E’ uscito per le edizioni “Hirundo”: La mercificazione del selvatico e le sue conseguenze

La mercificazione del selvatico e le sue conseguenze

Four Legged Human (2021)
• La mercificazione del selvatico e le sue conseguenze
Formato 13×13, 52 pagine.

Titolo originale: “The Commodification of Wildness and its Consequences”, 2015
tratto da: Black and Green Resistance #1, estate 2015
Traduzione di Luca Nanni

Introduzione

L’intero mondo selvatico è stato soggiogato e in parte distrutto per via della mercificazione, e l’aver trasformato ogni singolo elemento dell’ambiente che ci circonda in qualcosa di valore da poter estrarre, manipolare, trasformare e vendere ha ovviamente serie conseguenza anche sulle nostre vite. Ripercorrere il cammino che ci ha portato ad oggi è di vitale importanza. Spesso si sottovaluta l’entità del problema anche in ambiti radicali dove, quantomeno, esiste il desiderio e la volontà di scardinare le logiche produttive dominanti e il tipo di relazioni che derivano da uno stile di vita dove anche l’esistenza stessa delle persone è traducibile in merce.

Soprattutto negli ambienti più rurali dove si è riattivato un processo di riavvicinamento alla terra il passo verso la mercificazione è sempre dietro l’angolo; prodotti agricoli, artigianato, prestazioni di insegnamento o trattamento fisico (scuole libertarie o simili, yoga, massaggi, ecc… ). Il fatto che ovviamente stiamo ancora vivendo chi più chi meno all’interno di questo mondo monetizzato è di solito un buon motivo per partecipare a questa economia monetaria alternativa, e ciò potrebbe non fare un piega. È innegabile, tuttavia, che le riflessioni per un passo ulteriore verso un’economia non monetizzata, che potrebbe non essere necessariamente o per nulla il baratto, non sempre vengono portate avanti con grande passione. Se ne parla spesso nei termini del “certo quello sarebbe il massimo”, ma nella pratica quel passo risulta un enorme “sbattimento”. E di sicuro lo è, perché non si tratta solo di cambiare economia, ma di cambiare radicalmente la nostra percezione del mondo e delle relazioni umane che intessiamo.
Ovviamente, se c’è chi ha terra per produrre cibo e chi non ce l’ha, è difficile compiere qualunque passo, ma forse potrebbe non essere questo il punto. Di base è dentro di noi che dobbiamo compiere questo passo. Bisognerebbe seriamente cominciare a pensare che non si può non preoccuparsi di produrre o procacciare il cibo in prima persona e pensare di dedicarsi totalmente ad altre attività produttive delegando allo scambio (monetario o meno) la questione alimentare. Se si compie questo primo passo mentale il problema della terra potrebbe essere secondario. Un modo per avere accesso alla terra lo si trova anche senza grosse risorse finanziarie. Si può occupare, chiedere un comodato d’uso, chiedere ad amici e amiche che hanno un po’ di terra in eccesso di condividerla.

Difficile capire cosa debba ancora succedere per comprendere che non c’è né libertà né autonomia senza terra, che né la tecnologia industriale né gli ammassamenti urbani possono garantire alcunché di liberatorio. Ma il solo ritorno fisico alla terra non è garanzia di egualitarismo. Il discorso sulla mercificazione che qui si vuole affrontare è cruciale, sia da un punto di vista materiale che spirituale. I concetti di economia a ritorno immediato e di economia a ritorno ritardato possono essere utili per approfondire la questione. Nel testo l’autore fa notare molto bene come attorno a questa differenza si costruiscano mondi diversi. Qui provo a visualizzarli in situazioni che ci possono essere familiari. Partiamo dal definire questi concetti. Da Jerome Lewis:

“Nelle società a ritorno ritardato il lavoro viene investito su lunghi periodi di tempo prima che una resa venga prodotta o consumata. Questo ritardo tra l’investimento del lavoro e il consumo si traduce in disuguaglianza politica perché diventa necessario stabilire strutture gerarchiche di autorità per distribuire il lavoro, i rendimenti e controllare le risorse vitali mentre il lavoro matura in un rendimento. La maggior parte delle società umane contemporanee si basa su economie di ritorno ritardato. Gli sforzi degli Stati comunisti per sviluppare strutture più egualitarie hanno inevitabilmente ceduto a queste forze fondamentali, riaffermando nuovi tipi di gerarchie e disuguaglianze per gestire il ritardo tra lavoro e rendimento.
I cacciatori-raccoglitori a “ritorno immediato” come gli Yaka sono fortemente orientati al presente. Alla gente piace ottenere un ritorno diretto e immediato per il proprio lavoro – mangiando la maggior parte della propria produzione il giorno in cui lo ottengono, come cacciatori, raccoglitori e talvolta come lavoratori a giornata pagati in cibo. Valutano il consumo rispetto all’accumulo e condivideranno il loro cibo con tutti i presenti il ​​giorno in cui se lo procurano. Senza l’autorità e il potere derivati ​​dalla capacità di poter trattenere risorse vitali, la gerarchia ha grande difficoltà a stabilirsi. Pertanto le società le cui economie sono basate su rendimenti immediati tendono ad essere società egualitarie.”1.

