La molla che ti spinge a reagire

La molla che ti spinge a reagire

Ferma la falce del massacro

La loro morte deve cessare

Ogni attimo

Un respiro di veleno

Ogni volta

Che ti senti a posto

È un passo avanti per crepare

lentamente tra un pugno d’anni

Senti il richiamo

(Senti) la rabbia che sale

(Senti) l’unica voce

La molla che ti spinge a reagire

Wretched, Senti il richiamo

“… alla mancata evidenzia di idonei dati fattuali da cui inferire il sostanziale distacco dall’ambito ideologico”.

Questa è una delle frasi finali del rigetto – datato il 17.03.2021 – della Corte D’Assise d’Appello di Trento riguardo alla richiesta di revoca delle misure a cui sono sottoposti i compagni e le compagne inquisiti nell’Operazione Renata. I burocrati di tribunale – tramite le veline dei ROS e Digos – cercano di giustificare gli ormai 16 mesi di misure (obbligo di dimora con rientro notturno) con cui li tengono ristretti nei loro obbligati domicili. La loro paura è che ritornino nei lidi in cui per anni hanno vissuto e lottato, e quindi che possano riprendere le proprie attività a loro avviso pericolose. Spremendo le tre paginette dell’argomentazione del rigetto sono questi i motivi delle continue restrizioni. Il fatto che in Trentino gli anarchici non siano spariti, e neanche le pratiche di attacco, il fatto che la solidarietà nei loro riguardi sia ancora viva, il fatto non abbiano né detto né scritto nessuna abiura alle idee anarchiche, e quindi al proprio pensiero e alla propria etica, è motivo per i nostri nemici per continuare a tenerli ristretti con delle misure che nemmeno per un giorno saranno utili allo scopo di scontare le pene che sono arrivate, confermate in secondo grado il 22 febbraio davanti alla Corte d’Assise di Trento.

Probabilmente la figuraccia fatta (la caduta, per l’ennesima volta, di ogni reato associativo e “finalità di terrorismo”) da parte della Procura di Trento con annessi scagnozzi con i distintivi, nel cercare di fermare chi per loro è motivo di grattacapi e di buchi nell’acqua investigativi, spinge questi signori a far sì che in qualche modo i loro sospetti cadano su di loro visto che ignoti sono gli autori di svariati attacchi accaduti nel tempo.

La sensazione che abbiamo è come se fosse stata affibbiata una specie di Sorveglianza Speciale informale, un reticolo di carte burocratiche, rimpalli tra autorità del Ministero di Giustizia in cui a volte è difficile raccapezzarsi, ambiente ben descritto dal celebre romanzo di Kafka Il processo.

Ma se da una parte diciamo esplicitamente che le nostre idee e la nostra visuale sul mondo rimangono ben salde, se i nostri compagni e compagne si ostinano a starci vicini, come abbiamo già detto altre volte non siamo soliti guardare il nostro ombelico, ancor di più visti gli ultimi mesi repressivi in questo i Paese.

Facciamo un breve ma consistente elenco delle azioni repressive dello Stato negli ultimi mesi:

– 19.01: udienza a Cagliari per la Sorveglianza Speciale a cinque compagni e compagne.

– 27.01: inizia il processo a Cagliari per l’Operazione Lince contro il movimento antimilitarista in Sardegna.

– 03/02: diciannove misure (tra le quali alcuni arresti domiciliari) a Firenze per gli scontri del 30.10.20 contro le nuove misure restrittive.

– 23.02: perquisizioni a Trieste contro due attivisti dell’associazione Linea D’Ombra. Con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’operazione poliziesca indaga su una trentina di persone.

– 24/02: a Genova cinque lavoratori del CALP indagati dalla locale Procura per associazione per delinquere.

– 09/03: trentotto arresti a Torino (accusa: devastazione e saccheggio) per gli scontri del 26 ottobre contro le nuove misure restrittive.

– 10/03: la polizia interviene con violenza contro gli scioperanti all’azienda Texprint di Prato.

– 10/03: ventuno perquisizioni e sette misure cautelari applicate a Piacenza contro facchini dei Si Cobas per i picchetti davanti al magazzino della TNT-Fedex.

– 11/03: ad esponenti della sinistra alternativa bergamasca vengono contestati i reati 270bis (associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico), 612 (minacce) e 339 (aggravante per lesione minacciate).

