I rovesci materiali del mondo digitale
I rovesci materiali del mondo digitale
Testo apparso, con il titolo Les ordis ne naissent pas dans les choux, all’interno del dossier A.C.A.B. (All Computers Are Bastards), a cui è stato dedicato il numero 151 del giornale francese CQFD (“Ce qu’il faut dire”), febbraio 2017.
Le macchine sofisticate che ci circondano sono fabbricate a partire da materiali che bisogna andare a estrarre dalle viscere della Terra con processi industriali i quali necessitano di molti metalli pesanti e di prodotti chimici, tutti molti tossici, così come di quantità considerevoli di petrolio e d’acqua. È necessario allo stesso tempo un macchinario tecnologico molto elaborato. Per esempio, la fabbricazione di un tablet o di uno smartphone abbisogna di 62 metalli diversi e di molta plastica.
Chi dice informatica, dice estrattivismo
Di conseguenza, popolazioni intere si vedono sacrificate sull’altare dell’estrattivismo, consustanziale al progresso tecnologico. In America del Sud, in Africa, in Cina come ai quattro angoli del globo, lo sfruttamento industriale della natura s’intensifica senza alcuna considerazione dei popoli che vivono sui territori coinvolti dall’estrazione di minerali, metalli, terre rare, sabbia, petrolio, gas scisto o sabbie bituminose. Privati della loro autonomia e dell’accesso alle loro terre ancestrali per alimentarsi, sono costretti a raggiungere delle bidonville o a bere un’acqua inquinata e a respirare un’aria viziata.
«Per i minerali, il petrolio, il gas o gli alimenti industriali prodotti in massa per essere esportati, si schiacciano le economie locali preesistenti, le culture, la natura, il modo di vita e l’organizzazione sociale. Il solo complesso minerario di Yanacocha (Perù) è autorizzato a pompare fino a 900 litri d’acqua al secondo» (Anna Bednik, Extractivisme, Le passage clandestin, 2015).
Il film di Franck Piasecki Poulsen Du sang dans nos portables (“Sangue nei nostri cellulari”) mostra in modo eloquente come l’estrazione del tantalio in Congo, necessario alla fabbricazione delle schede elettroniche e dei microchip, devasti il paese, costringendo i bambini alla guerra, gli adulti a morire sepolti nelle miniere e gli abitanti dei villaggi vicini a contrarre numerose malattie legate all’inquinamento dell’acqua e dei fiumi.
Lo stesso fenomeno si produce in Cina con l’estrazione del neodimio, elemento indispensabile alla fabbricazione dei magneti per l’audio dei cellulari. La città di Baotu produce il 97% del neodimio mondiale utilizzando vasche di acido, di metalli pesanti e di soda, con un impatto disastroso sull’ambiente. La produzione di una tonnellata di neodimio implica una tonnellata di rifiuti e rilascia 75mila litri di acqua acida. Il tasso annuale di rifiuti raggiunge le 600mila tonnellate. Il che comporta delle conseguenze terrificanti sulla salute degli abitanti. Per questo la città è chiamata “città dei cancri” dai medici dell’ospedale locale.
Questo estrattivismo mondiale, che prelevava 40 miliardi di tonnellate di risorse nel 1980, avrà raddoppiato il proprio volume nel 2020, con l’accesso alle risorse sempre più difficile, basato su quantità sempre maggiori di energia e di prodotti tossici, a loro volta fonte di maggiore inquinamento.
Uno studio recente sugli effetti degli inquinanti sulla salute dei feti ha rilevato la presenza di 400 sostanze tossiche, residuo dei gas di scarico, dei pesticidi e dei metalli pesanti. Il che spiega l’aumento vertiginoso di tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative, così come dell’autismo, nelle nostre società industriali (cfr. criigen.org).
