Dove casca l’asino
Riceviamo e pubblichiamo:
DOVE CASCA L’ASINO
L’AIDS COME EQUIVALENTE GENERALE DELLE PESTI NEOMODERNE E ACCUMULAZIONE FORZATA DI MEDICINA
Riccardo d’Este, giugno 1992
“Bisogna aspettarsi tutto e non temere nulla dal tempo, dagli uomini”
(Isidore Ducsse conte di Lautréamont, Poesie II –
détournement da Vauvenargues che scriveva invece:
“Bisogna aspettarsi tutto e tutto temere dal tempo e dagli uomini”.)
I. Il vecchio postulato della teoria sovversiva radicale, “Realizzare la salute attraverso l’abolizione della medicina”, viene ulteriormente confermato e rinvigorito dall’estendersi del contagio da retrovirus HIV. Nessuno può più dubitare, nemmeno i medici interessati, che questo contagio, questa diffusione sociale del retrovirus non siano stati favoriti, se non addirittura determinati, dalle pratiche mediche, dalla medicina professionale e separata e, in specie, dalle sue propaggini farmacologiche.
II.Se le condizioni sociali hanno un’importanza fondamentale nel propagarsi delle infezioni e, più in generale, dei vari morbi, la medicina, insieme all’economia, la scienza e la politica, gioca un ruolo decisivo nelle condizioni sociali complessive. La iatrogenesi (Ivan Illich e altri) dell’in-salute è stata ripetutamente evidenziata e denunciata: il potere sociale medico si basa sull’in-salute e, per ciò stesso, tende a causarla, in uno sforzo continuo di asetticizzazione dei soggetti sociali (e ovviamente umani) e, per conseguenza, di accumulazione costante di potere medico, di scienza cosiddetta applicata. È la stessa logica del capitale da cui la medica neomoderna deriva le sue valenze.
III. Persino Luc Montagnier, lo “scopritore” francese di questo retrovirus, ha dovuto affermare pubblicamente che l’esistenza dell’HIV “in natura” va fatta risalire a un tempo imprecisato, probabilmente a molti secoli fa. Esisteva, ma non si era manifestato nella forma che oggi conosciamo. Il buon Montagnier, in una tardiva ricerca dell’onestà intellettuale perduta (tra gli scienziati, quale che sia il campo di applicazione, non se ne salva nessuno, tranne i disertori attivi), tenta di ricostruire una spiegazione accettabile per l’insorgenza e il manifestarsi del contagio: condizioni sociali mutate, debolezze psicologiche da stress determinate dall’attuale vita corrente, pessime situazioni igieniche, sanitarie e alimentari di taluni settori dei paesi “sviluppati” (un esempio per tutti: i tossicomani, per motivi evidenti, dovuti alla repressione e al proibizionismo, spesso conducono un’esistenza di livello inferiore alla media richiesta dalla sopravvivenza in ambiente capitalista sviluppato) e di vaste aree dei paesi “non sviluppati” e, infine, il previo intervento e peso della medicina e della farmacologia.
IV. Ciò che Montagnier non dice, e nessuno scienziato o filosofo dirà mai, è che l’insieme delle condizioni sociali, l’insieme mondo, ha una valenza più rilevante, e assai, della somma delle sue parti. Nessuno può separare ciò che la società esistente, la società del capitale, ha già indissolubilmente unito con un gioco di interferenze e di rimandi continui. Qui sta la miseria di qualsiasi medicina “alternativa”, qui casca l’asino dei modernismi ecolatrici, qui si vede dove sta l’asino (e io sto dalla parte dell’asino, irriducibile vendicatore delle sue esigenze, considerato volgarmente stupido perché intelligente a modo suo, come difensore della sua realtà asinina). La medicina, come scienza separata, vorrebbe che tutti gli asini diventassero muli sani e, perdio!, fecondi, che tutti i muli arrivassero alla cavallinità, che tutti i cavalli si comportassero come uomini nella riproduzione allargata e nello spettacolo.
