Lugano: Con rabbia e con amore: Comunicato post non-corteo+Aggiornamento CSOA Molino
Riceviamo e diffondiamo:
Con rabbia e con amore: Comunicato post non-corteo
Riceviamo e diffondiamo – 12 marzo 2021, Lugano
La mia risposta al razzismo è la rabbia. Ho vissuto con quella rabbia, ignorandola, nutrendola, imparando a usarla prima che mi distorcesse la vista, per gran parte della mia vita. Una volta lo facevo in silenzio, impaurita dal suo peso. La mia paura della rabbia non mi ha insegnato nulla. La tua paura di quella rabbia non insegnerà nulla neanche a te.
(Audre Lorde, Gli usi della rabbia. Le donne rispondono al razzismo)
Quest’anno in molti luoghi i cortei femministi dell’8 marzo sono stati pesantemente attaccati: Zurigo, Ginevra, Barcellona. Ciò nonostante, in tutto il mondo, la portata storica e rivendicativa di questa giornata è sfociata in cortei partecipati e determinati, in azioni di disturbo, scritte sui muri, blocchi stradali, manifestazioni notturne, flash mob e tanto altro ancora. Le pratiche di rivendicazioni femministe non escludenti e antirazziste stanno sempre più diventando elemento di rottura e di decostruzione del sistema eteropatriarcale, maschio e bianco.
A Lugano, lunedì 8 marzo, come CSOA Molino abbiamo chiamato un corteo autodeterminato e ribelle contro patriarcato, razzismo e islamofobia! Poiché – ricordiamo – è proprio nel patriarcato che individuiamo le radici storiche e strutturali delle oppressioni e di ogni forma di discriminazione e razzismo. Una manifestazione chiamata l’8 marzo, anche per riportare contenuti altri rispetto a chi l’ha trasformata in un vuoto giorno di festa e di celebrazioni funzionali al sistema capitalista.
Un corteo, nato inoltre anche in previsione della votazione di domenica 7 marzo, riguardante la dissimulazione del volto. Come sempre non ci interessa entrare nelle logiche istituzionali e nel teatrino delle votazioni, ma abbiamo comunque ritenuto fondamentale mostrare la nostra contrarietà. Perché – per chi non se lo ricorda o non lo vuole ricordare quando si parla a vanvera di “democrazia” – sono proprio le leggi razziali (di cui la legge “anti-burka” potrebbe esserne una versione moderna), il fascismo e il nazismo a essere nate nei democratici parlamenti e nel vuoto e strumentale concetto di legalità. Ma una legge se ingiusta la si contesta. E siamo convinte che le leggi razziste, patriarcali e discriminatorie debbano essere contestate come si vuole, dove si vuole e in qualsiasi modo!
Quella di lunedì è stata una non-manifestazione partecipata e densa di interventi. Un momento di strada iniziato con interventi, slogan, e contenuti ben chiari. Si è parlato di femminicidi, delle doppie pene delle donne migranti, degli effetti dell’eteropatriarcato alle nostre latitudini, di leggi razziste, dei traumi dell’isolamento carcerario, delle esperienze di autodifesa delle donne curde in Rojava e dei femminismi comunitari sparsi per il mondo. Si è parlato di controllo e di sicurezza, di autodifesa e di ribellioni. Un centinaio di persone hanno percorso la non-manifestazione, bloccata in stazione: ragazzx che attraversano il Molino, persone della comunità curda e di varie altre comunità, culture e provenienze, rappresentanti di collettivi di solidarietà con migranti, giovani studentesse e studenti, bambine e bambini.
Se l’idea era quella di un corteo mascherato, comunicativo e determinato per attraversare una delle città più controllate e sorvegliate della svizzera, la sua realizzazione – visto l’ingente dispositivo repressivo messo in piedi dalle autorità (per quanto sbirri e media di regime millantino la manifestazione non autorizzata sia avvenuta) – è stata resa impossibile. Un dispiego di polizia in antisommossa prevedibilmente provocatorio, ha accolto e circondato fin da subito, in una situazione di nervosismo e di incertezza, le attiviste e i solidali partecipanti.
L’intento è apparso da subito assai chiaro e il dispositivo un chiaro monito: oggi nessuna manifestazione -dietro chiaro ordine del Municipio cittadino – sarebbe dovuta svolgersi per le strade di Lugano. E poco importa il grado di risposta delle persone presenti: da quell’accerchiamento nessunx ne sarebbe dovuto uscire indenne. Sia stato esso un controllo d’identità, una perquisizione, una provocazione. Fino ad arrivare all’ennesimo pretesto per attaccare l’esperienza di autogestione del Centro Sociale.
