Non lasciamo che il mondo senza contatto s’instauri
Non lasciamo che il mondo senza contatto s’instauri
Appello al boicottaggio dell’applicazione Stop-COVID19
Molte persone parlano del «giorno dopo», di tutto ciò che bisognerà compiere e ottenere dopo il Coronavirus. Ma al di là delle malattie e del lutto di ciascuno, in quale stato ci arriveremo collettivamente? In quale stato psicologico? In quale Stato politico? Con quali abitudini relazionali? Iniziato dal collettivo Ecran total e da un gruppo di lavoro (sul digitale) dell’organizzazione spagnola Ecologistas en acción, questo testo solleva il rischio che i buoni propositi per il giorno dopo siano già neutralizzati dall’accelerazione in corso dell’informatizzazione del mondo. Esso propone un boicottaggio di massa ed esplicito dell’applicazione Stop-COVID19 che sarà realizzata nel mese di maggio. Questa applicazione di tracciamento degli smartphone è presentata qui come il simbolo della fascinazione e della dipendenza generale nei confronti della tecnologia. Fascinazione e dipendenza che assicurano la perpetuazione dell’ordine politico esistente e della nostra traiettoria verso la distruzione ecologica.
Dal punto di vista della salute, l’epidemia di COVID-19 richiederà del tempo per svelare tutti i suoi misteri. La nebbia che circonda l’origine della malattia, la sua diffusione e la sua letalità si dissiperà solo quando cesserà di colpire in tanti Paesi contemporaneamente. Ad oggi, nessuno sembra sapere quando si verificherà una tale tregua. Nel frattempo, per continuare a vivere, non dobbiamo sottovalutare né sopravvalutare questa epidemia in quanto tale.
D’altra parte, ciò che sentiamo molto chiaramente è che la crisi sanitaria ha una significativa possibilità di far precipitare l’avvento di un nuovo regime sociale: un regime basato su una maggiore paura e separazione, ancora più disuguale e soffocante per la libertà. Il motivo per cui ci prendiamo la briga di fare questo appello è che crediamo che non sia una conclusione scontata e che ci saranno opportunità, per le popolazioni, di evitarlo. Ma mentre noi, comuni cittadini, sentiamo violentemente la fragilità della nostra vita di fronte alla minaccia del virus e a un lungo periodo di contenimento, l’attuale ordine politico ed economico sembra invece essere scosso e insieme rafforzato dall’attuale sconvolgimento. Appare allo stesso tempo fragile e molto solido sulle sue fondamenta più “moderne”, cioè socialmente distruttive.
Naturalmente non è sfuggito all’attenzione dell’opinione pubblica che la situazione attuale ha permesso ai governi di molti Paesi di mettere a tacere, per un periodo di tempo indefinito, le controversie talvolta estremamente aspre che hanno dovuto affrontare per diversi mesi. Ma ciò che colpisce è che le misure di distanza interpersonale e il timore di contatto con l’altro generato dall’epidemia si accordano fortemente con le principali tendenze della società contemporanea. La possibilità di passare a un nuovo regime sociale, senza contatto umano, o con il minor numero possibile di contatti e regolato dalla burocrazia, si manifesta in due sviluppi precipitati dalla crisi sanitaria: lo spaventoso peggioramento della morsa delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) sulla nostra vita; e il suo corollario, i piani per il monitoraggio elettronico delle popolazioni in nome della necessità di limitare il contagio di COVID-19.
“Restate a casa”… su Internet
Fin dai primi giorni di contenimento, era chiaro che una delle conseguenze sociali immediate della pandemia, in Spagna e in Francia, sarebbe stata la radicalizzazione della nostra dipendenza dall’informatica. Alla velocità con cui andavano le cose, sembrava difficile accelerare! Ma con il confinamento in casa, per molti gli schermi stanno diventando una modalità di accesso al mondo quasi esclusiva; il commercio online sta esplodendo, e anche l’organizzazione di reti locali di approvvigionamento di verdure e prodotti freschi passa spesso attraverso i siti Internet; il consumo di videogiochi sta aumentando vertiginosamente; il numero di consulenze di “telemedicina” sta salendo alle stelle (anche se per lo più non forniscono altro che una conversazione telefonica); anche la “continuità educativa” viene fatta al computer, in spregio a tutte le raccomandazioni mediche per limitare l’esposizione dei bambini agli schermi; e milioni di persone si trovano a lavorare a casa – non più “metro-lavoro-letto”, ma direttamente “dal letto al computer”.
