Andare a fondo. Dai vaccini biotech alle terapie digitali
Andare a fondo. Dai vaccini biotech alle terapie digitali
Se negli ultimi mesi abbiamo scritto parecchi testi su (e contro) la vaccinazione biotecnologica di massa, non è per una sorta di ossessione, ma perché la consideriamo una questione fondamentale. Ripetiamo ancora una volta che il punto decisivo non sono i danni sanitari immediati che essa può provocare, bensì le gigantesche incognite sui suoi effetti a medio-lungo termine (sui corpi e sui virus) e, ancor più, le sue conseguenze sociali. Basta pensare all’enorme quantità di dati sanitari personali che l’industria farmaceutica sta raccogliendo grazie alla vaccinazione di milioni di individui. Questo è il vero segreto di Pulcinella dietro la secretazione degli accordi fra Unione Europea e “Big Pharma”, ben più dei costi delle fiale o dell’immunità legale garantita alle industrie in caso di reazioni avverse gravi o di morti. Come è emerso pubblicamente nel caso dello Stato di Israele – mentre alle nostre latitudini va ancora in scena la sinistra commedia sul consenso informato e sulla “privacy” –, la concessione dei dati medici a Pfizer è stato uno degli elementi chiave nella geopolitica dei vaccini. Quei dati sono probabilmente più preziosi degli stessi profitti immediati (a cui non caso AstraZeneca ha dichiarato di rinunciare “finché dura la dichiarazione di pandemia”, garantendo ai propri azionisti che gli incassi arriveranno con le future – e periodiche – rivaccinazioni). Del tutto a proposito, l’amministratore delegato di Pfizer ha definito lo Stato di Israele «il laboratorio del mondo». Far somministrare il proprio vaccino a un’intera popolazione e raccoglierne via via i dati sanitari è decisamente il sogno di ogni multinazionale. E possiamo anche avanzare un’ipotesi sulla direzione in cui saranno usati quei dati: verso le terapie digitali o bioelettroniche, in grado di sostituire proteine, molecole e princìpi attivi con minuscoli software ingeribili. Si tratta di un mercato per cui i giganti del digitale si stanno fondendo da tempo con l’industria farmaceutica (ad esempio Google – tramite la controllata Verily Life Sciences – con Glaxo, per fare due nomi). Le terapie digitali – di cui non a caso si sente parlare sempre più spesso in televisione o alla radio – sono in commercio negli Stati Uniti dal 2017, anno in cui la FDA ne ha autorizzato l’impiego. Su quel mercato l’Europa è piuttosto in ritardo. Non che manchino – soprattutto in Germania – le aziende biotech che hanno già prodotto i loro ritrovati nano-info-bio per curare l’ipertensione, il diabete o l’obesità. Cosa manca? La società in cui farle funzionare. Facciamo l’esempio più calzante: quello delle macchine. Per avviare il mercato delle auto a guida autonoma, sono necessarie delle città disseminate di sensori. Per costruire delle “città-intelligenti” servono la rete 5G e un apparato di Intelligenza Artificiale in grado di analizzare una mole immensa di dati. A Google o Microsoft o Amazon non interessano le auto, bensì i loro cruscotti digitali (le auto, se potessero, le metterebbero in commercio a prezzo di costo… come AstraZeneca le sue fiale, in vista di quello che poi ricavano dai big data). Torniamo ora alle terapie digitali. Non basta avere un corpo-macchina curato da un farmaco-software. Serve una società-macchina. Un sensore ingeribile ha senso se nel frattempo ho sviluppato l’infrastruttura in cui collocare quel corpo da curare: una capillare rete digitale per realizzare il controllo medico da remoto, cioè la telemedicina. In quella direzione andranno i soldi del Recovery Plan, non certo alla medicina territoriale. La Transizione digitale non è uno slogan, bensì un progetto che ridisegna l’intera società (strutture sanitarie comprese ), un progetto dalle devastanti conseguenze ecologiche, a loro volta causa di nuovi “salti di specie” da parte dei virus, la cui diffusione giustificherà un’ulteriore fuga in avanti tecnologica: la digitalizzazione dei corpi.