In questo contesto, e dopo più di un’ora di blocco, il tentativo di avviarsi verso l’unico buco lasciato libero dal dispositivo (circa 70 agenti in assetto antisommossa!), non era nient’altro che la voglia di tornare a respirare e di provare a portare per le strade cittadine le rivendicazioni dell’8 marzo. Quella che invece è stata definita – da sbirri e media – come una carica delle manifestanti, sono stati i 5 e più passi necessari verso il cordone di polizia, proprio per uscire dall’accerchiamento. E il cui risultato sono state manganellate, spray al pepe e calcioni vari.
Nella giornata dell’8 di marzo, a Lugano – città dove alcuni anni fa il sindaco leghista Marco Borradori riceveva sorridente l’omaggio floreale dell’imprenditore sessista e machista Philippe Plein – più donne sono state picchiate, toccate, spintonate, allontanate, insultate, sprayate, manganellate, ammanettate da agenti di polizia maschi. E a una giovane ragazza fermata è stato pure strappato il velo (hijab)!
Fino alla farsa finale: le ultime 40 persone vengono accerchiate da 50 sbirri in tenuta antisommossa. La polizia manganello alla mano – dopo essersi visto rifiutato l’ordine “di uscire unx alla volta documento in mano e mani sulla testa” (sic!) – in un vortice di violenza gratuita e vendicativa, si rende operativa con vari blitz di sequestro per prenderci unx alla volta, manganellando pesantemente, pestando, buttando a terra e ammanettando. Con tutto il corollario di insulti denigratori, mani nel naso e calci ben piazzati mentre si è schiacciati a terra, faccia premuta sull’asfalto, da più agenti.
Non ci stupisce certo il trattamento dell’apparato repressivo dello stato, che di fatto ben sappiamo si fonda su controllo e violenza. Così come non ci stupisce l’ennesimo teatrino messo in piedi contro il Molino alla vigilia di ogni campagna elettorale. Tutte scene già viste nel 2012, nel 2016 e nel 2020, sempre trovando qualsiasi scusa per infangare il Molino. Terminate poi le elezioni, silenzio assoluto: finché si sta chiusi dentro le mura dell’ex macello, senza disturbare la città vetrina, tutto fila liscio…
È comunque sempre divertente, quando si vive da protagonistx determinati fatti, leggere e ascoltare narrazioni, opinioni e superficiali analisi di giornalisti e politicanti di ogni partito. Una comicità piuttosto tragica, vista la povertà degli argomenti. E sarà che le bettole sono chiuse, sarà che gli aperitivi non si possono fare, ma i vari interventi somigliano sempre più a chiacchiere da classico “Bar Sport” di provincia,più che a prese di posizione di chi vanta di promuovere versioni imparziali, come i giornalisti, o da chi, da bravo politicante, sfrutta la propria autorità per sputare sentenze a vanvera.
Così le dita ansiose, nervose e tamburellanti sul tavolo di Teleticino, durante la propagandista trasmissione Matrioska, dell’obersturmbannsführer camerata Norman Gobbi, non lasciano troppi dubbi: all’interno delle istituzioni il nervosismo è latente e la voglia di andarci pesante sembra accertata.
Falta lo que falta dicevano gli antichi. Il 2021 saranno 25 anni dal violento sgombero della festa di primavera al parco del Tassino che portò all’occupazione dei Mulini Bernasconi e i 150 anni della Comune di Parigi. Oggi più che mai, con l’aggravarsi dell’oscurità, con i pericolosi ritorni della storia e con un futuro le cui possibilità liberatorie saranno sempre più ridotte, occorre ispirarsi e riprendere quelle esperienze rivoluzionarie, realmente emancipatrici e di rottura volte alla creazioni di altri mondi possibili.
Con determinazione, complicità e tanto amore. Ma – se necessario – anche con sassi e bastoni. Ci si vede per strada. Qui siamo e qui restiamo.
L’assemblea del CSOA il Molino
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Altri contributi letti durante l’iniziativa:
Essere Donna Viandante
Crediamo nel bisogno di sottolineare l’esistenza della categoria “donna migrante”. Questa categoria sorge dalla logica del sistema capitalista – un sistema che produce migrazione di manodopera sottopagata e sfruttata a seconda dei propri bisogni economici e di controllo sociale.