V. In un recente rapporto sull’AIDS, l’incredibile Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene che vi sarà una crescita esponenziale del contagio da HIV, ma che, dopo il 2000, ciò riguarderà per il 90% le popolazioni africane. Oltre che diffidare dell’OMS come istituzione (la polizia sanitaria, così come l’ONU è diventata la polizia militare del Nuovo Ordine Mondiale, come le minacce recenti alla Libia, alla Serbia-Jugoslavia e ad Haiti appalesano, al di là della scarsissima presentabilità dei singoli regimi governativi dei vari paesi), temo anche che un certo razzismo ideologico possa influenzare le analisi. Ma se i dati fossero veridici, essi si ritorcerebbero contro la stessa organizzazione del sistema mondo. Perché va da sé che gli abitanti, che so, del Ghana o della Liberia non sono particolarmente dediti allo scambio di siringhe per iniettarsi sostanze stupefacenti (che, in effetti, in quelle zone hanno una diffusione molto più limitata rispetto ai paesi del nord “civilizzato”) o alle pratiche di coito anale che, secondo l’idea prevalente, dovrebbero rappresentare le cause massime del contagio. O si pensa che si accoppino con le scimmie, che, secondo un ipotesi corrente, dovrebbero essere state la causa dell’infezione? Ma, se la tesi dell’OMS ha fondamento, non viene spontaneo pensare che le condizioni principali della “peste del XX secolo” risiedono nelle condizioni igieniche, alimentari e, dunque, sociali in cui ciascun individuo è proiettato e immerso? Nec solum. Il terzo e il quarto mondo sono, di fatto, sottoposti alle stesse regole capitaliste che controllano l’intero pianeta, ma dalla parte dell’iper-proletarizzazione. Nec solum. Per “combattere” le antiche malattie, di fronte all’ingresso in questi paesi della “civiltà”, queste popolazioni sono state bombardate farmacologicamente con cure e vaccini che hanno abbassato a livelli insostenibili le loro difese immunitarie, di modo che sono quasi del tutto sprovvedute rispetto all’insorgere di antichi, ma nuovi, virus e retrovirus. Ecco che c’è un nuovo compito per la polizia sanitaria internazionale, ecco che le scimmie, accettate come uomini, ritornano ad essere scimmie. Lo spettacolo della medicina vuol essere la sua medicina spettacolare.
VI. Checché ne dicano i professionisti della salute, la malattia non è un fenomeno negativo per l’ individuo. Tutt’altro. È la risposta dell’organismo all’aggressione di agenti patogeni esterni e, talvolta,interni, scatenati però da condizioni esterne. Poiché si tratta di una risposta, la malattia significa resistenza, autodifesa. Scaricata la fase acutamente morbosa, l’organismo vivente tende (anzi, tenderebbe, date le sollecitazioni farmacologiche cui tutti oggi siamo sottoposti, che appiattiscono le reazioni e le loro forme) a ritrovare il suo equilibrio biologico. Un po’ com’è per la febbre: guai se non ci fosse, perché in questo caso significherebbe che l’organismo non ha più alcuna forza autodifensiva. (Un esempio per tutti: nel caso di epatopatie, di malattie al fegato, sinché la parte, cioè il fegato, è dolorante significa che sta opponendo una resistenza agli agenti patogeni; quando ormai tace, vuol dire che l’organismo si è arreso, come nel caso di epatiti o di cirrosi.) Ma la medicina, invece di assecondare la malattia e di condurla a un esito positivo,cioè a un superamento della malattia stessa, vuole intervenire immediatamente con il bombardamento farmacologico (in specie con antibiotici, e bios, ben si sa, vuol dire vita). Perché il tempo dell’uomo (essere organico) deve essere scandito dal tempo del capitale (essere inorganico). Il tempo della merce, del suo supporto fattivo, il lavoro, e della sua protesi gestionaria, la circolazione e l’amministrazione, deve essere totale. Il corpo umano dunque, depeuperato dalle sue esigenze organiche vitali, non può funzionare che come macchina. La medicina contemporanea si occupa per l’appunto di questo e il suo apogeo sta proprio nella tecnica dei trapianti: sostituire i pezzi della macchina, cambiare le parti difettose del burattino, di pinocchio […]
VII. Ma questa peste, l’AIDS, possiede anche altre caratteristiche perniciose, oltre alle malattie cosiddette opportuniste che comporta, e l’esito letale a cui spesso conducono. Non è inutile esaminarle singolarmente per svelare l’ideologia e lo spettacolo che vi sono sottesi. È necessario, soprattutto, affinché i troppi che ne muoiono non muoiano invano. Il fatto stesso che questo morbo si configuri come neomoderno, che un tale contagio abbia palesemente delle radici sociali e delle apparenze etiche coinvolge materialmente (con e per atti) tutte coloro che si oppongono alla realtà capitalista neomoderna, che intendono sradicare dalle fondamenta la società presente.
