La posta in gioco

Se siamo ben convinti che sono le lotte a far emergere i problemi e a suggerire come affrontarli, siamo altrettanto convinti che il ruolo della teoria è quello di provare a capire ciò che succede attorno a noi e di anticipare gli scenari possibili. Tenendo sempre collegati due piani: la dinamica internazionale delle lotte e lo spazio-tempo della nostra vita quotidiana. Di una “teoria” che guarda solo a pochi metri dal proprio naso o che si esprime immancabilmente post-festum non sappiamo che farcene.

Quando non abbiamo le forze per intervenire nella direzione che vorremmo, non per questo dovremmo rinunciare ad affermare con chiarezza come e per cosa vogliamo batterci, cioè ad individuare la posta in gioco. Da questo punto di vista, il livello della critica in Italia ci sembra decisamente drammatico. A leggere la maggior parte dei siti di “movimento” sembra che negli Stati Uniti, in Russia, in Bielorussia, in Olanda non stia succedendo nulla. Oppure che sia possibile dare a quelle manifestazioni, a quegli scontri, a quelle rivolte le loro ragioni senza nemmeno lo sforzo qui da noi di denunciare – non diciamo violare apertamente e violentemente… – imposizioni come il coprifuoco (un dispositivo militare che è semplicemente sfacciato spacciare per “misura sanitaria”) o i divieti di “assembramento” all’aperto. Nell’illusione che quando sarà il momento sapremo cosa fare, come se forme, contenuti, passaggi dello scontro di classe stessero lì ad aspettarci; come se la passività accumulata potesse scomparire magicamente (e non si incorporasse invece nella materialità delle costrizioni sociali); come se la mobilitazione reazionaria in corso non ci sottraesse spazi e interlocutori. Faremo qui tre esempi (più o meno geograficamente vicini). Non per crogiolarci in polemiche che costano poco, ma perché le questioni in essi contenuti ci sembrano di fondamentale importanza.

Il 16 gennaio, a Vienna, si è svolto un corteo di circa diecimila persone “contro il lockdown” animato da noti personaggi dell’estrema destra austriaca e tedesca. Non abbiamo gli elementi per esprimerci sulla effettiva composizione di quel corteo, se monoliticamente riconducibile a forze reazionarie oppure più eterogeneo (pensiamo e speriamo che sia vera la seconda ipotesi, altrimenti la situazione sociale per compagne e compagni sarebbe a dir poco drammatica). Ebbene, la contro-manifestazione antifascista aveva come slogan – riportato sullo striscione d’apertura – “per un lockdown solidale”. Ora, se non ci sembra un granché lamentarsi – come abbiamo letto in un successivo comunicato – del diverso trattamento riservato dalla polizia alle due manifestazioni (denunciando con indignazione il fatto che essa abbia lasciato sfilare tranquillamente un corteo svoltosi in spregio di tutte le misure anti-covid…); e se non condividiamo l’assunto secondo cui il compito dei compagni sarebbe quello di rispondere ai raduni “negazionisti” (categoria di cui sconsigliamo vivamente l’uso) con l’antifascismo militante; la cosa su cui ci sembra necessario riflettere è proprio il contenuto della contro-manifestazione. Cosa può mai essere un “lockdown solidale”? Perché gli sfruttati possano organizzare forme di solidarietà reali, devono rompere il confinamento sociale (senza incontrarsi, discutere, prendersi gli spazi, lottare, non c’è solidarietà possibile). Altrimenti, l’unica forza che può organizzare la “solidarietà” rimane lo Stato, perché la sola insieme superiore ed esterna al lockdown. I “movimenti”, allora, si troverebbero unicamente nella condizione di chiedere politiche sociali ed economiche più solidali al governo. Chiedere, nemmeno pretendere: perché per pretendere qualcosa, è necessario mettere in campo un minimo di rapporto di forza, costituire un problema, cioè rompere la pace sociale – il che significa: non rispettare il confinamento, decidendo autonomamente le modalità di autotutela. Ecco, quello slogan dice esplicitamente ciò che qui da noi quasi tutto l’antagonismo ha indicato implicitamente con i propri comportamenti pratici. E ci fa sorgere questo dubbio – lo formuliamo con in testa le immagini di Capitol Hill o con quelle del tentativo di assaltare il Reichstag da parte dell’estrema destra a Berlino qualche tempo fa: secondo voi, un giovane proletario che sente sulla propria pelle il peso del controllo poliziesco, tra un corteo “contro il lockdown” e un altro “per un lockdown solidale”, da quale dei due si sentirà più attratto?

A proposito del corteo di Berlino, scrive in una nota del suo Dopo Trump Raffaele Sciortino: «niente meno che un rampollo dei Kennedy ha arringato la folla contro la “dittatura sanitaria” chiamando nei fatti ad appoggiare i campioni della libertà di stanza a Washington. Il che, ovviamente, non esaurisce le ragioni e, soprattutto, l’eterogeneità della composizione sociale della protesta, che dovrebbe rivitalizzarsi a seguito di una campagna vaccinale mRna che sempre più sembra assumere i connotati di una sperimentazione biopolitica su scala di massa».

