Su un’assemblea contro l’obbligo vaccinale (e il suo mondo)

A partire da un appello rivolto principalmente agli operatori sanitari, domenica 18 aprile si è svolta una partecipata assemblea al Terreno No Tav di Mattarello-Acquaviva. Un centinaio di persone presenti, prevalentemente infermieri e OSS delle case di riposo. Chiamata soprattutto per confrontarsi sulla questione dell’obbligo detto vaccinale imposto ai lavoratori del settore, la discussione ha finito inevitabilmente per toccare tanti dei diversi aspetti dello Stato d’Emergenza. Particolare attenzione ha ricevuto la questione delle cure domiciliari negate ai malati e dell’ospedalizzazione indiscriminata nei reparti-Covid (compresa quella di chi, internato in questi reparti per problemi respiratori non dovuti al Sars-Cov-2, si è infettato direttamente in ospedale), presenti forse nella metà degli interventi, con una serie di testimonianze di prima mano su casi di mancato intervento da parte dei medici di base (vuoi per semplice negligenza all’interno di una medicina territoriale sempre più allo sfascio, vuoi per obbedienza al Protocollo criminale della “vigile attesa”, la quale a sua volta si intreccia alle dinamiche prodotte da anni di tagli e aziendalizzazione della sanità, ovviamente aggravandole). Ma la discussione si è allargata anche a diversi altri aspetti, con l’emersione di una forte consapevolezza rispetto alla svolta sociale in corso, della necessità di combattere i cosiddetti vaccini non tanto o non solo per i loro effetti collaterali anche gravi, ma come sperimentazione genetica all’interno di una trasformazione complessiva tecnologica e autoritaria. Una dottoressa altoatesina (tra i pochi medici presenti) ha portato un contributo critico sulle vaccinazioni in generale, considerate figlie di un approccio terapeutico sbagliato e da ripensare radicalmente (“il vaccino è la tomba della medicina”, è stata la chiosa). Un farmacista, fino a ieri dichiaratamente alieno a qualsiasi forma di militanza, ha definito seccamente tutta la questione del Covid “principalmente politica, e solo secondariamente sanitaria”. Una lavoratrice di una casa di riposo, sottoposta come gli altri colleghi a continui tamponi (rischiosi per la salute soprattutto se frequentemente ripetuti, anche solo per i danni alle mucose) ha parlato della sua scelta di non sottostarvi più (e altri hanno parlato di come vi si sono opposti in altri modi). Pochi gli interventi che si richiamavano a princìpi di diritto internazionale o costituzionale per sostenere la libertà di scelta riguardo la propria salute e il proprio corpo. Molti, viceversa, e fin dall’inizio, quelli in cui risuonava una bella parola oggi più che mai necessaria: “Resistenza!”; e l’idea che, se ricorsi legali e amministrativi possono avere la loro funzione nel guadagnare tempo e agibilità, l’unica maniera per combattere il Decreto Draghi è adottare forme di sciopero e ostruzionismo: “Lorsignori ci minacciano di sospensione? e allora troviamo dei modi per fargli pesare subito la nostra assenza dal lavoro, tutti e tutte insieme e quando lo decidiamo noi”. Non sono mancate, infine, anche suggestioni su come sostenere chi si troverà ad affrontare un periodo senza stipendio o peggio a perdere il lavoro, e più in generale su come sostenersi vicendevolmente all’alba di una fase storica che si annuncia lunga, dura e spietata: dal cominciare a raccogliere soldi per delle casse di solidarietà attraverso pranzi e iniziative che permettano anche di ritrovarsi fuori dalla Rete, fino alla creazione di orti e quant’altro possa assicurare un minimo di autonomia materiale contro la miseria e la sottomissione montanti. In generale, un ricco scambio di idee all’interno di un momento di incontro finalmente non virtuale, del quale evidentemente tanti e tante sentivano il bisogno, in un clima sereno favorito anche dalla limpida giornata di sole e pieno di spunti sui quali ritornare per cominciare a organizzarsi davvero.

Ciò che ci ha colpiti, tra le altre cose, è stata anche la composizione di classe dell’incontro, con moltissimi operai della sanità e ben pochi medici. Se l’assenza o la scarsa presenza di dottori di per sé non è certo una fortuna di cui rallegrarsi, fa anche riflettere su come oggi a voler lottare sia soprattutto chi si sente minacciato nella propria stessa esistenza materiale (in questo caso, diversi lavoratori del settore già intuiscono che in tempi più o meno lunghi saranno spazzati via dalla svolta verso la telemedicina), mentre certe categorie più privilegiate sperano probabilmente di cavarsela offrendo in cambio il proprio silenzio. Siamo tuttavia convinti che, se questa lotta prenderà piede e crescerà, altre voci critiche si faranno sentire e la affiancheranno. Se in questo momento anche la semplice sopravvivenza pare appannaggio di pochi, a una vita di miseria non sfuggirà nessuno. Che ci pensino, quelli che sanno e tacciono.

Per continuare a discutere, il prossimo appuntamento si terrà domenica 2 maggio dalle ore 15, ancora al Terreno No Tav di Mattarello-Acquaviva.

Collettivo salute e libertà

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