Probabilmente il primo passo verso le terapie digitali saranno i nuovi “vaccini” a base di cerotti, spray nasale, gocce, pillole e microchip. Poco importa il “contenitore”: si tratta di nano-sensori in grado di segnalare «in tempo reale quanti anticorpi abbiamo, qual è il nostro stato di salute e se è necessario trasmettere i dati al nostro medico di base senza muovere un passo da casa». Insomma, «l’accelerazione che il Covid ha dato in termini di tecnologia non finirà con la pandemia, anzi». Da qualche mese è stato avviato uno «studio dell’Università di Oxford sul vaccino a spray nasale e dei prototipi di smart-patch vaccinale in fase di sperimentazione a Swansea, sempre nel Regno Unito. Ma cos’è uno smart-patch? “È una tecnologia già in studio da parecchio tempo anche per la diagnostica di altre condizioni patologiche o per il controllo di condizioni fisiologiche: sono dei microsensori che, messi a contatto con la pelle, possono percepire delle variazioni vitaliche provocate da determinate sostanze in circolo. Saranno dei microchip in grado di segnalare quanti anticorpi circolano nei confronti di un determinato agente microbico, virale o batterico che sia». «La ricerca potrebbe essere orientata, dal punto di vista vaccinale, con questi patch o cerotti che potrebbero inoculare o indurre la produzione di anticorpi; dall’altro lato, i microchip di tipo diagnostico potranno, nel tempo, valutare qual è la nostra risposta anticorpale alla vaccinazione ma anche tantissimi altri parametri». «Alcuni dei vaccini che abbiamo adesso sono in fase di studio per una formulazione orale tramite gocce o pillole». D’altronde, «aver paura di un microchip che controlla i nostri anticorpi è veramente assurdo, inutile e ridicolo». La paura, anzi, deve cedere il posto all’entusiasmo. «È come andare dal benzinaio: invece di andare ogni giorno a mettere 5 euro di benzina, si fa direttamente il pieno e l’autonomia dura per più tempo». Lo stesso vale per il corpo-macchina, come ci spiega l’infettivologo Perri: «Si mette tutto il necessario per sei mesi o un anno ed a quel punto, pian piano, da una sorta di deposito che abbiamo nei tessuti connettivi e sottocutanei, con un ritmo regolare ogni giorno entra in circolo quella quantità di farmaco necessaria per sopprimere il virus» (Vaccinazioni con un microchip. “Ecco perché il futuro è questo”, “Il Giornale.it” del 13 aprile 2021). Come alcuni compagni greci hanno scritto parecchi mesi fa, quelli a mRNA non sono propriamente dei vaccini, bensì delle piattaforme biotecnologiche. Sono progettati sì per stimolare la produzione di anticorpi come tutti i vaccini, ma il fatto che siano delle fiale è del tutto occasionale (e fuorviante). Avendo lo scopo di trasmettere al corpo delle “informazioni genetiche”, il mezzo di trasmissione è irrilevante: può diventare una pillola, uno spray, un cerotto, delle gocce o un microchip. Le informazioni, tuttavia, non vengono solo inserite, ma anche estratte. I dati sanitari che, attraverso questa vaccinazione di massa, la tecno-industria sta raccogliendo da milioni di corpi saranno a loro volta incorporati nelle future terapie digitali.