VIII. La neomodernità di un fenomeno come quello del contagio per retrovirus HIV consiste esattamente nel suo non essere un malattia in senso proprio e storico e nel suo essere, invece, potenzialità per tutte le malattie. Il paragone con il danaro (equivalente generale di tutte le merci, che non possiede un particolare valore in sé, ma li sussume tutti in quanto misura delle cose e, per estensione, delle vite) e con le merci, sempre più sganciate dal loro eventuale valore d’uso e sempre più avvinghiate al valore di scambio che ne determina, per l’appunto, il valore sociale, ebbene questo paragone salta agli occhi per quanto concerne l’AIDS. Non è un virus in senso proprio, bensì un retrovirus che, dunque, non scatena morbi specifici ma crea le condizioni per instaurarsi nell’organismo vivente di tutti i morbi. La caduta tendenziale delle difese immunitarie è, concettualmente, assai simile alla caduta tendenziale del saggio di profitto, malattia che il capitale è riuscito finora a rendere non letale per se stesso attraverso la riproduzione sempre più allargata (e la contemporanea fine della produzione stricto sensu), l’amministrazione di un presente che si suppone eternizzabile e la gestione di un’economia e di una politica che nulla più hanno a che vedere con le definizioni classiche di questi concetti. Il capitale tende a eternizzare se stesso e la sua manifestazione epifenomenica, lo stato, attraverso una sua progressiva automizzazione dell’attività produttiva stessa: è il regno dell’uguaglianza raggiunta nel nulla e per il nulla. L’AIDS compie un movimento convergente: abolisce le particolarità, di salute o di malattia, e si propone come male assoluto, universale. Non eternizza certo il corpo, suo nemico, bensì la medicina, come suppone l’amministrazione della merce corpo. Il fatto stesso che, nonostante i miliardi di miliardi erogati per le ricerche, si sappia ancora pochissimo della genesi della malattia, delle sue caratteristiche e del suo decorso (esempi: perché, come pare, essa non si trasmette attraverso la saliva, la sudorazione o le lacrime? Perché, come si sa, solo una modesta parte di donne sieropositive che partoriscono mettono al mondo figli sieropositivi, quando è notorio che nella prima parte della gravidanza il sangue della madre e del feto è lo stesso? Perché ci sono decorsi e esiti della malattia del tutto diversi tra individui ugualmente infettati?), questo stesso fatto aumenta il carattere misterico del contagio e, al tempo stesso, la sua natura di equivalente generale, ameno per quanto riguarda le malattie.
IX. Il carattere misterico dell’infezione determina a sua volta una serie di conseguenze importanti.
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Anzitutto se ne possono ricavare delle precettistiche etiche e sociali. Giacché l’infezione si propaga soprattutto attraverso il sangue e i contatti sessuali (lo sperma e le secrezioni vaginali) si possono ricostruire, per mezzo della paura e della minaccia, dei modelli di comportamenti autodefinentesi morali. Lo schema concettuale viene rovesciato: Non sono più il proibizionismo e la gonfiatura artificiale del mercato delle droghe a condizionare pesantemente la condotta dei tossicodipendenti anche dal punto di vista igienico, non è più la forte riprovazione ideologica, religiosa e sociale a determinare lo stress e il comportamento semiclandestino degli omosessuali e anche di coloro che, eterosessuali, si azzardano a muoversi al di fuori dei rapporti di coppia (spesso irretiti dalle sollecitazioni del mercato, cioè dalla prostituzione manifesta o celata). No. Nello stravolgimento interpretativo fornito, sono i tossicodipendenti, gli omosessuali, gli eterosessuali anomici ad andarsi a cercare le rogne, ad essere causa non soltanto del loro male, ma addirittura dell’infezione sociale. La quale, dato che in buona parte rimane inspiegata, consente perciò quasi tutte le interpretazioni e le proposte di ipotetiche soluzioni. Se alcuni giungono, nel loro delirio, a vedervi una sorta di maledizione divina verso comportamenti trasgressivi o immorali, se associazioni religiose e laiche trovano lo spunto per additare le condotte cosiddette anomale come causa principale dell’infezione e rafforzare quindi la loro pretesa autorità morale e sociale, va aggiunto che non solo l’industria farmaceutica vi specula sopra e che l’industria medica spesso effettua sperimentazioni a rischio nel/sul corpore vili dell’infettato, ma che le stesse organizzazioni apparentemente di autodifesa dei sieropositivi e dei contagiati non trovano di meglio che proporre “soluzioni preventive” come per esempio