Riflessioni sull’anarchismo e la questione organizzativa in epoca d’epidemia – e non solo

Da EditricieCirtide:

«Dovrebbe servire piuttosto per aiutare a sviluppare seriamente delle progettualità di intervento nell’immediato futuro. Negli ultimi giorni continuano senza posa a uscire su siti d’area contributi che non aggiungono nulla a quanto già sapevamo, una sfilza di testi che sembra mirino più a dare ragione alle analisi stilate negli ultimi anni che a costituire degli utili strumenti per orientarci nella situazione attuale. Contributi impregnati da quell’ideologia dell’insurrezione che cerca ovunque le possibilità di una rivolta, senza mai osare immaginare di provocarla, o alla ricerca delle condizioni oggettive di una crisi del capitalismo, mancando dell’immaginazione necessaria per ipotizzare un intervento autonomo che metta finalmente e per davvero in crisi l’esistente, e ancora una volta dimostrano solo quanto le ragnatele teoriche del passato ricoprano ancora le analisi che fuoriescono dal cosiddetto milieu anarchico.»

Il futuro non è scritto – un contributo sui possibili sviluppi della situazione attuale

Riflessioni valide, quelle riportate in questo approfondimento. Valide e che quindi devono essere proseguite dall’apporto di diverse sensibilità. Il problema non è un problema attuale, è un problema che ha covato sotto le ceneri per diversi anni. Tra buchi nell’acqua e treni persi, i momenti di verifica delle teorie non sono mancati. È mancata forse la lucidità di trarne conseguenze, consigli, indicazioni.

Veniamo da un’epoca di pacificazione, da questo non si può purtroppo prescindere. Se negli anni ‘80 l’anarchismo si confrontava con il bisogno di ripensare l’agire in funzione di ciò che era avvenuto negli anni ‘60 e ‘70, se negli anni ‘90 dei tentativi sono stati fatti, come quello di trasformare in realtà le riflessioni sul tema dell’organizzazione e si sono sviluppate delle tematiche, come quella degli spazi occupati, il G8 di Genova del 2001 tramortisce un movimento, costruisce un cordone sanitario di sangue e tute bianche intorno alle idee radicali. Le torri gemelle fanno da prodromo a quella che sarà l’affermazione di un nuovo ordine mondiale militar-politico quanto culturale, con la chiusura dell’orizzonte sovversivo all’interno della sopravvivenza emergenziale nel migliore dei mondi possibili.

Come aveva fatto l’eroina in passato, la possibilità di costruire parvenze di legami, rapporti e conversazioni virtuali svuota le piazze e cambia i modi di pensare la possibilità di comunicare idee, lottare ed incontrare persone. Il tramortimento collettivo, tra tentativi sporadici di lotta che non riescono ad essere metabolizzati a dovere ed il rifiuto di partecipare alla socialità virtuale ci lascia sbigottiti davanti alle innumerevoli questioni che la contemporaneità apre di fronte a noi.

Per questo voglio provare a sviluppare una riflessione propositiva sulla questione organizzativa, su più livelli, che possa ricollegarsi al passato, ben oltre a quello prossimo, nel tentativo di far ripartire – non tanto un dibattito, necessario ma che rischia di restare sul piano della filosofia – la riflessione progettuale dei singoli, anche in direzioni diverse rispetto a quanto qui ipotizzato. La ragione non esiste e non mi interessa. Come scriveva qualcuno in un vecchio numero di Anarchismo: “Rivendichiamo le nostre lotte di anarchici… i nostri errori, in essi non c’era l’asfissia della certezza”.

Nota editoriale

Le citazioni non vengono proposte in quanto esaustive o ancora completamente valide ma come elemento di confronto con un certo modo di approcciare i problemi o come esempio di riflessioni su cui vale ancora la pena “perdere” tempo a riflettere. Più che esempi sono da intendersi come suggestioni e pungoli.

Molte persone hanno sconsigliato di inserirne tante ed in maniera così invadente. Hanno ragione. Ma il punto non è rendere appetibile la questione, snellire, riassumere. D’altronde, se annoiano, possono sempre essere saltate.

La questione è chiarire che si tratta sì di inventare tutto, ma ancor prima di riscoprire, rilanciare, ripercorrere i passi. Certo, si sarebbe potuto scrivere in altri modi e con altre forme. Ma per chi? Per chi non ha orecchie per ascoltare? Per chi non ha tempo di fermarsi a riflettere su diverse questioni? Si sarebbe potuto fare meglio, ma era quello lo scopo? Quei testi, inoltre, sono il frutto di confronti a caldo tra diverse persone, sono riflessioni che poi sono state messe alla prova nella realtà, mentre le mie sono poco più che disquisizioni sul nulla. Che abbiano un peso minore, quindi.

Preferisco inoltre l’incomunicabilità della complessità piuttosto che lo svilimento della semplificazione. Nessuno ha nulla da insegnare, dobbiamo tutti imparare dal mondo che ci sta intorno.

L’unica cosa che possiamo fare è condividere dubbi e perplessità, (es)porci con le questioni che ci attanagliano, illuminarle.

La follia del pensiero è anche quella del salto temporale tra la più stringente contemporaneità e la polvere dei vecchi libri dimenticati sullo scaffale.

Il mistero della quarantena, la scoperta di un tempo elastico del pensiero.

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