Una società non è fatta solo di infrastrutture, ma anche di cultura, di morale, di ideologia. Ed è anche in tal senso che lavora il nemico. Ciò che rende grave l’obbligo vaccinale (la sua applicazione al personale sanitario non è che la prima tappa), non è solo la militarizzazione del lavoro che permette, ma anche l’ideologia che veicola. La cura di ogni malattia ha un “costo sociale”, per cui ogni scelta si riflette in un ambito collettivo. Questo non vale ovviamente per ciò che l’attività capitalistica provoca. Le “evidenze scientifiche” al riguardo – sull’inquinamento, sulle radiazioni, sull’artificializzazione del cibo, sui pesticidi, sull’aggressione chimica al sistema immunitario… – non sono affatto prescrittive. Sono parole al vento, a meno che un movimento reale non le traduca in resistenza attiva, in attacco. La salute individuale, invece, può diventare all’occorrenza un imperativo collettivo. E sempre più lo sarà in futuro. La tua obesità, il tuo diabete o la tua ostinazione a fumare sono un costo per gli altri. Rifiuterai di seguire le tele-prescrizioni del tuo medico, elaborate per te dall’Intelligenza Artificiale che analizza in tempo reale i dati raccolti attraverso il nano-sensore che ti ho proposto di ingerire? Magari non potrò obbligarti, ma posso aumentare la tua polizza sanitaria e anche quella assicurativa. Non è fantapolitica: è ciò che da anni succede già negli Stati Uniti.
È in tale contesto storico-sociale che va collocata questa sperimentazione biomedica di massa, che corona un anno di telelavoro, telescuola e “distanziamento sociale” in nome della “responsabilità collettiva”.
A leggere quello che si scrive nel “movimento” – la scienza come fattore di progresso, l’importanza dei vaccini nella storia ecc. – sembra invece di essere all’epoca di Louis Pasteur e di Rosa Luxemburg…
È senz’altro curioso che chi sostiene che tutto nella società capitalistica soggiace alla logica del profitto e ai rapporti di forza tra le classi consideri una sorta di valore universale proprio la “scienza”, elemento sempre più centrale nei processi di valorizzazione capitalistica.
Tra gli infiniti esempi che si potrebbero fare su ciò che avviene della teoria scientifica all’interno dei progetti della tecno-industria, prendiamo proprio i vaccini m-RNA, prodotti dalla convergenza di Intelligenza Artificiale, bio-informatica, ingegneria genetica, nanotecnologia e biologia sintetica.
Esiste, nella storia della biologia molecolare, ciò che è stato definito per diverso tempo il suo «dogma centrale» (proposto nel 1958 da Francis Crick e poi ripreso da James Watson): l’informazione genetica fluisce dal DNA all’RNA e alle proteine, ma non può andare in direzione inversa. Ora, questo “dogma” è stato ampiamente confutato nei decenni scorsi, a favore di una visione decisamente più complessa dei percorsi metabolici che portano alla sintesi degli enzimi e delle proteine. Eccolo però ricomparire in pieno, incorporato – è proprio il caso di dirlo – nei vaccini m-RNA, accompagnato dalle rassicurazioni che l’azione di questi ultimi non può in alcun caso modificare l’espressione genica dei corpi. La ragione non è affatto “scientifica”, bensì legata ai modi e ai tempi della produzione industriale. Quella visione riduzionista dei processi metabolici, infatti, è semplicemente il modello più efficace di analizzare e sequenziare frammenti di DNA al computer, il più rapido per rendere disponibili le visualizzazioni e fare dei calcoli. Genomica, trascrittomica, proteomica dipendono dai poteri e dalle capacità dei computer (e dei loro programmatori) di modellare sistemi complessi, che poi la biologia sintetica o la nanotecnologia costruiscono in laboratorio. Il modo di agire di una proteina, una volta sintetizzata, prevede un complesso sistema di attivazioni e di interruzioni, di cascate, di cicli retroattivi, di meccanismi regolatori, di processi epigenetici. «Le relazioni in gioco, anche a livello cellulare, sono stocastiche, aperte e non chiuse, dunque probabilistiche» (Nikolas Rose, La politica della vita. Biomedicina, potere e soggettività nel XXI secolo, Einaudi, Torino, 2008). Insomma, se i vaccini mRNA sono senz’altro un passo avanti nel bricolage biotecnologico, dal punto di vista del sapere scientifico che inglobano sono una regressione di diversi decenni. Questo per gli amanti della scienza. Oscurantista non è allora chi mette in guardia sulle incognite a medio-lungo termini delle biotecnologie, ma proprio chi dice: «I vantaggi sono maggiori dei rischi. Avanti tutta!».
