Cile: 10 anni dopo il massacro nel carcere di San Miguel: Memoria e storie di lotta

Cile: 10 anni dopo il massacro nel carcere di San Miguel – Memoria e storie di lotta

Se le mura delle prigioni potessero parlare racconterebbero le esperienze di coloro che sono stati (e sono) rinchiusi dietro di esse; forse ci racconterebbero molte storie dove i poveri sono i protagonisti, o forse ci racconterebbero l’immensa brama di libertà che riempie il cuore di chi è rinchiuso nei sotterranei e nelle celle.

Purtroppo, le mura delle prigioni, sono testimoni silenziose delle esperienze delle persone che vi stanno dietro. Raccontare ciò che accade in questi luoghi è quindi precisa responsabilità di ognuno di noi, rapiti dallo Stato, e di chi vuole porre fine all’attuale sistema di terrore. La storia dei prigionieri è la nostra storia e non può andare perduta.

Nelle prigioni regna la tristezza, è signora e padrona, ed è presente nella maggior parte della vita di chi passa per questo luogo grigio. Il carcere di San Miguel non solo conserva storie piene di dolore, ma ha anche molte esperienze di resistenza e di lotta.

Nei primi anni ’90, in questo carcere, furono rinchiusi molti prigionieri politici, uomini di diverse organizzazioni hanno riempito le celle delle torri, fino al trasferimento ai C.A.S. nel 1994, trasferimento a cui i combattenti si opposero con le armi.

Durante la perquisizione delle celle, subito dopo gli scontri, furono trovate numerose armi e munizioni: una pistola Browning da 7,65 mm con sette cartucce; un revolver Trident italiano calibro 38; una pistola Dachmaur con quindici cartucce; una Llama calibro 7,65; una borsa contenente tredici proiettili; un’altra borsa in pelle con altri 18 proiettili; un cellulare a marchio NEC e tre esplosivi fatti in casa (1). Diverse guardie carcerarie e alcuni prigionieri rimasero feriti durante gli scontri, tra cui Mauricio Hernández Norambuena (guerrigliero ed ex-comandante del FPMR, Fronte Patriottico Manuel Rodrìguez). Il comandante Ramiro (uno dei fondatori del FPMR) raccontò: “Rimasi gravemente ferito. Non ero mai stato colpito da un’arma da fuoco prima di allora, ed è stato proprio in carcere che mi spararono per la prima volta” (2). Lo stesso fatto fu raccontato da Ricardo Palma Salamanca (ex-guerrigliero del FPMR) in un’intervista rilasciata a Parigi il 27 gennaio 2019: “Nel bel mezzo degli scontri, due persone rimasero uccise, anche io ero armato, ma nessuna pallottola mi raggiunse.”

Le armi usate nella resistenza durante il trasferimento ai C.A.S. erano originariamente destinate alla fuga. Mauricio Hernandez la racconta così: “Riuscimmo a far entrare diverse armi nel carcere di San Miguel, e realizzammo un progetto di fuga molto interessante, con un supporto esterno, a cui si unirono combattenti di Mapu-Lautaro (capo militare Mapuche protagonista della guerra di Arauco in Cile e del MIR (Movimento della Sinistra Rivoluzionaria). L’idea era quella di far evadere un numeroso gruppo di prigionieri. Fuori il supporto era di quindici o venti combattenti. C’erano buone armi, ma purtroppo il piano fallì. L’intera operazione fu organizzata fin nei minimi dettagli, i combattenti che si trovavano fuori occuparono una casa le cui mura confinavano con quelle della prigione, con l’intenzione di farla saltare in aria. Dovevamo semplicemente attraversare un cancello e uscire da quella parte. Purtroppo, pochi giorni prima della fuga, fummo trasferiti al C.A.S., e le armi che avevamo raccolto per l’evasione le usammo per resistere al trasferimento (3).

Questo non è stato l’unico tentativo di fuga dal carcere di San Miguel. Nel 1997, un gruppo di ex membri della FPRM cercò di fuggire dalla prigione attraverso i tetti, con un sistema di corde e carrucole, raggiungendo così una delle strade confinanti. Ma il tentativo di fuga fallì e scoppiò una rivolta, e i prigionieri coinvolti furono trasferiti nel carcere di Colina I e II, tra cui Jorge Saldivia, ucciso poi in una rapina in banca nel 2014.

Le mura non parlano, ma conservano dei segni difficili da cancellare. Molti detenuti ci dicono che nella Torre 5 del carcere di San Miguel, dove morirono bruciati 81 prigionieri, le macchie dei corpi non sono mai state completamente cancellate… Le donne dicono che le macchie sembrano essere fatte d’olio, e che non importa quanta cera e vernice abbiano messo sui pavimenti e sulle pareti, continuano sempre ad uscire fuori. Si raccontano molti aneddoti sui fantasmi e gli spiriti della torre 5, credenze, miti o realtà… tuttavia la morte degli 81 prigionieri non è stata dimenticata dagli altri detenuti della torre 5, e non dovrebbe essere dimenticata da nessun altro prigioniero.

10 ANNI DOPO IL MASSACRO DELLA PRIGIONE DI SAN MIGUEL: MEMORIA ATTIVA E COMBATTIVA

FINO A QUANDO TUTTE LE GABBIE NON SARANNO DISTRUTTE!

MÓNICA CABALLERO SEPÚLVEDA

PRIGIONIERA ANARCHICA

Note:

(1) Intervista a Ricardo Palma nel libro “Retorno desde el punto de fuga” di Tomás García

(2) “Un passo avanti” Mauricio Hernández Norambuena

(3) “Un passo avanti” Mauricio Hernández Norambuena

Fonte: ContraInfo

Traduzione a cura di: Inferno Urbano