Vogliamo anche ricordare un’altra sottocategoria, quella delle donne migranti “ che non servono”, poichè non rientrano nei bisogni economici e sociali del sistema capitalista. Queste persone, in quanto donne di fronte al sistema legislativo e migratorio, si trovano spesso costrette a vivere richiuse nei vari centri per richiedenti asilo e a sottostare al funzionamento delle leggi migratorie. Leggi che nello specifico si traducono in attese, spostamenti, incertezza, allontanamento dalle proprie figlie e figli, fino ad arrivare alle violenze verbali, fisiche o alla deportazione forzata. Meccanismi, questi, che ritroviamo anche nei vari centri per richiedenti asilo presenti sul territorio ticinese e svizzero!
La società occidentale si è costruita e arricchita con la colonizzazione, che sin dall’inizio ha creato disuguaglianze strutturali e socialmente accettate, rese apparentemente naturali e mediate da sistemi di disparità di genere.
Questo meccanismo continua anche oggi e in generale situa le donne nella sfera privata della casa, dove il lavoro domestico e riproduttivo non remunerato è fondamentale per creare nuova manodopera utile ad alimentare la “grande economia” del neoliberalismo.
In più, le donne migranti sono percepite come culturalmente docili e non ancora emancipate, in una visione semplicistica degli “uomini al lavoro e donne a casa”.
È il patriarcato che genera, alimenta e legittima la disuguaglianza di genere, che viene sfruttata spesso anche da donne cosiddette “emancipate”, non coscienti del loro privilegio bianco, che utilizzano le donne migranti per esempio nel lavoro di cura o domestico con quell’atteggiamento buonista del “almeno le diamo la possibilità di lavorare”.
Alla questione di genere, se ne aggiungono altre. Quella della razza, della classe e della religione, che generano esclusione e segregazione, limitando anche la partecipazione a varie sfere della società, come l’accesso a un percorso formativo più ampio. La proposta di legge contro la dissimulazione del volto è di fatto una legge anche contro burqa e niqab, e di conseguenza diminuisce ancor di più la libertà di partecipazione delle donne di una classe già di per se discriminata.
Ecco perché pensiamo che sia importante sottolineare anche la specificità della categoria “donna migrante” e darle voce in questa giornata.
Giorno che speriamo non rimanga semplicemente una festa, ma ritorni ad essere uno stimolo di lotta, di solidarietà, di volontà di rendere visibile ciò che l’occidente si ostina a non voler vedere.
Alcune donne migranti
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Zapatist* in Europa – Viaggio per la vita
Il 1 gennaio 1994 il movimento zapatista prende la forma del grido armato, che si è poi trasformato in esperienza di autogoverno popolare, costruita in completa rottura con le istituzioni dello Stato Messicano.
Le rivendicazioni erano allora come oggi quelle di terra, lavoro, salute, educazione, indipendenza, democrazia, libertà e giustizia, in un processo di liberazione dalle logiche capitaliste e di globalizzazione.
È fondamentale ricordare che tutto ciò è stato preceduto dalla lotta delle donne all’interno del movimento stesso, in particolare tramite quella che viene chiamata la “legge rivoluzionaria delle donne”, che stabilisce ad esempio che tutte le donne possono partecipare nella lotta in tutti i suoi aspetti e in ogni comunità, che le donne hanno diritto a lavorare e ricevere educazione, che possono scegliere la persona con la quale vivere la propria sfera intima, che devono poter decidere se avere figl* e quant*, che nessuna donna può essere maltrattata.
Nel cinquecentesimo anno dall’invasione coloniale di Cortez alla grande Tenochtitlan, oggi conosciuta come Messico, nel ventiseiesimo anniversario dall’insurrezione zapatista, le compagne in lotta in Chiapas annunciano la loro vitale incursione per contagiare con il virus della resistenza e della ribellione la vecchia Europa impaurita e il resto dei 5 continenti.
Il «viaggio per la vita» affonda le sue radici nel non essere conformi con il sistema attuale. Per questo le compagne zapatiste hanno deciso di lasciare le montagne messicane del sud-est per intraprendere un viaggio di scambio, insegnamento e apprendimento, arrivando nell’«Altra Europa dal basso» indicativamente durante la fine della prossima estate. La delegazione sarà probabilmente formata da 160 compagn*, di cui la maggior parte saranno donne.