I grandi media in genere non vedono nulla di preoccupante in questa riduzione di tutte le attività umane a una sola. Al contrario, applaudono ancora di più le iniziative di solidarietà quando passano attraverso un sito, una piattaforma, un gruppo sulla messaggistica… Incoraggiano tutti a rassegnarsi al fatto di prendere l’aperitivo distanti-ma-uniti1, “via” Skype, e trovano anche i credenti felici di fare la comunione per Pasqua su schermi interposti.
A questa incessante campagna di promozione della vita digitale non corrisponde nessun allarme nel dibattito delle idee: l’informatizzazione totale non sembra essere un problema per nessuno. Giornalisti, economisti e statisti di entrambe le sponde dei Pirenei ci dicono che in futuro non dovremo rimanere così dipendenti dall’industria cinese per i farmaci, il tessile ecc.; ma la loro preoccupazione per l’indipendenza nazionale li porta raramente a preoccuparsi del fatto che l’intero settore digitale è basato su miniere e fabbriche asiatiche, spesso vere e proprie colonie industriali che è molto difficile immaginare di “rilocalizzare”. Altre voci si levano, che non si limitano a criticare la globalizzazione del commercio, e chiedono un cambiamento profondo nel “nostro modello di sviluppo”. Ma evitano la centralità del digitale in questo modello, e non fanno notare che nulla cambierà in termini di precarietà sociale ed ecologia se continuiamo a fare tutto via Internet.
Il presidente Macron, dal canto suo, si permette di fare ripetute allusioni al programma del Consiglio Nazionale della Resistenza e al suo spirito di compromesso sociale; ma in realtà il progetto di conversione della Francia in una nazione start-up non è affatto fermo, anzi, sta facendo un grande balzo in avanti. Questa nuova èra del lavoro senza contatto completa l’offensiva contro i salariati iniziata molto prima del Coronavirus: eliminazione massiccia dei posti di lavoro a favore di applicazioni, piattaforme e robot; riduzione del lavoro relazionale a favore di risposte automatizzate guidate da algoritmi; perdita del significato del lavoro soppiantato da assurde routine d’ufficio; aumento dello sfruttamento, e indebolimento delle capacità di resistenza dei salariati, che sono sempre più isolati gli uni dagli altri.
Il contenimento è quindi una manna dal cielo per avvicinarsi all’obiettivo di sostituire tutti i servizi pubblici con portali online, fissato dal piano di Azione Pubblica 2022. Come si può vedere con l’abolizione degli sportelli nelle stazioni, questa digitalizzazione accelera la privatizzazione dei servizi pubblici, trasferendo il loro lavoro su piattaforme commerciali con pratiche opache basate sulla profilazione massiccia dei singoli. Sta cacciando con violenza tutti gli utenti con poca o nessuna connessione – un quinto della popolazione, compresi gli anziani, le persone economicamente vulnerabili e i recalcitranti. Ora obbliga le categorie in fase di massiccio impoverimento ad acquistare talvolta tanto materiale informatico “di base” (PC, smartphone, stampante, scanner ecc.) quanto i membri della famiglia. Ci fa scivolare verso un mondo profondamente disumanizzato e kafkiano.