– 19/03: nell’aula bunker del tribunale di Lecce, oltre cento persone vengono condannate per la loro lotta al TAP (il giudice commina delle condanne doppie o addirittura triple rispetto alle richieste del PM).

– 22/03: misure ed arresti domiciliari per tredici militanti dell’Askatasuna di Torino per gli scontri a Torino il 1° Maggio 2019 – 23/03: sgomberata l’occupazione di Oulx che da due anni lottava contro le frontiere.

– marzo 2021: svariate denunce a compagni e compagne dell’Assemblea contro carcere e repressione del FVG, per istigazione, diffamazione ed oltraggio.

Fatto questo elenco, non possiamo non contare le decine di compagni e compagne che sono sottoposti a misure restrittive di varia natura.

Senza scordare quelle decine di migliaia di persone che nell’ambito sanitario hanno deciso di non vaccinarsi per loro libera scelta, e che con il nuovo annunciato decreto rischiano allontanamenti dai reparti, sospensioni, licenziamenti, radiazione dagli albi.

È evidente che nell’ultimo periodo lo Stato sta cercando di fare tabula rasa, in modo trasversale, di quel poco che rimane in questo Paese sia per quanto riguarda le lotte in vari ambiti, sia riguardo la solidarietà basilare tra oppressi ed oppresse.

Non c’è più spazio per nessun tipo di dissenso, men che meno nel mondo del lavoro, soprattutto se tocca i gangli vitali del sistema capitalista, cioè la logistica. Apparato che è evidentemente fragile e messo in difficoltà per il suo stesso modello di organizzazione. In ogni dove ci sono problemi tecnici, incidenti (vedi la nave bloccata in questi giorni nello Stretto di Suez), ma anche sabotaggi e attacchi.

In tanti hanno compreso che più si abbassa l’asticella del conflitto, più il potere colpirà quel poco che rimane della solidarietà, dei luoghi in cui le persone discutono e si organizzano per lottare contro le ingiustizie, dell’opposizione politica ed etica alla barbarie, alle politiche repressive, economiche, ambientali, sociali sempre più legate ad un sistema che dimostra la sua violenza e le sue finalità di disumanizzazione tecnica.

Durante quest’anno in troppe persone si sono fatte incastrare dalle decisioni calate dall’alto riguardo alla gestione della situazione sanitaria, argomento in cui non entreremo in questa sede, ma che crediamo sia motivo di riflessione su come le masse – anche quelle dei movimenti di sinistra – si facciano schiacciare dalle decisioni tecniche e politiche dello Stato senza nessuna reazione. L’imposizione dei vari provvedimenti pseudo-sanitari sta chiudendo in un angolo non solo i corpi, ma soprattutto le menti, le quali sono sprovviste in questo momento, sballottate dal flusso caotico dell’informazione, di un lume che porti alle critica radicale di quello che sta avvenendo e che tutti stiamo subendo. Questa è senz’altro una delle cause principali della scarsa risposta alla repressione diffusa da Nord a Sud.

La mancanza di ritrovo, di scambio, il filtro della tecnologia, l’assenza di idee di opposizione di classe, di una sana rabbia contro tutto quello che sta avvenendo, unita all’incapacità di creare momenti conflittuali, sta spingendo un po’ tutti i movimenti alla quasi totale rassegnazione, all’atrofia, all’assenza di fantasia. Decenni di repressione e abbassamento del conflitto ci hanno portati tutti, compreso il movimento anarchico in generale, a non saper guadare in faccia il nemico, a riconoscerlo, e possiamo dire anche a provarne una verace ostilità.

Da non sottovalutare l’abbandono nelle teste e nei cuori della possibilità, della tensione nel battersi per un mondo diverso e quindi ad immaginare la realtà odierna come un banco di prova per capire dove e come distruggere per poi costruire il mondo che portiamo dentro.