Grazie, mi difendo da solo
Se i sindacati confederali hanno subito assicurato il loro servile plauso all’obbligo vaccinale per il personale sanitario (plauso che l’immondo Landini aveva annunciato con largo anticipo), l’Unione Sindacale di base e il S.I. Cobas si sono espressi contro (i loro comunicati sono leggibili nei rispettivi siti). Entrambi i sindacati sono esplicitamente e convintamente a favore di questi vaccini, senza nemmeno mezzo accenno al fatto che si tratta di organismi geneticamente modificati mai sperimentati prima sugli esseri umani (i riferimenti sono all’importanza dei vaccini nella storia, alla profilassi di massa… contro la poliomelite). Nel caso dell’USB, la contrarietà all’obbligo è piuttosto formale, non accompagnata da alcuna dichiarazione di impegno per difendere quei lavoratori e quelle lavoratrici che dovessero subire la sospensione. Il S.I. Cobas, invece, si impegna in loro difesa. La difesa di «casi limitati» (quando in realtà a non volersi vaccinare sono decine di migliaia), la difesa di un rifiuto non solo non condiviso, ma ritenuto legato a un «un insieme di ragioni in cui convergono dubbi, paure individuali, pregiudizi e cattiva informazione», la difesa di «chi, fra il personale sanitario, ha paura, dubbi, incertezze» perché «in balia di una marea di dati confusi»; la difesa di chi non ha capito «che i vaccini rappresentano un mezzo di protezione della popolazione e specialmente delle classi più povere, quelle che pagano il tributo più alto nelle pandemie». Insomma, ti difendo perché sei la vittima sacrificale su cui si scaricano le responsabilità di una gestione classista e disastrosa dell’epidemia; perché sei emotivo, impaurito e disinformato. Su queste basi paternalistiche si costruiscono senz’altro grandi battaglie.
Lasciando perdere l’ambito più stretto dei compagni, conosciamo sia medici sia – soprattutto – infermieri ed operatori socio-sanitari che si stanno organizzando contro l’obbligo vaccinale. Si tratta di medici già attivi in passato nel denunciare le diverse nocività ambientali (sulle quali i dirigenti sanitari, così impregnati di etica professionale nel caso di questi vaccini, sono sempre stati responsabilmente in silenzio), ma che si rifiutano di somministrare qualcosa i cui effetti a medio-lungo termine sono del tutto sconosciuti. Si tratta di infermiere che lavorano nei reparti Covid degli ospedali, alle quali non va certo spiegato che la situazione nelle terapie intensive è drammatica. Si tratta di operatori socio-sanitari che hanno chiesto di essere mandati nelle RSA riservate ai malati di Covid. Alla logica della vaccinazione di massa (a prescindere dall’età, dallo stato di salute, dal grado di immunizzazione naturale raggiunto) non contrappongono… la rivoluzione sociale, ma l’attivazione immediata di un sistema di cure tempestive a domicilio, una medicina del territorio non ospedale-centrica, a cui la macchina delle vaccinazioni – e poi rivaccinazioni – sottrae e sottrarrà ulteriormente personale e risorse. Alcuni di loro, tra l’altro, sono assai preparati anche sugli aspetti strettamente scientifici legati a questi vaccini, forse più dei sindacalisti che dichiarano di volerli difendere.
Individui con cui, se si vuole, si può lottare. Da pari a pari.
Per quanto ci riguarda, queste diserzioni dal fronte militar-vaccinale – provenienti tra l’altro proprio dalle “prime linee” – sono un importante segnale di resistenza, una preziosa occasione per affermare con forza che questo ordine sociale è sempre più incompatibile con la salute e con la vita, e che i suoi Rimedi sono parte integrante del disastro.