«La digitalizzazione di tutto ciò che può essere digitalizzato è il mezzo per il capitalismo del XXI secolo per ottenere nuove riduzioni dei costi (…) Questa crisi sanitaria apparirà forse a posteriori come un momento di accelerazione di questa virtualizzazione del mondo. Come punto di inflessione della transizione dal capitalismo industriale al capitalismo digitale, e il suo corollario, il crollo delle promesse umanistiche della società [dei servizi]»2. Questa analisi di buon senso non è opera di un dispregiatore del neoliberismo, arrabbiato per le scelte politiche fatte negli ultimi quarant’anni sotto la pressione dei circoli d’affari. È un economista di centro-sinistra e membro del Consiglio di vigilanza del quotidiano “Le Monde”. Ci pare sufficiente per capire che se esiste, nel contesto attuale, una “strategia dello shock”3, questa è in larga misura sotto i nostri occhi, in questa crescente digitalizzazione della vita domestica ed economica. Ci sembra corretto parlare di una strategia dello shock digitale, nel senso che la crisi sanitaria crea l’opportunità di rafforzare la dipendenza dagli strumenti informatici, e di dispiegare progetti economici e politici preesistenti: didattica a distanza, ricorso massiccio al telelavoro, “e-salute”, Internet delle cose e robotizzazione, eliminazione del contante a favore della moneta elettronica, promozione del 5G, smart city… Possiamo anche includere in questo quadro i progetti di monitoraggio degli individui attraverso il loro smartphone, più in là di quanto già praticato in termini di sorveglianza poliziesca, marketing o incontri amorosi attraverso applicazioni apposite. Quindi il rischio non è solo che le cose rimangano “come prima”, ma che peggiorino nettamente.
Quando la Cina si risveglia in noi?
È più o meno un dato di fatto che diversi governi europei introdurranno nuovi dispositivi di sorveglianza per smartphone in cambio della fine, o dell’attenuazione, del contenimento. Quando la paura di ammalarsi è aggravata dalla stanchezza e dall’impossibilità economica di rimanere confinati per mesi e mesi, si tratta di un vero e proprio ricatto a cui le persone sono sottoposte.
Rendiamoci conto della portata dell’impostura: in un contesto di grave carenza di mezzi ordinari per combattere il contagio (troppe poche mascherine e camici in ospedale, mancanza di personale e letti dentro e fuori l’ospedale, pochi test), ci viene offerto invece un gadget fantascientifico, le applicazioni di rilevazione elettronica della trasmissione del Coronavirus. Non viene fatto alcun annuncio chiaro che vada nel senso di un sostegno finanziario massiccio e strutturale agli ospedali pubblici per affrontare una crisi che durerà nel tempo; viceversa, sta per essere fatto un nuovo passo avanti nella tracciabilità sistematica degli spostamenti e delle relazioni sociali – inizialmente, per chi lo accetta. Gli esiti sanitari sono più che incerti; le conseguenze politiche, invece, sono sicure.
Poiché sapere di essere costantemente rintracciati è fonte di conformismo e di sottomissione alle autorità, anche quando non si vive sotto una dittatura4. Il linguaggio del governo assicura che le informazioni fornite dalle applicazioni di tracciamento dei contagiati da COVID-19 saranno rese anonime e distrutte, ma basta leggere le memorie di Edward Snowden sulla sorveglianza elettronica per capire che questo tipo di garanzia non regge5. Inoltre, uno sguardo alla storia recente della tecnologia dimostra che non si può praticamente tornare indietro con i dispositivi liberticidi sperimentati in tempi di crisi: se vengono introdotti su larga scala sotto l’egida dello Stato, le applicazioni rimarranno rintracciabili, e sarà difficile impedirne l’estensione a tutta la popolazione. Pensate alla schedatura del DNA, introdotta alla fine degli anni Novanta a seguito di una serie di omicidi a sfondo sessuale e che i ministri dell’epoca giurarono sarebbe rimasta sempre limitata ai grandi criminali – oggi è diventata quasi automatica, quando si viene arrestati per essersi trattenuti un po’ troppo a una manifestazione. Pensiamo anche, molto semplicemente, al fatto che non abbiamo idea di quanto durerà l’episodio epidemico in cui siamo entrati all’inizio di marzo: sei mesi? Tre anni? Molto di più?
