Dei diritti e delle pene

Dei diritti e delle pene

 

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo

Mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione

F. De André, Un medico

A furia di evocarla, si è manifestata realmente. Parliamo della Giustizia, naturalmente; quella stessa Giustizia che, a chiusura di tre processi a carico di circa un centinaio di manifestanti che si erano opposti alla costruzione del gasdotto Tap, ha chiuso la sua prima fase, condannandone una ottantina a pene comprese tra tre mesi e tre anni e due mesi.

Pare che queste condanne abbiano suscitato un certo scandalo, ed in molti sono addirittura arrivati ad accorgersi che un giudice faccia il lavoro da giudice, ovverosia condanni.

È lecito chiedersi cosa ci si aspettava, e soprattutto cosa si attendevano tutti coloro che da anni chiedono incessantemente che la Giustizia intervenga, salvo lamentarsi quando poi lo fa veramente. Perché, sia chiaro, la Giustizia è proprio quella che ha emesso la sua sentenza nella data del 19 marzo, ovvero uno strumento – fra gli altri – a difesa dell’ordine costituito. Oppure qualcuno pensava che un giudice imparziale avrebbe valutato correttamente i fatti e, se anche avesse trovato qualche irregolarità o indizio di reato, sarebbe sceso dal suo scranno per dare una pacca sulla spalla agli imputati, dicendo che in fondo non era poi così grave, e che anzi erano loro ad essere dalla parte della ragione, perché si erano opposti a un “mafiodotto”, a un’opera “climalterante”, ad un progetto “inutile e dannoso”? Suvvia, sarebbe stato quantomeno ingenuo pensarlo…

Forse allora bisognerebbe fare una riflessione, dopo che per anni ci si è appellati all’intervento della magistratura per bloccare l’opera, con tanto di sit-in fuori dal tribunale per provare a sollecitarla. Forse bisognerebbe riflettere sul cammino compiuto a braccetto delle istituzioni – sindaci, parlamentari, ecc. – per provare a contrastare il gasdotto, pensando al fatto che i tribunali altro non sono che l’organo giudiziario di quelle stesse istituzioni. Forse bisognerebbe fare una riflessione, dopo che sono stati invitati a sostenere la lotta dei giudici esattamente uguali a quello che ha emesso la sentenza; un giudice, come il troppo tardi defunto Imposimato, che è stato al vertice nel condannare migliaia di uomini che avevano tentato l’assalto al cielo in una lunga stagione di lotte, uomini come un bandito morto di recente che ora viene commemorato anche da chi ha invitato quel suo nemico. Forse, ancora, bisognerebbe fare una riflessione, quando si parla dei giornalisti che raccontano bufale e fanno da reggi moccolo alle opere del potere, mentre per anni sono stati invitati giornalisti, anche di provenienza fascio-leghista, a sostenere le ragioni della propria lotta.

Dovremmo prendere coscienza del fatto che non è possibile separare l’opposizione ad un tubo che trasporta gas da una più ampia opposizione, o quantomeno contrarietà, al mondo intero che vuole realizzare determinate opere; alle ragioni economiche, politiche e sociali che di quel mondo sono, nello stesso tempo, il fondamento e il riflesso.

 

[Le leggi sono] gli obblighi che i più forti, i più fini e i più astuti,

hanno imposto ai più deboli, al fine di mantenere le loro disastrose istituzioni,

o anche per impedirne gli inconvenienti funesti nella misura del possibile.

F. Boissel, 1789

 

Una certa indignazione si era manifestata, da parte del Movimento che si opponeva a Tap, all’indomani della sentenza di prescrizione per la strage di Viareggio, in cui era imputato, tra gli altri, l’ex country manager di Tap, Michele Mario Elia. Ora, a parte la spregevole pratica di augurare la galera a chicchessia, neanche quella prescrizione pare essere stata utile a far capire che il potere quasi mai condanna se stesso, ed anzi utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione – compresi i cavilli legali – per autoassolversi e assolvere i suoi servi più fedeli.

Pensare di utilizzare il Diritto per opporsi a chi quello stesso Diritto stabilisce, impone e gestisce, conduce nello stesso vicolo cieco in cui finiscono le opposizioni alle grandi opere portate avanti per mezzo degli strumenti burocratici, politici e giuridici, come l’opposizione a Tap – quantomeno una certa opposizione – si è incaricata di dimostrare. È solo provando a distruggere o andare oltre, scavalcando quella concezione di Diritto, e quindi anche le concezioni e le strade burocratiche, politiche e giudiziarie, che si può tentare di percorrere fino in fondo una opposizione reale e incisiva ai progetti che ci vengono calati sulla testa, che si tratti di un gasdotto come di qualunque altra imposizione, come potrebbe essere una vaccinazione di massa.

Al di là di ciò, restano solo le geremiadi per condanne che si ritengono ingiuste o particolarmente severe, e la possibilità di racimolare denaro per pagare, presumibilmente, le multe che il Diritto ha appioppato.

Continuare le lotte quando le repressione colpisce, si diceva una volta, senza arretrare o rifugiarsi in questioni giuridiche. Ma questo è possibile solo qualora quelle lotte non siano state portate avanti sotto il profilo tecnico-giudiziario, auspicando interventi della magistratura per rilevare irregolarità o punire degli sbirri cattivi contro cui non accenna a voler procedere, perché in tal caso la strada è segnata in partenza.

Forse è da qui che bisogna ripartire.