Vogliamo condividere una Citazione da “Mujeres” di Eduardo Galeano:
“Le invisibili
La tradizione voleva che gli ombelichi delle neonate fossero seppelliti sotto le ceneri della cucina, affinché imparassero presto quale è il posto della donna e che da lì non si esce.
Quando la rivoluzione ebbe inizio molte ne uscirono, ma portandosi la cucina sulle spalle, con le buone o con le cattive, per rapimento o per volere proprio seguirono gli uomini di battaglia in battaglia.
Portavano i bebè attaccati al seno e sulla schiena pentole e padelle. E le munizioni: loro facevano in modo che non mancassero tortillas in bocca né proiettili nei fucili.
Quando l’uomo cadeva, erano loro ad impugnare l’arma.
Sui treni gli uomini e i cavalli occupavano i vagoni. Loro, le donne viaggiavano sui tetti, pregando Dio che non piovesse. Senza di loro, soldatesse, cucarachas (scarafagge), Adelitas, vivandiere, galletas, Juanas, pelonas, guachas (modi in cui le chiamavano) quella rivoluzione non ci sarebbe stata.
A nessuna venne pagata la pensione“.
In questa giornata di lotta vogliamo dare voce al Viaggio zapatista, perchè crediamo che possa essere l’occasione ideale per rilanciare l’organizzazione internazionalista. Vogliamo sottolineare che è necessario re-incontrarci con le resistenze nel nostro contesto politico per renderci conto che non siamo sol*, che siamo in tante, in tanti a volere un cambiamento.
Questo viaggio è un invito all’autogestione, a partire da una prospettiva femminista e antipatriarcale, anticapitalista, antirazzista e anticoloniale.
Il viaggio zapatista e la carovana che seguirà, sono attualmente in costruzione.
Per chiunque voglia partecipare alla costruzione organizzativa o anche solo rimanere informat*, vi invitiamo a prendere il foglio con le rispettive informazioni, come il conto di finanziamento collettivo su cui versare i soldi per sostenere la carovana zapatista in Europa, le email per le informazioni e il canale telegram che è stato attivato per i vari aggiornamenti.
La lucha sigue!!
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E’ tempo di difendere le donne libere e la società libera contro il femminicidio!
Dall’Asia all’Africa, dall’Europa alle Americhe, in tutto il mondo, le donne stanno resistendo agli attacchi fisici, culturali, sociali, politici ed economici della civiltà capitalista e patriarcale. Il militarismo, il nazionalismo, il fondamentalismo religioso, il sessismo e le dottrine scientifiche positiviste condannano le donne e le persone di tutto il mondo a una vita di violenza, espropriazione e mancanza di libertà. Questi assalti ai corpi, alle vite e ai pensieri delle donne sono parte di uno sforzo globale per minare e distruggere le storiche conquiste collettive delle donne negli ultimi decenni. La lotta di liberazione delle donne, che simboleggia una delle posizioni più radicali dei movimenti globali per la democrazia, l’uguaglianza, la giustizia e la libertà, è sotto attacco da parte delle stesse forze che stanno distruggendo il pianeta, incitando alla guerra e diffondendo quotidianamente sfruttamento e violenza.
Solidarietà globale delle donne contro il patriarcato globale.
La minaccia che le lotte delle donne rappresentano per il sistema dominante non può essere negata; l’aumento dei femminicidi contro le donne che lottano ne è una barbara testimonianza. Chiaramente, le nuove alleanze transnazionali costruite tra le lotte di liberazione delle donne sono uno dei maggiori pericoli per il sistema patriarcale, sostenuto dal capitalismo e dallo stato nazionale. Gli attacchi alla rivoluzione delle donne nel Rojava e nel nord della Siria – un’alleanza storica di donne arabe, curde, siriane, assire, turkmene e armene – lo illustrano, e oggi anche i diritti che sembravano garantiti dopo decenni, se non secoli, di lotte delle donne per l’uguaglianza, sono in pericolo. In tutto il mondo, vediamo una reazione violenta contro il diritto delle donne all’autodeterminazione corporea. L’ascesa di movimenti e governi di destra ha portato ad attacchi sistematici al diritto all’aborto, al diritto al lavoro, al diritto alla parità di salario e al diritto di organizzarsi politicamente contro l’oppressione. Le politiche neoliberali svalutano ulteriormente il lavoro delle donne, che viene costantemente reso invisibile e ci viene fatto credere che non merita alcun riconoscimento o compenso. Abbondanti prove suggeriscono che queste politiche patriarcali in un determinato contesto potenziano e influenzano quelle in altre parti del mondo. Questa solidarietà maschile è un attacco alle donne e alla vita stessa. Si può rompere solo con un fronte di difesa dei diritti delle donne per proteggere la società e la natura dall’estinzione.