In ogni caso, questo episodio è improntato all’idea che l’efficacia, nella lotta al Coronavirus, vada ricercata in Asia in generale e in Cina in particolare. In Francia, i media e i politici tendono a concentrare la loro attenzione sulla Corea del Sud, Taiwan o Singapore, la cui iper-modernità tecnologica non è associata (a torto o a ragione) al dispotismo politico. In Spagna, invece, l’inizio della crisi sanitaria ha visto la stampa dominante interrogarsi apertamente sulla questione se la “democrazia” non sia un peso che condanna all’inefficienza, mentre i vecchi politici “liberali” hanno espresso la loro ammirazione per l’autoritarismo cinese ad alta tecnologia: geolocalizzazione dei telefoni cellulari, sistemi di classificazione sociale alimentati da dati costantemente raccolti sui cittadini attraverso Internet, riconoscimento facciale, uso di droni per monitorare e sanzionare la popolazione. Questo è forse uno degli elementi della svolta che stiamo vivendo: abituati da decenni a leggere il nostro futuro nelle evoluzioni della società nordamericana, all’improvviso è la Cina post-maoista che sembra diventare il nostro orizzonte – visto l’uso senza complessi che essa fa delle innovazioni della Silicon Valley.
Il sovra-equipaggiamento tecnologico non può che alimentare collassi ecologici e sanitari
Per il momento, l’uso da parte delle autorità politiche europee di applicazioni di tracciamento degli smartphone per dare la caccia al COVID-19 è una forma di bluff6. È una misura di sostegno psicologico, per dare l’impressione di agire, di poter fare qualcosa, di avere idee per controllare la situazione. Mentre è evidente che non hanno alcun controllo su nulla, almeno in Paesi come il nostro o come l’Italia. Viceversa, in tutta Europa, stanno seguendo il passo dei circoli d’affari che chiedono un ritorno al lavoro e un rilancio dell’economia; è quindi tanto più urgente estrarre questa magica applicazione dai loro cappelli, in quanto non hanno manifestamente nient’altro a disposizione per proteggere le persone.
Dispositivi come la geolocalizzazione elettronica sono di fatto utilizzati per mantenere un’organizzazione sociale patologica, pur sostenendo di limitare l’impatto dell’epidemia che stiamo vivendo oggi. Il tracciamento del Coronavirus mira a salvare (temporaneamente) un tipo di mondo in cui ci muoviamo troppo, per la nostra salute e quella della Terra; in cui lavoriamo sempre più lontano da casa, incrociando nei nostri spostamenti migliaia di persone che non conosciamo; in cui consumiamo i prodotti di un commercio mondiale la cui scala esclude qualsiasi regolamentazione morale. Ciò che i promotori della geolocalizzazione cercano di preservare non è quindi in primo luogo la nostra salute, né il nostro “sistema sanitario”: è la società di massa. Una società di massa addirittura rafforzata, nel senso che gli individui che la compongono saranno ancora più isolati e chiusi in se stessi, attraverso la paura e la tecnologia.
Mentre l’attuale pandemia dovrebbe spingerci a trasformare radicalmente una società in cui l’urbanizzazione galoppante, l’inquinamento atmosferico e l’eccesso di mobilità possono avere conseguenze così incontrollabili, il deconfinamento gestito dai dig data minaccia di farci profondare ancora di più in essa. La comparsa del COVID-19, come quella di altri grandi virus a partire dal 2000, è collegata da numerosi ricercatori alla deforestazione, che costringe molte specie animali ad entrare in contatto inaspettato con l’uomo. Altri chiamano in causa gli allevamenti intensivi concentrazionari, innaffiati di antibiotici mutageni. Dire che la risposta al COVID-19 deve essere tecnologica (come fa Stéphane Richard, l’amministratore delegato di Orange, su “Le Monde” del 1° aprile) è continuare la fuga in avanti verso una logica di potenza e di controllo illusorio della natura, di cui la crisi ecologica ci mostra ogni giorno il fallimento. L’impatto dell’industria digitale sugli ecosistemi è già insostenibile. Essa ha creato una corsa ai metalli che sta devastando le aree più incontaminate del mondo. Si basa su di un’industria chimica particolarmente inquinante e genera montagne di rifiuti. Con la moltiplicazione dei data center e il costante aumento del traffico Internet, fa carburare le centrali elettriche ed emette tanti gas serra quanti il traffico aereo7.