E veniamo ora proprio a questa «sperimentazione biopolitica su scala di massa».

Il “movimento” è già stato scavalcato a sinistra dal “giornalismo d’inchiesta” di Report. Nella puntata del 25 gennaio, c’è stato un servizio sui vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna con alcune interviste ai vertici delle due case farmaceutiche, a figure di rilievo della FDA, dell’EMA e dell’Agenzia italiana per il farmaco. Benché il suddetto giornalismo non abbia pensato nemmeno per sbaglio di rivolgere la semplice domanda: cos’è e come funziona un vaccino mRNA?, sono emersi diversi aspetti degni di nota. E cioè: il grado di copertura dei vaccini è assai più basso dello sbandierato 90 per cento; non è sicuro che questi vaccini siano efficaci contro le diverse varianti del Covid-19; bisognerà ripetere la vaccinazione ogni anno; essa offre un’immunità rispetto alla malattia, ma non è affatto certo che lo faccia rispetto alla trasmissibilità (il vaccinato potrebbe essere immune dal Covid e continuare a trasmetterlo, con tanti saluti alla retorica del vacciniamoci per il bene degli altri). Come hanno candidamente affermato i vertici di Moderna, per avere un quadro più preciso sugli asintomatici (cioè l’80 per cento dei positivi) si sarebbero dovuti fare due tamponi durante le vaccinazioni sperimentali, ma questo avrebbe aumentato i costi (e teniamo presente che 1,9 miliardi di dollari sono stati forniti alla ricerca di Moderna dal governo degli Stati Uniti). Nello stesso giorno dell’annuncio dell’efficacia al 95 per cento del vaccino di Pfizer, il 9 novembre, il Ceo Albert Bourla ha venduto sul mercato 132.508 azioni dello stesso gruppo da lui guidato incassando 5,6 milioni di dollari.

Ecco cosa abbiamo letto, invece, su contropiano.org: «Come è capitato di battibeccare a noi, nei botta-e-risposta ai commenti ai nostri pezzi, l’argomento più convincente è però risultato una minaccia: “se vuoi la libertà … di rifiutare la vaccinazione, fregandotene dei possibili effetti su chi incontri, allora devi riconoscere anche la mia libertà di spararti a vista per non essere contagiato”. “Severo ma giusto”, ci hanno detto in tanti. Del resto, là dove il pensiero non riesce ad entrare, un po’ di spavento aiuta a capire…».

Questa perla – la fanfaronata di sparare non ai vertici di Confindustria o dello Stato, ma a chi non si vaccina – è contenuta nella nota introduttiva a un articolo (La pandemia e la libertà “senza limiti”) di cui vi consigliamo caldamente la lettura. In esso potrete trovare una coraggiosa presa di posizione contro il peggior nemico degli sfruttati – il padrone? No, il “negazionista”; un elogio del collettivismo burocratico cinese contro la “libertà senza limiti” che vige in Occidente; l’idea che se “a sinistra” si criticano le misure di contenimento del virus (cosa di cui, lo confessiamo, non ci eravamo accorti) lo si deve all’influsso del «libertarismo anti-oppressivo e anti-autoritario» di… Toni Negri (e qui il lettore ha il dubbio di essere finito in un buco spazio-temporale e di avere fra le mani un numero di “Rinascita”). La contrarietà ai vaccini farebbe parte di una diffusa malattia mentale impermeabile alle argomentazioni razionali (e fare ricorso a queste ultime per arginarla sarebbe un po’ come «curare un tumore con un’aspirina»). Le persone razionali (quelle capaci di «elaborare la realtà») non si schierano contro «un secolo di storia vaccinale e il parere quasi unanime degli scienziati». Chissà se il nostro informato e razionale stalinista è al corrente che i vaccini mRNA non hanno affatto dietro «un secolo di storia», ma tre mesi di sperimentazioni; e che i farmaci mRNA non sono mai stati introdotti nel mercato per «l’alto tasso di letalità» riscontrato in fase sperimentale. Ma perché occuparsi – ci si potrebbe chiedere a questo punto – di chi spaccia il controllo tecno-poliziesco in Cina come un esempio di responsabilità collettiva? Perché “contropiano” esprime, se non andiamo completamente errati, le posizioni della direzione nazionale del sindacato di base USB. Poniamo allora che un infermiere e un’insegnante iscritti a quel sindacato decidessero di rifiutare di farsi somministrare il vaccino mRNA e per questo venissero minacciati di sanzioni o di licenziamento: come verrebbero difesi da chi li considera dei tarati mentali che capiscono solo «con un po’ di spavento»? Se costui o costei non ha una specchiata “coscienza politica”, ma non si fida della scienza di Stato, si rivolgerà magari a qualche gruppo che si dichiara contro la “dittatura sanitaria”. E poi ci si meraviglia dei successi del trumpismo anche in campo proletario…