Benvenuti nella Smartphone-City
Una volta terminata l’estrazione, occorre assemblare i pezzi. I procedimenti di fabbricazione impiegati creano una nuova schiavitù mondiale. I subappaltanti delle multinazionali aprono in Cina (e ora in Etiopia, in Vietnam, in Repubblica Ceca o in Slovacchia) fabbriche che sono vere e proprie città nelle quali gli operai producono gli oggetti digitali. La loro condizione è estremamente precaria e le direzioni usano metodi di gestione autoritari e violenti. Un libro sconvolgente, La machine est ton seigneur et ton maître (di Yang, Jenny Chan e Xu Lizhi, Agone, 2015), racconta di ritmi di lavoro infernali, di condizioni di vita miserabili e di salari indecenti. Si parla di dormitori senza alcuna comodità né intimità, di un isolamento terribile e di una vita sottomessa. Numerosi sono i bambini cinesi costretti a lavorare in queste “fabbriche-dormitorio” per 12 ore, di giorno come di notte, con due soli giorni di riposo mensili. È stata un’ondata di suicidi senza precedenti che ha spinto i giornalisti a interessarsi di queste fabbriche giganti.
I disastri ecologici e umani proseguono nelle mani degli utenti. L’attività principale di una maggioranza di abitanti della Terra, che non smette di aumentare, è scrutare un piccolo schermo tenuto in mano e sul quale digitare compulsivamente (un miliardo e mezzo di smartphone venduti nel mondo nel 2015). Così, il mondo reale scompare e ciascuno può a suo modo navigare e acquistare su Internet, leggere e scrivere mail e sms, guardare la tv o dei film, giocare o telefonare. Ora, per dedicarsi a simili occupazioni sempre più numerose, i possessori di queste meraviglie connesse sollecitano continuamente i “centri dati”, la “stanza delle macchine”, ovvero il volto nascosto delle nostre vite virtuali. Una considerevole energia elettrica è necessaria per far funzionare gli hard-disk e i ventilatori indispensabili per raffreddarli. …
I data centers, orchi insaziabili
Una trasmissione di Radio France del dicembre 2012 stimava che i centri-dati consumassero all’epoca il 9% dell’elettricità totale fornita in Francia. Vi si citava anche il rapporto Sviluppo eco-responsabile e TIC, nel quale si calcola che l’energia necessaria ai centri-dati aumenta del 10% ogni anno.
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Le nostre connessioni e tutti i nostri “gesti digitali” fabbricano dei dati raccolti grazie a degli algoritmi super-potenti appartenenti al Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), che permette loro di arricchirsi attraverso la pubblicità e di controllare ogni nostro gesto; e tutto ciò necessita a sua volta di macchine sofisticate, nonché dell’energia e dei materiali per fabbricarle e farle funzionare. Un pozzo senza fondo.
Una conseguenza delle nuove pratiche digitali, dell’uso degli smartphone del tempo passato davanti agli schermi (8 ore in media, nel 2015, per la fascia dai 16 ai 25 anni, come emerge da Le Désastre de l’école numérique, Le Seuil, 2016) è l’atomizzazione del cervello. Questi aggeggi ci mettono in iperattività permanente senza alcun tempo libero per la nostra mente. La loro arborescenza omogenizza il nostro pensiero, costruendo un mondo interiore e intimo uniforme. Questa nuova dimensione va di pari passo con la perdita progressiva e ineluttabile delle nostre facoltà a collocarci nel mondo, trasformando ogni utente in spettatore passivo della propria evoluzione.
E questo sguardo a volo d’uccello non sarebbe completo senza citare i rifiuti provocati dall’obsolescenza programmata degli oggetti, da più di un secolo al centro dei piani industriali. Ogni francese produce 20 kg di rifiuti elettronici ed elettrici all’anno, di cui meno del 5% riciclati. Il resto finisce per lo più nelle discariche selvagge in Africa, in particolare in Ghana, dove, nel solo porto di Tema, arrivano 500 container di rifiuti elettronici al mese, o in Nigeria (cfr. Déchets électroniques : l’envers du décor de l’industrie des smartphones, ordinateurs et tablettes, in Bastamag.net).
Hervé Krief
Articolo tratto dal numero 10 – novembre 2019 – della rivista anarchica “i giorni e le notti”
L’immagine usata proviene dal Congo in una miniera di Coltan