Inoltre, il modo di vita connesso è globalmente dannoso per la nostra salute. Dipendenze, difficoltà relazionali e di apprendimento tra i più giovani, ma anche elettroipersensibilità: l’Agenzia francese per la sicurezza sanitaria (Anses) stima in 3,3 milioni (il 5% della popolazione) i francesi che sostengono di soffrirne, e afferma la necessità di importanti ricerche per capire come queste sofferenze siano provocate e amplificate8. A questo si aggiungono i dubbi che circondano la natura cancerogena delle onde elettromagnetiche artificiali, considerata possibile dall’OMS. I legami stabiliti tra i tumori del cuore (nei ratti) e le onde 2G/3G dal Programma Nazionale Americano di Tossicologia nel 20189 non sono oggetto di un consenso scientifico, ma il dubbio è sempre a discolpa dell’industria della telefonia mobile: serve come giustificazione per la fuga in avanti, mai al principio di precauzione.
D’altronde, in prima linea nella strategia dello shock condotta dal governo francese c’è l’installazione con procedura semplificata di antenne-ripetitori, contestata da tanti residenti e associazioni, soprattutto per motivi di salute. La legge d’emergenza del 25 marzo 2020 ne consente il dispiegamento senza l’accordo dell’Agenzia Nazionale delle Frequenze. Allo stesso tempo, l’esplosione del traffico Internet legato al contenimento giustifica l’ulteriore espansione della rete 5G – il ritmo più veloce è in Italia10. Mentre gli scienziati e i cittadini di tutto il mondo vi si oppongono da diversi anni, la stampa ha fatto da gran cassa alle preoccupazioni in diverse parti del mondo su improbabili teorie che collegano la propagazione del COVID-19 alle onde 5G. I Gafam [Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft] si sono addirittura dichiarati negli ultimi giorni propensi a rimuovere molte pubblicazioni online che mettono in allarme sugli effetti di questa nuova fase di intensificazione dei campi elettromagnetici artificiali. In realtà, questi allarmi sono spesso perfettamente legittimi: da un lato perché dispiegare, senza conoscerne gli effetti, una fonte di inquinamento elettromagnetico che è almeno il doppio di quella di tutte le reti esistenti è un’aberrazione dal punto di vista del principio di precauzione; dall’altro perché il pericolo più provato della rete 5G è che essa deve servire come infrastruttura per la proliferazione di oggetti connessi, auto automatiche e, più globalmente, per una società iperconsumista i cui effetti sociali ed ecologici sono insostenibili.
Interrompere la scalata
Insomma, i tecnocrati di tutto il mondo pretendono di proteggerci dai Coronavirus oggi, accelerando un sistema di produzione che compromette la nostra sopravvivenza già domani mattina. È assurdo, oltre che destinato al fallimento.
Non abbiamo bisogno di tecnologie che ci tolgano la responsabilità, dicendo e decidendo per noi dove possiamo andare. Ciò di cui abbiamo bisogno è esercitare la nostra responsabilità personale, per compensare le carenze e il cinismo dei leader. Dobbiamo costruire dal basso verso l’alto, con l’aiuto di chi ci cura, regole di prudenza collettiva che siano ragionevoli e sostenibili nel lungo periodo. E perché le inevitabili costrizioni abbiano un senso, non abbiamo solo bisogno di sapere in tempo reale qual è la situazione nei servizi di emergenza. Abbiamo bisogno di una riflessione collettiva e coerente sulla nostra salute, su come proteggerci dalle molteplici patologie che il nostro stile di vita genera: i virus del futuro, ma anche i loro vari fattori di “co-morbilità”, come l’asma, l’obesità, le malattie cardiovascolari, il diabete e naturalmente il cancro11.
Questa crisi evidenzia ancora una volta il problema della dipendenza dei popoli da un sistema di approvvigionamento industriale che sta saccheggiando il mondo e indebolendo la nostra capacità di agire concretamente contro l’ingiustizia sociale. Percepiamo che solo una gestione collettiva dei nostri bisogni materiali, alla base della società, potrebbe permetterci, nei prossimi sconvolgimenti, di trovare cibo, di prenderci cura di noi stessi, di avere accesso ai servizi di base. Bisogna capire che l’informatizzazione va contro questi necessari passi verso l’autonomia: il sistema digitale è diventato la chiave di volta della grande industria, delle burocrazie statali, di tutti i processi di amministrazione della nostra vita che obbediscono alle leggi del profitto e del potere.