Chi ora è in fase passiva, quasi depressiva per certi versi, lo invitiamo a guardare lontano, non solo in termini di ideale ma anche in senso strettamente geografico. Non c’è continente che non abbia i suoi conflitti più o meno accesi, dalle sommesse agli scontri diffusi nelle città, senza contare le azioni dirette che in molti non vogliono osservare perché per loro non c’entrano con la lotta. Invece sono proprio quelle che nel momento dell’appiattimento, a volte comprensibile, fanno capire che lo spazio per fare qualcosa c’è sempre e non è prerogativa di nessun movimento. Semplicemente è la storia che fa capire che il singolo, l’individuo che si unisce ad altri – se e come vuole – può far sì che si riaccendano le speranze, che il buio della paura e l’apatia vengano rintuzzate. “È la scintilla che accende la polveriera” – un motto importante, per noi, ancor di più in questo momento. Seminare zizzania tra sfruttati e sfruttatori, rompere il fronte tra chi segue lo Stato e la sua propaganda e chi indugia. Tra chi obbedisce e chi percepisce che la storia ufficiale raccontata è marcia. Tra chi pensa che il ritorno alla normalità con le sue derive tecnologiche e medicalizzate sarà l’unica soluzione, e chi di tutto questo non ne vuole sapere. Tra chi se ne frega del destino dei propri simili, e chi ha ancora un cuore in cui pulsa la solidarietà umana. Rompere questa cerchio è sempre più urgente!

Sul sito carmillaonline.org, nell’articolo uscito il 21 marzo, “AAA Associazione a delinquere cercasi”, c’è una proposta per il 25 aprile che può essere una delle poche proposte da cogliere in un panorama generale piatto o come minimo sulla difensiva. Non è una giornata risolutiva ma è tra le poche che possono smuovere un po’ di animi, che faccia sì che si esca dal torpore delle restrizioni imposte, che faccia da veicolo ad altri discorsi nelle strade.

Chi non percepisce il pericolo di questa deriva autoritaria, chi reclama come unica soluzione le scelte imposte da Stato e tecnici, è meglio che si dia una sonora svegliata, perché non lottare ora contro certe politiche che tendono a medicalizzare la società in senso repressivo, che tendono ad escludere le libertà degli individui, sarà poi svegliato dall’amara realtà di ritrovarsi rovesciata addosso tutta la passività accumulata.

D’altronde ci tocca anche constatare che due anni fa, nell’analisi sulle inchieste contro il movimento anarchico, dicevamo proprio che quella repressione specifica era propedeutica ad una più generale repressione generalizzata. Ed eccoci qui a fare a la conta delle realtà colpite in tutta Italia e la totale incapacità – movimento anarchico compreso – a dare risposte adeguate anche a solo uno degli attacchi fatti dallo Stato nelle ultime settimane.

Qualcuno potrebbe obiettare che almeno sul carcere ci si è provato. È vero che nell’ultimo anno si è fatto un notevole sforzo per cercare di sollevare la questione carceraria rispetto ai fatti del marzo 2020. Ma un conto è denunciare, raccontare, fare un lavoro d’inchiesta, un altro è riuscire a dare risposte a quelle morti. Crediamo che di questo tutti siamo consapevoli.

Eppure fuori da questo Paese le lotte continuano, anche loro represse, ma sicuramente più vive. Nelle ultime settimane spicca in particolar modo la Grecia, in cui, a partire dallo sciopero della fame di Koufontinas, la risposta alle politiche dello Stato e alla violenza della polizia si è allargata. In Francia gli attacchi alle infrastrutture del capitale e dello Stato continuano a cadenza settimanale, in Cile i movimenti nati dalle rivolte del 2019 continuano nonostante la feroce repressione, in Libano la gente ridotta alla fame continua a scontrarsi con la polizia ecc.

Lo sguardo quindi deve intrecciarsi con una visuale ben più ampia, per capire l’andamento geopolitico del conflitto di classe di cui l’Italia è solo un tassello, in questo momento tra i meno interessanti.

È un po’ come se sotto sotto anche noi sperassimo di tornare alle nostre piccole cose della vita, a credere che una vita semplice ma tranquilla sia ancora alla nostra portata. Per chi scrive, questo “allarme”, questo osservare la realtà con un certo senso di urgenza, di inquietudine, ma anche di una voglia di rivoluzionare una buona volta questo stato di cose, è lo sprone a un cambiamento di approccio, ad una consapevolezza che non tornerà nulla come prima, che il mutamento attuale è profondo, e che non c’è tempo per il riposo nella lotta di oggi.

La molla che ti spinge a reagire, diceva un gruppo anarco-punk degli anni ’80. Ecco, quella molla in questo momento è schiacciata, non trova lo slancio per il balzo. Eppure siamo convinti che nel momento in cui il gancio che la tiene si romperà, allora la molla balzerà con forza verso l’alto, raggiungendo la chiarezza delle idee, dei progetti sognati notti e giorni per anni. E in quel momento forse potremo costruire qualcosa di diverso.

Rompiamo il gancio prima possibile.