuttavia, la biologia del virus (di tutti i virus, ai miei tempi oggetto di studio anche alle scuole medie), ha sgretolato in diverse parti del mondo le frottole sulla responsabilità collettiva e sul ritorno alla normalità, possibile solo e quando “tutti ci saremo vaccinati”.

Al punto in cui ci troviamo, dovrebbe essere ormai chiaro, se quanto accumulato finora non fosse bastato, che qualsiasi questione sanitaria è poco meno di un pretesto, è una chiara questione di scelta di campo.

Un futuro di “richiami” periodici e costanti alla vaccinazione per non rischiare di fare a meno di questo o quello non appare così strampalato e le possibilità di rompere il cerchio e di tirarsene fuori si presenteranno ancora.

È ora di rendersene conto, il tempo, per nostra fortuna, non è ancora scaduto.

A. Bandini