Il CPR di Milano, un posto da chiudere

Riceviamo e diffondiamo:

Il CPR di Milano, un posto da chiudere

Abbiamo incontrato un giovane uomo uscito da qualche giorno dal CPR di via Corelli. Alla domanda “Cosa puoi dirci di quel Centro?” la risposta è stata “è un posto da chiudere”. A seguire il suo racconto.

È un posto a cui non augurerei a nessuno di doverci stare. Ora io sono uscito, ma gli altri sono rimasti là. Si sta male, troppo male. Mi hanno portato lì dopo una condanna in carcere, da vent’anni sono qui e non ho mai visto il CPR, è la prima volta. Un posto brutto che non auguro a nessuno. Per chi arriva dal carcere i giorni da fare sono 45, per i marocchini, e 75 per gli altri paesi, se si arriva da fuori 90, ma dipende dal paese da cui vieni. Per i marocchini sono quelli i giorni, 90, per altri 120 o più. I tunisini vengono rimpatriati quasi subito, però nel tempo in cui sono rimasto dentro non ho visto deportazioni, so che devono aspettare ci sia l’aereo. Gli altri che non riescono a rimpatriare perché non sono sicuri di saper da dove vengano escono con il foglio di via. Chi non vuole essere rimpatriato rifiuta il tampone così non possono metterlo sugli aerei, ma so che al CPR di Roma lo fanno con la forza. A Torino è morto un ragazzo che era stato picchiato a Ventimiglia e un ragazzo tunisino ha tentato il suicidio qui. Ho sentito quando siete venuti. Ora dentro sono in 48 in due sezioni, le altre sono state bruciate. Sono cinesi, egiziani, pachistani, srilankesi, marocchini, algerini, tunisini, sudamericani del Cile. C’è anche un ragazzino di 19 anni. C’è tensione tra chi è dentro, ma di più contro la polizia. Ti trattano molto male, niente soldi, non hai niente. Quando si entra prendono i cellulari e per telefonare ti mandano in uno stanzino, ti danno il tuo con la telecamera chiusa e con loro presenti. Chi lavora lì sono solo stranieri della cooperativa, alcuni buoni altri cattivi. La polizia, ci sono tutti carabinieri, finanza, esercito, picchia per qualunque cosa, anche se sbagli a parlare, in particolare mentre fanno le perquisizioni. Ho visto tanti con lividi e ferite. Danno cibo sempre scaduto il giorno prima e se non lo mangi subito devi buttarlo. È tutto confezionato e te lo danno aperto. Se non hai qualcuno da fuori come me, ma tanti non hanno nessuno, non mangi abbastanza. I bagni sono sporchi e aperti come pure le docce che non funzionano, come in questura. I materassi sono sporchissimi, c’è sangue ovunque anche perché chi sta dentro per poter uscire si fa di tutto, tutti i giorni. Si rompono le gambe per poter essere portati in ospedale e poi, visto che le stampelle non si possono tenere perché potrebbero essere un’arma, sanno che li devono fare uscire. Si rompono mani e piedi e si fanno tagli. Dentro non ci sono medici e infermieri, l’unica possibilità è essere portati in ospedale, al Niguarda. Se stai male durante la notte non c’è nessuno, nemmeno si può fumare dato che non lasciano l’accendino che devi chiedere ogni volta a chi lavora lì. Se vuoi fumare di sera, o all’una o alle due di notte non puoi. Danno solo psicofarmaci in grandissima quantità, molto pesanti. Ho visto ragazzi collassati che abbiamo dovuto trascinare nei letti. Niente altro, se non ti portano in ospedale. Nessuna informazione legale. Non ti fanno nominare un tuo avvocato fino a che non c’è la convalida della permanenza dentro così poi non si può fare più nulla per evitarlo e gli avvocati d’ufficio fanno il gioco loro, per avere le convalide. Chi riesce poi a chiedere l’asilo resta lì dentro anche per 6 mesi, 8 mesi. Non può essere un posto così, molto peggio del carcere, io ho detto fatemeli fare in carcere i 45 giorni, là non si capisce nemmeno come sia regolato, da non augurare a nessuno, è troppo. Siamo tornati al tempo di Hitler.”