Rivoluzione delle donne: antidoto al fascismo.
Come movimento delle donne curde in Europa, diciamo che il 21° secolo sarà l’era della rivoluzione delle donne. Questa non è un’affermazione astratta, ma piuttosto uno sguardo che traiamo dalle molte lotte nel mondo. In America Latina, le donne sono state in prima linea nella lotta per l’autonomia della loro vita. Le loro opposizioni ai femminicidi e al controllo maschile sui loro corpi sono state un’ispirazione per le persone di tutto il mondo. In tutta l’Asia e l’Africa, compresa la regione del Medio Oriente, le donne partecipano attivamente alle lotte contro lo sfruttamento, l’imperialismo, la violenza di stato e l’ecocidio, oltre alle lotte per la liberazione delle donne. Ci ispiriamo alla resistenza delle donne dal Sudan alla Palestina, dall’Argentina all’India, dalla Polonia all’Afghanistan.
In Kurdistan, le donne hanno costruito e ricostruito una vita libera dopo la violenza di stato e il genocidio su larga scala. Hanno creato nuovi modelli di autodeterminazione e rivoluzione, offrendo prospettive comuni e piattaforme per le lotte delle donne in tutto il mondo. Le donne Êzîdî di Şengal (Sinjar) organizzano autonomamente la loro vita dopo il femminicidio-genocidio del 2014 causato dallo stato islamico. Le donne sfollate delle regioni settentrionali della Siria sotto occupazione turca resistono quotidianamente alla guerra femminicida del secondo esercito della NATO, anche nei campi per gli sfollati. In Turchia, le donne sono il fronte più potente contro il governo dittatoriale e autoritario del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) sotto Erdogan. Nonostante il politicidio, l’imprigionamento, il femminicidio e le molestie, le donne continuano la loro resistenza dalle prigioni alle strade. La nostra attuale campagna “100 Ragioni” è un’azione globale per combattere la mentalità di genere e i femminicidi rappresentati da Erdogan.
Affinché queste resistenze individuali e locali durino, per avere ripercussioni globali, per trasformare radicalmente il mondo – dobbiamo unirci! Ancora una volta, come Movimento delle Donne Curde, rinnoviamo il nostro appello per costruire il confederalismo democratico globale delle donne e invitiamo tuttx a unirsi agli scioperi delle donne dell’8 marzo. Portare collettivamente le nostre richieste e le nostre obiezioni, unire il locale e il globale, sviluppare fronti comuni di lotta è più importante che mai.
Dobbiamo unire le nostre lotte e difendere noi stesse, le altre donne e la società dal femminicidio!
Invitiamo tutte le donne a riunirsi e a mobilitarsi ancora una volta nella Giornata Internazionale della Donna, l’8 marzo di quest’anno, contro il fascismo, il sessismo, il nazionalismo e contro tutte le forme di violenza e di arretratezza.
Smascheriamo tutte le brutture del sistema dominato dai maschi e tessiamo le basi di una vita libera lottando insieme. Facciamo di ogni ambito della vita un’occasione di lotta e ricordiamoci: il fascismo sarà sconfitto, le donne saranno vittoriose!
Bijî8ê Adarê! Jin, Jiyan, Azadî!
Viva l’8 marzo!
Donne, vita, libertà!
Movimento delle donne curde d’Europa ( TJK-E)
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Testo lancio corteo 8 marzo 2021, Lugano
Autodeterminazione e ribellione
Contro patriarcato, razzismo e islamofobia: mascheriamoci tutt*!
“Bisogna guardare dove non abbiamo mai guardato per rendere visibile ciò che è invisibile alla mentalità occidentale” di GLEFAS, alcune riflessioni sulle metodologie femministe.
Vieni mascherat* come più ti piace, usa la fantasia e l’immaginazione, crea la tua maschera e il tuo vestiario e diventa chi o cosa vuoi!