È interessante notare come il passaggio da un economia a ritorno immediato verso una a ritorno ritardato ha significato per molti popoli un cambiamento radicale delle relazioni sociali e del modello economico. Come potrebbe essere utile a noi, oggigiorno, tutto ciò?

Proviamo a ritrarre due immagini, due esperienze esemplificative di rottura con la società contemporanea.

Vivere in case occupate in contesti urbani, recuperare cibo da mercati e supermercati (raccolta) o rubandolo di soppiatto muovendosi silenziosamente (caccia), e recuperare così il proprio fabbisogno giornaliero e settimanale con poche ore di lavoro giornaliero e condividerlo con i tutti membri della propria piccola comunità abitativa (e talvolta anche con altri) sembrerebbe rientrare nella descrizione data da Lewis dell’economia a ritorno immediato. La grande quantità di tempo libero dal lavoro di sussistenza permette numerose attività che creano forti legami di affinità, come l’attivismo politico, necessario alla lotta contro questa società sempre più opprimente, i vari processi di autodeterminazione, e le svariate attività ludiche e di aggregazione sociale organizzate non in ottica monetaria o di lucro. Questo modo di vivere ha però un forte problema. Non riesce a persistere nel tempo. Queste esperienze non riescono mai a durare molti anni, e non sempre per motivi repressivi. Certo i luoghi a volte esistono anche dopo 20/30 anni ma le persone che li vivono sono spesso cambiate. Più di tutto è difficile assistere a un processo intergenerazionale, sono cioè poche le persone che hanno figli e continuano a vivere in questi contesti con queste modalità a ritorno immediato.

In più ovviamente, il limite di questa modalità di vita è di essere totalmente dipendente dall’economia capitalista globale e poco resiliente nel caso l’economia crollasse o qualora per motivi repressivi e/o restrittivi diventasse più difficile recuperare o rubare cibo. Si potrebbe dire che ci sia un approccio di tipo spirituale all’economia a ritorno immediato ma è totalmente assente quello materiale in quanto manca in maniera importante il rapporto con la terra (nonostante piccoli tentativi di orticoltura urbana). È però semplice resistere alla mercificazione data la relativa semplicità delle modalità di approvvigionamento, anche se va sempre ricordato che attuare un modello a ritorno immediato in questi contesti con queste modalità è possibile perché si parassita, anche se legittimamente, un modello economico a ritorno ritardato.

Prendiamo ora un altro contesto, quello rurale o marginale. Qui l’attuazione istantanea di un modello a ritorno immediato sembra essere più problematica. L’accesso alla terra e all’abitare può assumere diverse forme: la proprietà, l’usufrutto e l’occupazione, e ci possono essere quindi, dal punto di vista economico, diverse sfaccettature. Qui il processo intergenerazionale è più presente e spesso il modello familiare che si aggrega in comunità è quello più diffuso. Esistono anche esperienze più comunitarie come le comuni. Il rapporto con la terra è presente, dove più dove meno, anche se le realtà con una forte autosussistenza alimentare sono rare. E la mercificazione è più diffusa ed è una tentazione molto presente. L’approvvigionamento di cibo al di fuori del sistema di produzione e distribuzione capitalistico è un processo che richiede una forte determinazione e duro lavoro. Richiede un forte spirito di collaborazione con gli altri e la creazione quindi di legami duraturi. Ma è per questo che può essere un modello più resiliente, capace di resistere di più agli urti delle crisi economiche e repressive. Ma perseguire il ritorno immediato in un contesto di auto sussistenza in simbiosi con la terra è l’impresa più importante da compiere oggigiorno.

Questi due esempi sono serviti per mostrare come questi concetti possano servire da chiave di lettura. Sono archetipi di svariate sfumature di modi di vivere. In entrambi i casi l’egualitarismo potrà essere altalenante in quanto nessuno dei due modelli prevede un sistema a ritorno immediato “puro”. In più noi ipercivilizzati di oggi abbiamo sempre il problema delle ideologie e delle concettualizzazioni, quindi pensiamo a mettere in pratica l’egualitarismo senza prendere in considerazione il tipo di economia e di organizzazione sociale che mettiamo in atto. Tendiamo a scindere sempre i vari aspetti della vita e questa frammentazione ci fa spesso perdere di vista che l’obbiettivo non è solo immaginare una vita libera e autonoma, ma, metterla in pratica. E allo scopo servono materia e spirito. Serve il saper fare e il desiderare, servono l’esperienza e la capacità di condividerla spontaneamente formando così legami duraturi.

Non basta solo “la presa bene”. Serve molto spirito autocritico. Viviamo in un mondo mercificato e siamo quindi portati sempre a mercificare, tutto, compresi noi stessi e noi stesse ed è emblematico come molta gente, e anche molta gente militante abbia partecipato alle manifestazioni contro il Lockdown dell’autunno 2020, in questa nuova era di tirannia tecno-sanitaria, sotto lo slogan: “tu ci chiudi, tu ci paghi”, quasi a voler dire che se ci paghi, tu Stato, ci puoi fare quello che vuoi, basta che ci dai da mangiare. È l’emblema della dipendenza e dell’addomesticamento a cui siamo arrivati. La mercificazione del selvatico è l’inizio di tutti questi discorsi.

Buona lettura

Hirundo, inverno 2020 – 2021

1  Managing aboundance, not chasing scarcity: the real challenge for the 21st century. Tratto da Radical Anthropology Journal, #2, 2008.