Non vogliamo più far finta di niente. Corteo a Milano – 14 Novembre

Nell’ultimo mese è arrivata alle nostre orecchie notizia di due stupri in Corvetto. Nei mesi di lockdown in cui ognuno di noi era obbligato a stare a casa sono aumentate le violenze tra le quattro mura. Mentre in Italia il numero degli omicidi in generale cala, quello degli assassini nei confronti di donne aumenta. Addirittura i dati Istat segnalano che il 20 per cento della popolazione di donne tra i 16 e i 70 anni dichiara di aver subito violenza di diversa natura da parte degli uomini, immaginiamo che il sommerso possa raggiungere percentuali ben più alte. La violenza che le donne sopportano è costante e frequente. Questa viene riconosciuta molto spesso solo quando raggiunge i suoi aspetti limite, risvolti truci e viene poi spettacolarizzata sulle pagine dei giornali, mentre lo stillicidio delle “piccole” violenze avviene invece sotto una cappa di silenziosa sopportazione. Spesso infatti vergogna e senso di colpa fanno da padrone. La paura di restare sole e isolate blocca la gambe e porta molte a subire in silenzio per non incrinare equilibri che si fatica già a mantenere. Davanti alla violenza ci sentiamo quasi sempre impotenti. Da una parte perché viviamo in una società in cui la soluzione dei problemi è delegata a polizia e tribunali, gli unici che avrebbero il potere di “rimettere le cose in ordine”. Al di là del dubbio che rivolgersi a tribunali e polizia in generale possa essere una scelta saggia, nel caso specifico degli episodi di violenza è anche peggio. Ci si trova quasi sempre alle prese con magistrati che trovano mille motivi per giustificare l’aggressore e alla fin fine fanno ricadere la colpa sulla donna. Ecco quindi il caso di un giudice che assolve un uomo dall’accusa di stupro perché la vittima “non ha gridato abbastanza”; se la violenza è avvenuta tra coniugi la colpa è di entrambi, se la donna reagisce è pazza o socialmente pericolosa; se indossa una minigonna avvantaggia lo stupro. Dall’altra perché, in ogni caso, non è trovare il colpevole che farà svanire il rischio che capiti a te o a qualcun altra, un’altra volta. La differenza tra i generi nell’epoca capitalistica ha come fine quello di sfruttare meglio l’intera popolazione, ciascuno con un proprio ruolo sociale definito. Ad ora, ancora, le donne più povere si occupano della riproduzione sociale, della casa e dei pargoli, tante volte di quelli non loro, vincolate da un rapporto salariale. L’immagine del femminile è adatta a riempire i cartelloni pubblicitari, i banconi dei bar e a cambiare pannolini e pannoloni. Anche nelle sfere professionali più alte gli elementi del femminile vengono utilizzati come skills competitive, ad esempio delegando alle donne le relazioni diplomatiche e la cura del gruppo. Il corpo femminile non è considerato parte integrante di una persona, ma viene oggettivato, fino a diventare merce. In questo modo la violenza contro il corpo delle donne, siano esse “di nascita” o trans, ha una sua intrinseca giustificazione. Violenza che s’interseca spesso con quella dello sfruttamento lavorativo, del ricatto dei documenti e della precarietà economica. Come proteggersi?Come già accennato, non è il caso di chiedere protezione alle forze dell’ordine, visto che spesso sono le prime a portare avanti i peggiori atteggiamenti violenti e sessisti e che, anche quando puniscono gli aggressori, ne approfittano per creare un nemico pubblico che legittima la loro presenza nelle strade e ne aumenta il potere e l’arbitrio. Neppure è il caso di chiamare in causa magistrati e giudici, dal momento che le loro sentenze condannano al carcere donne, cis e trans, per essersi rivoltate contro il proprio aggressore e definiscono “socialmente pericolosa” chi non si pente. Per tanti di noi, riuscire a proteggersi vuol dire guardarsi le spalle a vicenda, stringersi assieme fino ad avere la forza di ribaltare la paura, fino inibire l’agire degli uomini che pensano che il corpo di una donna possa essere molestato e spaventare chi lo legittima. In giro per il mondo gruppi di donne ci dimostrano che unendosi riescono ad elaborare delle soluzioni efficaci e a proteggersi vicendevolmente, affrontare insieme le violenze ed eventualmente contrattaccare. Aprendo luoghi protetti non controllati dalle autorità e gestiti dalle stesse donne che li utilizzano; organizzando pratiche di autodifesa. Abbiamo deciso di non far finta di niente. Corvetto è il quartiere dove abbiamo deciso di vivere e vogliamo che sia un posto dove possiamo stare a nostro agio. Tra queste vie ogni giorno facciamo i conti con le spinte della speculazione edilizia e della rigenerazione urbana a suon di sgomberi e sfratti, tra queste vie si fatica a portare a casa il pane, tra queste vie vorremmo trovare la forza di contrapporci a dinamiche d’esclusione e sfruttamento. Vogliamo che questo sia un luogo sicuro. Non pieno di telecamere e sorveglianti ma alimentando tra di noi consapevolezza, complicità, rispetto e fiducia. Agli stupri avvenuti per strada in questi ultimi mesi reagiamo così: un corteo per le vie di questo quartiere. Un tentativo che vorrebbe essere ripetibile e continuo nel rompere con questa normalità, .Sarà un corteo misto non perché crediamo che solo con degli uomini si possa esprimere forza, anzi. Nella nostra vita ci troviamo, però, a condividere percorsi misti e vogliamo crescere e responsabilizzarci assieme, anche perché crediamo che, benché in modi molto diversi, la violenza di genere sia un problema che colpisce tutti. Non riteniamo che sia sufficiente la partecipazione rappresentativa a un corteo, ma vorremmo trovare degli strumenti pratici e utilizzabili per far fronte a queste situazioni, rifiutando il ricatto dello Stato. Sfilare in corteo sotto emergenza non è certo una cosa semplice. Convivere con una pandemia ci costringe a sottostare a nuove regole che stanno diventando la prassi. Lottare è ritenuta un’attività inutilmente rischiosa. Chi ci prova sarà sempre più spesso raggiunto da multe salate e preso a manganellate. Sottolineando ancora di più l’esigenza di non delegare tutte le scelte che riguardano la nostra vita alle istituzioni – visto che delle nostre vite non gliene frega niente – crediamo nell’assoluta necessità di portare avanti ogni forma di lotta. Contrattare il nostro spazio di vivibilità fino a stare in strada per difendere la nostra integrità fisica è un’esigenza non rimandabile. Non neghiamo l’esistenza del virus ma vediamo che le decisioni che vengono prese mirano solo a non far crollare l’ordine sociale ed economico. La prevenzione al contagio esponenziale è qualcosa che può e deve stare nelle mani di tutti senza la deterrenza delle ordinanze amministrative.