Ognun* ha la propria responsabilità individuale, prendi le precauzioni che ritieni necessarie per la tua salute e quella delle altre persone.
Individuiamo nel patriarcato le radici storiche e strutturali delle oppressioni e di ogni forma di discriminazione e razzismo. Al di là dei confini e delle barriere fisiche, geografiche e mentali lottiamo per distruggere qualsiasi forma di dominio e di possesso. Il nostro sguardo volge verso una prospettiva di relazioni sociali, umane e organizzative in aperto conflitto con quelle prodotte dalla logica etero-patriarcale, capitalista e statale. La nostra volontà è quella di un cambiamento radicale rispetto a un sistema coloniale che si alimenta di fatto su razzismo, sfruttamento ed esclusione.
La votazione federale di domenica 7 marzo per vietare la dissimulazione del viso, si inserisce con precisione in queste dinamiche di potere. Questa legge, attualmente attiva solo in Ticino e a San Gallo, non è nient’altro che una delle tante forme di razzismo e islamofobia, che andrebbe a colpire in maniera mirata delle popolazioni – in questo caso quelle musulmane – da sempre additate come un “pericolo”. Un tentativo, portato avanti principalmente dalle destre istituzionali, di creare “il nemico”, di imporre i codici e i valori, i credi e la maniera di vestirsi, insinuando pure un ipocrita e patriarcale “difesa delle donne”.
Non ci interessa rivendicare una funzionale “uguaglianza di genere” e neppure una superficiale “lotta per i diritti”. Crediamo che l’autodifesa di ognun* si pratichi nel quotidiano con partecipazione, autodeterminazione e coraggio, e non mendicando libertà attraverso un processo istituzionale.
La nostra è chiaramente una visione libertaria e di conseguenza non ci interessa entrare nelle logiche istituzionali e nel teatrino delle votazioni. Ma proprio per questo, come già in passato alcun* “indesiderabil*” gridavano “ no a qualsiasi forma di discriminazione”, riteniamo fondamentale smascherare quest’ennesimo tentativo di instaurare nuove leggi retrogradi e oppressive.
D’altronde in questi tempi di mascheramento obbligatorio, dovuti alla cosiddetta emergenza sanitaria, l’ipocrisia della legge in chiave securitaria ci sembra ancor più evidente!!
Infatti, in questo caso, con il pretesto del “burqa” si strumentalizza la questione per instaurare leggi contro la dissimulazione del volto. Da un lato viene fomentato l’odio e la paura verso altre culture, comunità, religioni, rafforzando un meccanismo fatto di discriminazioni, sistematici controlli, violenze di polizia, reclusione e isolamento (modalità che negli anni hanno pure giustificato le ripetute violenze perpetrate nei confronti di persone migranti). Dall’altro la legge verrà usata invece nei confronti delle persone che escono dai canoni delle leggi e del controllo dello Stato, delle persone che lottano contro questa società creando alternative, che cercano di rompere gli ingranaggi di questo sistema. Questa proposta di legge va a inserirsi in quel dispositivo che si sta sempre più rafforzando in tutta Europa: quello della repressione statale, del dominio della sorveglianza e del controllo. Con conseguenze che riguardano tutt*.
Pensiamo che ognun* dovrebbe avere la possibilità di autodeterminare la propria vita in un processo di liberazione da queste logiche. Non ci interessa avere o meno il “permesso” di potersi scoprire, ma piuttosto vogliamo ribadire che ogni persona dovrebbe essere libera di coprirsi e/o scoprirsi come, dove, quando, con chi e perché vuole!
Siamo convint* che vadano sempre più estese delle diverse forme di autodifesa e di autogestione da un punto di vista collettivo. Dalle esperienze dei femminismi comunitari, a quelle delle donne curde che lottano e resistono in Rojava, a quello dei collettivi separatisti trans-queer… i sentieri cominciano a essere tracciati.
L’8 marzo è una giornata storica di lotta, che è stata poi volutamente trasformata in un vuoto giorno di festa e di celebrazioni funzionali a un sistema patriarcale e capitalista. Un sistema che si basa su uno schema binario, eterosessuale e profondamente bianco-occidentale della visione della donna e in generale degli esseri umani.
Per uscire da queste logiche, lanciamo dunque un corteo mascherato… usa la fantasia e l’immaginazione, crea la tua maschera e il tuo vestiario e diventa chi o cosa vuoi!
Ci si vede in strada!!
CSOA il Molino