Si dice regolarmente che a un certo punto di questa crisi i leader dovranno essere chiamati a rispondere delle loro azioni. E come al solito, non mancheranno le lamentele sugli stanziamenti, sugli abusi padronali e finanziari e sulla ridistribuzione economica. Ma accanto a queste indispensabili richieste, altre misure devono essere prese da noi stessi o sottratte ai decisori, se vogliamo preservare la nostra libertà – cioè se vogliamo preservare la possibilità di combattere le logiche della concorrenza e della redditività, di costruire un mondo in cui la paura dell’altro e l’atomizzazione della popolazione non dominino a lungo.
1. In questi giorni, sembra che molte persone lascino il proprio smartphone a casa quando si allontanano dal proprio domicilio. Invitiamo alla generalizzazione di questo genere di gesti e al boicottaggio delle applicazioni private o pubbliche di tracciamento elettronico. Più in generale, invitiamo ciascuno e ciascuna a riflettere seriamente sulla possibilità di abbandonare il proprio telefono intelligente, e di ridurre in modo massiccio il proprio uso delle tecnologie di punta. Torniamo finalmente alla realtà.
2. Invitiamo le popolazioni a informarsi sulle conseguenze economiche, ecologiche e sanitarie del dispiegamento pianificato della rete chiamata “5G”, e ad opporvisi attivamente. In modo più ampio, invitiamo ciascuno e ciascuna a informarsi sulle antenne di telefonia mobile che esistono già, e ad opporsi all’installazione di nuove antenne-ripetitori.
3. Invitiamo a una presa di coscienza del problema della digitalizzazione in corso di tutti i servizi pubblici. Una delle sfide del periodo post-confinamento (o dei periodi tra due quarantene?) sarà quella di garantire che gli abitanti delle città e delle zone rurali, nelle stazioni, presso la Previdenza Sociale, nelle prefetture e nelle altre amministrazioni abbiano a disposizione gli sportelli fisici. Delle battaglie vanno combattute per la difesa del servizio postale (essenziale, ad esempio, per la circolazione delle idee senza il digitale) e per il mantenimento di un servizio di telefonia fissa a basso costo, indipendentemente dagli abbonamenti a Internet.
4. Un’altra battaglia essenziale per l’avvenire della società è il rifiuto della scuola digitale. Il periodo critico che stiamo vivendo è messo a profitto per normalizzare l’insegnamento a distanza tramite Internet, e soltanto una vigorosa reazione degli insegnanti e dei genitori potrà impedirlo. Malgrado tutte le critiche che si possono fare da diversi punti di vista all’istituzione scolastica, il periodo attuale dovrebbe illustrare agli occhi di molti che è sensato imparare stando insieme e che è prezioso per i bambini essere in contatto con degli insegnanti in carne ed ossa.
5. L’economia non è, né è mai stata, ferma; non dovrebbero esserlo nemmeno i conflitti sociali. Sosteniamo tutti coloro che ritengono che la loro salute sia in pericolo sul luogo di lavoro abituale o durante gli spostamenti. Ma richiamiamo anche l’attenzione sugli abusi e le sofferenze nel contesto del telelavoro a casa. Alcuni di noi denunciano da anni l’informatizzazione del lavoro; è evidente che l’estensione del telelavoro obbligatorio è un processo da arginare con nuove forme di lotta, di boicottaggio, di diserzione.
6. Dal punto di vista economico, i prossimi mesi si annunciano terribili. È possibile un impoverimento molto significativo delle popolazioni, così come il crollo delle banche e della moneta. Di fronte a questi rischi, dobbiamo pensare a come mangiare e a come coltivare la terra; come entrare a far parte delle reti di approvvigionamento locale e come estendere queste opportunità al maggior numero possibile di persone; come sostenere gli agricoltori che producono cibo sano vicino a casa nostra e come aiutare altri a stabilirvisi. Ciò che abbiamo detto sopra spiega perché crediamo che l’utilizzo di tecnologie di punta per fare tutto questo non sia una soluzione umana e duratura.
