Trieste: Presidio al carcere il 12 dicembre “Contro il carcere e il sistema di cui è strumento!”

Manifesto dell’iniziativa:

manifesto 12 dicembre 2020 trieste(1)

 

Chiusi in una trappola

Fuori dalle mura di un carcere, gli uomini e le donne di questo paese possono ancora avere qualche residuo di libertà di scelta. Se uno ha i soldi può permettersi una sanità su misura del suo portafoglio. Chi invece ha le tasche vuote forse si può ancora appellare ad un Sistema Sanitario Nazionale, anche se saccheggiato da tagli e privatizzazioni. Nei posti in cui le persone sono rinchiuse forzatamente come un CPR, una REMS, o in un carcere, la sanità diventa qualcosa che spesso non si percepisce.

Se già prima del febbraio 2020 nei luoghi di reclusione la sanità era da una parte scadente-assente, da un’altra è sempre stata subordinata alle decisioni del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che a suo comando fa e disfa come più gli aggrada, senza tener conto delle molteplici esigenze delle persone detenute. Senza contare la diffusione sempre presente degli unici farmaci disponibili, da una parte gli psicofarmaci, dall’altra la tachipirina come unico rimedio a tutti i mali. Per chi non è mai stato dentro un carcere è difficile comprendere la vita all’interno, sopratutto nelle sezioni comuni, dove la popolazione detenuta è costretta a vivere in luoghi stretti, spesso sporchi o in generale malsani. Una persona rinchiusa nel tempo sente l’effetto di quelle mura attorno e della costante violenza perpetrata dal sistema-carcere. Se già l’esistenza di questo sistema è di per sé violenza, bisogna sommarci la violenza, a volte anche fisica, della direzione, delle guardie, di medici, psichiatri e altri soggetti collusi e negligenti. Non esiste carcere senza violenza, il carcere è violenza contro tutti gli individui dentro rinchiusi.

A marzo in decine di carceri i detenuti e detenute si sono ribellate per la mancanza di informazioni sulla prevenzione del virus, la paura di morire come topi in trappola ben sapendo che la sanità in quei luoghi è assente. La risposta dello Stato è stata feroce! Piombo sparato a Modena, botte su centinaia di detenuti, umiliazioni come la rasatura dei capelli e barbe, torture perpetrate sulla pelle dei ribelli.

Senza contare le irresponsabili traduzioni di centinaia di detenuti in altre carceri, espandendo così il contagio in luoghi in cui il virus non era ancora entrato, come successe in primavera dal carcere di Bologna a quello di Tolmezzo.

Ora, con la cosiddetta seconda ondata di contagi, nelle carceri si contano quasi 830 contagiati tra i detenuti e 1042 tra le guardie e il personale. Nel carcere di Tolmezzo c’è il più ampio focolaio (dati del 22/11), dove 116 detenuti sono contagiati su 203 presenti, più 16 tra carcerieri e personale civile. Anche al carcere del Coroneo il contagio si sta diffondendo, ancora una volta a causa di secondini e infermieri: 16 detenuti e 2 guardie (dati del 26/11).

Lo Stato in questi mesi ha dimostrato che non è interessato alla salute dei propri cittadini, ad esempio per quanto riguarda la prevenzione sanitaria, le assunzioni di personale sanitario, agendo sulle cause da cui si sviluppano i virus (si pensi allo sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi) ecc. Lo Stato ha risposto dando soldi alle industrie, alle infrastrutture devastanti per l’ambiente come il Tav, schierando polizia, esercito e continuando imperterrito a dirottare le risorse sullo sviluppo di sofisticati apparati di sorveglianza nelle carceri ma anche nelle strade, nel controllo delle frontiere terrestri e sui mari. Invece di intervenire sul sovraffollamento carcerario, si sono bloccati i termini di prescrizione della carcerazione preventiva, riempendo ancora di più galere, prive di igiene e di assistenza sanitaria reale.

I detenuti e le detenute sono prive di contatti fisici con i proprio parenti durante i colloqui, hanno subìto per mesi il blocco dei pacchi e il terrore diffuso tramite la repressione, dopo le rivolte di marzo. Tutto ciò ha fatto sì che la vita dentro le mura sia ancora più pesante. Ma le proteste si diffondono ancora: una parte dei prigionieri sa che solo lottando potrà strappare dei miglioramenti e far uscire la sua voce. Noi fuori vogliamo essergli vicini e solidali, portare la loro voce nelle strade, e far capire come loro, da dentro, spesso ci indicano la via, cioè che è solo con la lotta che potremo liberare la nostra vita.

Per questo sabato 5 dicembre dalle 14.00 saremo davanti al carcere del Coroneo a Trieste.

Assemblea permanente contro il carcere e la repressione