Sempre a proposito di vaccini. Se non ci si è presi la briga di approfondire che cos’è la biotecnologia mRNA1; se non si è sfiorati dal dubbio di essere di fronte a una «sperimentazione biopolitica su scala di massa»; se non si vuole schierarsi contro l’obbligo vaccinale, sarebbe almeno il caso di non farsi sostenitori delle vaccinazioni nelle carceri. (Giova al riguardo tenere a mente un eloquente dato storico: la Food and Drug Administation, la stessa che si è affrettata ad autorizzare i vaccini di Pfizer e Moderna, ha abolito ufficialmente i test clinici sui detenuti nel 1981, quando le “riforme” del welfare sanitario avevano già assicurato alle multinazionali farmaceutiche decine di migliaia di afroamericani e di latinos disposti a fare le cavie per lavoro o per assicurarsi in cambio la previdenza sanitaria). Innanzitutto, non si può pretendere di sapere cosa pensino al riguardo quasi sessantamila persone. Le detenute di Trieste che hanno lanciato la proposta di una battitura il 1° febbraio, ad esempio, dicono espressamente che vogliono tamponi e test sierologici, ma rifiutano la vaccinazione (alcune prigioniere, durante il presidio dello scorso 23 gennaio di fronte al carcere triestino del Coroneo, hanno anche gridato di non voler fare da “cavie”). Inoltre, anche al di là di cosa si pensa di queste vaccinazioni, non ci vuole una scienza infusa per capire che l’argomento vaccini sarà molto probabilmente usato dallo Stato per non scarcerare nessuno, mentre noi dovremmo spingere – insieme ai detenuti in lotta – perché esca quanta più gente possibile (qualche migliaio di persone potrebbe uscire subito anche senza indulto o altre “misure straordinarie”, semplicemente applicando la cosiddetta “svuota-carceri”). Questo significa per noi non scivolare sul terreno del nemico, capendo qual è la posta in gioco.

Per anni siamo stati subissati di foucaultismi di ogni tinta e colore (la governamentalità contemporanea come biopotere, la biopolitica che diventa tanatopolitica, le politiche immunitarie a cui contrapporre la resistenza del comune…) ed eccoci qui, circondati da un silenzio assordante. Con milioni di persone che ascoltano al telegiornale il presidente del Consiglio per sapere quali libertà avranno il giorno dopo (soltanto durante il Terzo Reich, è stato notato, la parola del Führer aveva immediato valore di legge). Con la prospettiva di vivere in uno stato pandemico modulabile e permanente. Rivendicando come diritto – essere presi in cura dallo Stato, senza avere alcuna voce in capitolo – ciò che i suoi comitati tecno-scientifici ci stanno già organizzando come obbligo.

Mentre in varie parti del mondo centinaia di migliaia di persone si riprendono le strade violando le norme “anti-assembramento”, e tanti giovani proletari rispondono al coprifuoco con la rivolta, dire pubblicamente che i rimedi statal-capitalistici non fanno altro che aggravare i mali ci sembra davvero il minimo.

1) Un paio di spunti:

«Stiamo di fatto hackerando il software della vita. Invece di dare la proteina, daremo le istruzioni su come produrre la proteina. Come il corpo può produrre il vaccino» (Tal Zaks, direttore medico di Moderna).

«Abbiamo due gruppi di vaccini. Un gruppo è quello dei vaccini proteici: sono i vaccini tradizionali, classici, che ormai si conoscono come tecnica da un secolo. Praticamente quasi sempre parti da un pezzetto del virus che è innocuo se inoculato, ovvero non dà la malattia, ma stimola il nostro sistema immunologico a creare gli anticorpi che possano combattere il virus se dovessimo incontrarlo. C’è anche un altro tipo di vaccini, che è la prima volta che viene proposto: sono i vaccini creati con tecnica genica, che implica una ipotesi di effetti anche a lunga scadenza. Ci sono due papers dell’Fda, uno del 2010, quindi in tempi assolutamente non sospetti, e uno di questo novembre, che, parlando delle tecniche geniche che vengono entusiasticamente annunciate, sostengono che mentre con i vaccini tradizionali ci siamo curati dell’efficacia ma anche degli effetti collaterali acuti in un termine di tempo molto breve dopo l’inoculazione o giorni dopo, per quanto riguarda la terapia genica, visto che noi inoculiamo un pezzetto di materiale genico che si inserisce nelle nostre cellule, i controlli dovrebbero durare sino a 20 anni» (Maria Rita Gismondo, Direttrice di Microbiologia Clinica, Virologia e Bioemergenze al Sacco di Milano).