7. Infine, dovremo difendere i mezzi per incontrarci fisicamente, inventare o trovare luoghi di discussione pubblica in questo difficile contesto dove si combatteranno battaglie decisive. Naturalmente dovranno essere previste modalità che tengano conto dei rischi di contagio. Ma la vita connessa non può sostituire in modo permanente la vita vissuta, e i surrogati dei dibattiti su Internet non sostituiranno mai la presenza in carne e ossa, il dialogo a viva voce. Ognuno e ognuna di noi deve pensare fin d’ora a come difendere questo diritto di riunione (riunioni di abitanti, assemblee popolari, manifestazioni), senza il quale nessun diritto politico è possibile, e senza il quale nessun rapporto di forza, per qualsiasi lotta, può mai essere costituito.
Da http://www.terrestres.org/2020/04/27/ne-laissons-pas-sinstaller-le-monde-sans-contact/
Testo iniziato dal collettivo Ecran total (resistere alla gestione e all’informatizzazione delle nostre vite) e dal gruppo di lavoro “digitalización, TIC y 5G” dell’organizzazione Ecologistas en acción.
Contatti in Francia: Ecran total, Boîte postale 8; 3 et 5 rue Robert Judet, 23260 Crocq; oppure ecrantotal@riseup.net
Note
1. Riferimento al libro di Sherry Turkle, Alone Together, Sempre più tecnologia, sempre meno relazioni umane, tradotto in francese da L’Echappée nel 2015.
2. Estratto dell’intervista con Daniel Cohen, su “Le Monde” del 3 aprile 2020 (https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/04/02/daniel-cohen-la-crise-du-coronavirus-signale-l-acceleration-d-un-nouveau-capitalisme-le-capitalisme-numerique_6035238_3232.html). Questa citazione non implica ovviamente un profondo accordo con le categorie utilizzate da Cohen: in realtà, la tecnologia digitale approfondisce il carattere industriale del capitalismo, e la società post-industriale di cui parla non esiste.
3. Riferimento alla formula e al libro di Naomi Klein, La strategia dello shock. L’ascesa del capitalismo del disastro, tradotto in francese nel 2008 da Actes Sud. Questo libro si basa sull’esempio delle opportunità aperte alla comunità imprenditoriale americana dall’uragano Katrina in Louisiana nel 2005.
4. Vedi il Capitolo 2 del libro del Gruppo MARCUSE, La liberté dans le coma. Essai sur l’identification électronique et les motifs de s’y opposer, Vaour, La Lenteur, 2019, in particolare le pagine da 121 a 131.
5.Edward Snowden, Mémoires vives, Parigi, Seuil, 2019. Per la precisione, Snowden insiste sull’impossibilità di cancellare definitivamente i dati registrati. Per quanto riguarda l’impossibilità di renderli anonimi, possiamo fare riferimento alle analisi di Luc Rocher nel suo articolo Données anonymes, bien trop faciles à identifier, pubblicato il 17 settembre 2019 sul sito www.theconversation.com.
6. Si veda l’analisi sull’argomento dell’associazione La Quadrature du Net, pubblicata sul loro sito il 14 aprile (https://www.laquadrature.net/2020/04/14/nos-arguments-pour-rejeter-stopcovid/), che sottolinea, tra l’altro, l’inaffidabilità della tecnologia Bluetooth, la sua mancanza di precisione nell’indicare il contatto con le persone che sono risultate “positive”, soprattutto nelle aree densamente popolate, e la difficoltà per molte persone di utilizzarla/attivarla.
7. Vedi tra l’altro la sintesi di Cécile Diguet e Fanny Lopez in Ademe, L’impact spatial et énergétique des data centers sur les territoires, online su www.ademe.fr
8. https://www.lemonde.fr/planete/article/2018/03/27/electrosensibles-les-experts-preconisent-une-prise-en-charge-adaptee_5276783_3244.html Si veda l’articolo di Pierre Le Hir, Electrosensibles: des symptômes réels qui restent inexpliqués, su “Le Monde” del 27 marzo 2018.
9. https://www.priartem.fr/Ondes-et-tumeurs-Des-preuves.html?var_recherche=ntp
10. In Spagna, al contrario, è stata decretata una pausa.
11. Basta ricordare che, secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “The Lancet” nel 2017, l’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo uccide 9 milioni di persone ogni anno (https://www.lemonde.fr/pollution/article/2017/10/20/la-pollution-responsable-de-9-millions-de-morts-dans-le-monde-par-an_5203511_1652666.html).
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