l’uso generalizzato del preservativo nei rapporti sessuali. Questa sarebbe libertà. Come se in caso di una guerra mi venissero vivamente consigliati i rifugi antiatomici o comunque antibomba. È , questa, l’accettazione più supina, mascherata a volte da un velo progressista, delle realtà peggiori dell’esistente. La vita dentro un preservativo, come sotto un rifugio, è sostanzialmente una sopravvivenza obbligata, ma certo non vita. La riduzione del piacere, la sua programmazione, è di fatto la sua trasformazione in altro, la sua sterilizzazione, la sua menzogna. Va da sé che una persona contagiata può e deve prendere tutte le possibili precauzioni, così come possono farlo tutte le persone che non vogliono venire colpite dall’infezione. Ma il vero rovesciamento di prospettiva sta nel combattere le cause storiche e sociali della malattia, nel liberarsene, e non certo nell’accettarla, trovando delle “soluzioni pratiche” per ridurne gli effetti. Di fronte all’inquinamento generalizzato prodotto dalla circolazione automobilistica, fabbricanti e governatori propongono e presto imporranno l’uso delle cosiddette marmitte catalitiche. O di qualcos’altro. Il rovesciamento di prospettiva richiede invece di mettere in discussione tutto il sistema produttivo e l’assetto riproduttivo, amministrativo e sociale, quindi le forme della riproduzione stessa e e quelli dell’amministrazione della vita corrente, dal lavoro e degli itinerari obbligati. Non c’è marmitta catalitica che possa superare i danni dell’ossessione automobilistica, così come non può essere il preservativo la soluzione umana del problema dell’AIDS. Io voglio inventarmi i miei tempi di viaggio come il mio erotismo. Non voglio, insomma, essere incapsulato e intubato più di quanto già non lo sia, sotto la pressione degli inquinamenti o delle infezioni. Se questo bisogno di vita reale richiede dei cambiamenti radicali, rivoluzionari, ben vengano: non saremo certo noi a sottrarvicisi, a diventare tamponi del putrescente sistema mercantilspettacolare.
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Di fronte all’insorgere dei contagi, cresce a dismisura il potere della scienza medica separata e dei suoi funzionari. Nel diffondersi della malattia e della paura, ciascuno tende a ricercare un padre, il che significa, nella fattispecie, delegare la risoluzione dei problemi alla società presente nel suo complesso e, in particolare, a un suo centro di potere specialistico: La medicina, che è accertatamente concausa della patologia, viene assunta così a risolutrice dei mali che essa stessa ha contribuito a determinare. Ciò non solo contrasta con qualsiasi procedimento logico, non solo riafferma il potere sciamanico e religioso affidato a questa scienza particolare, non solo esalta la funzione dei suoi sacerdoti officianti, ma contiene essenzialmente una falsità. La seguente: nell’attuale società, i medici non si occupano dell’espansione della vita e delle sue potenzialità, bensì della reiterazione della sopravvivenza, inventando perciò sempre nuove protesi. La quantità della vita media è sicuramente aumentata, in parte perché è stato notevolmente abbassato il tasso della mortalità infantile e in parte perché la scienza medica è riuscita a mantenere nello stato di sopravvivenza un sempre più alto numero di ammalati. Ma non si può dire certo che sia aumentata o migliorata la qualità della vita. Di più. Ovviamente non esistono statistiche credibili, ma i morti da pratiche mediche farmacologiche sembrano crescere sensibilmente (tranne nei casi di anzianità e logoramento dell’organismo) rispetto a quelli per cause naturali, cioè malattie. Per la chemioterapia, nei casi di tumore, sembra certo che se si è aumentata la sopravvivenza di dieci, a prezzo di indiscutibili sofferenze, altri dieci ne sono stati disastrati o addirittura ne sono morti. La diffusione massiccia di vaccini e di antibiotici è una delle principali concause dell’insorgenza di varie malattie “piccole”: dall’influenza agli ascessi, con cui ormai siamo abituati a convivere. L’AZT, nei casi di AIDS, sembra prolungare la fase della sieropositività, ma fa precipitare poi le condizioni sia nella fase ARC che in quella da AIDS conclamato. I cosiddetti epatoprotettori, quando non inutili, paiono contribuire all’affaticamento del fegato stesso già in epatopatia, e perciò ad accelerare in senso letale il decorso della malattia. La medicina, e in particolare la sua specializzazione farmacologica, rappresenta un potere di alcuni uomini su altri uomini, ma non può certo venire considerata una “sorgente di vita”. La vita è altrove. Negli eccessi, semmai.
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Davanti al terrore che il contagio da HIV può produrre risulta comprensibile che si crei un forte stato di speranza nei confronti di una possibile scoperta di un vaccino ad hoc. Ad di là della delega psicologica che questo atteggiamento comporta e al di là anche dei soldi delle industrie farmaceutiche, che, per ottenere lauti profitti, hanno investito nelle ricerche per giungere prime nella scoperta di un tal vaccino, bisogna tenere in considerazione un ragionamento ancor più di fondo. Nessuno può dire se sia possibile o anzi imminente la scoperta del vaccino contro l’AIDS. È altresì evidente che chi si ritrova nella condizione di sieropositività non può che sperarci, per non parlare di chi è in ARC o in AIDS conclamato. È doveroso, anche seguendo il filo logico del discorso, avanzare delle ipotesi credibili. Da un lato, si può dire che la speranza nel vaccino vissuta a un livello di massa, tende ad acquietare momentaneamente coscienze e ribellione: Ancora una volta la scienza medica farmacologica giunge, da buona salmeria, a supportare l’esercito umano in rotta, conquistandosi così nuova autorevolezza e ulteriore potere. In questo modo, oggi, molti malati si rifiutano sin dall’inizio di cercare soluzioni alternative (ammesso che esistano, com’è per l’omeopatia) e si consegnano mani e piedi alle istituzioni o, più semplicemente, si rifiutano di mettere in questione l’intero sistema, pur sapendo di essere in qualche modo condannati (ma chi non lo è, in qualche modo?). La speranza nella scoperta del vaccino (dei vari vaccini) è sempre stata l’estrema risorsa umana dell’industria medica e farmacologica. Dall’altro lato, l’ipotetica scoperta di un simile vaccino, contingente fortuna per gli attuali malati, sarebbe probabilmente una iattura per la specie umana, sotto il profilo della filogenesi. Ormai siamo vaccinati da un gran numero di virus, e infatti compare il retrovirus HIV, probabilmente sopito in passato. Ciò significa logicamente che i vari vaccini diminuiscono le nostre difese immunitarie. Non è assolutamente fantascientifico ritenere che un vaccino contro l’HIV, se eventualmente trovato, potrebbe provocare a medio o breve termine dei contagi ancor più gravi del presente e più devastanti. Questo non è affatto un discorso apocalittico, ma di quel “buon senso” che ormai si è quasi perso e che andrebbe ritrovato. Abbassando le difese immunitarie, aumenta la gravità delle aggressioni esterne. Allora, è necessario intervenire sulle cause di fondo, sulle radici dei mali che, in modo diverso, tutte viviamo. Allora, è giunto il tempo di pensare che, senza una trasformazione radicale della nostra esistenza sociale e individuale, non andremo da nessuna parte, nulla risolveremo.
X. L’AIDS cammina con la società, con il capitale, con i sacerdoti medici. Siamo noi a doverci rifiutare di camminare con loro. Anche a costo della vita, che peraltro già ci fanno scontare nella sopravvivenza. Come si è detto un tempo, e va costantemente ripetuto, << meglio una fine nell’abisso che un abisso senza fine>>. E forse, chissà, riusciremo a non farci male. Giocandocela tutta subito, oggi, in rivolta.
Tratto dall’opuscolo
“Riccardo d’Este, <<Malattia e società capitalista neomoderna>>,
Porfido, 2010”.