Processo all’italiana. Aggiornamenti sul processo a Mansour, Alì e Anan (trasferito nel carcere di Melfi)

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Riceviamo e diffondiamo:

Processo all’italiana

Si allungano i tempi del processo ai tre palestinesi ed Anan viene trasferito

Aggiornamenti di settembre sul processo ad Anan, Alì e Mansour.

Il processo ad Anan, Alì, e Mansour si è contraddistinto per numerose anomalie, a partire dal fatto che non si comprende né di quali fatti specifici siano accusati né se il loro presunto reato, cioè sostenere la legittima resistenza contro l’occupazione coloniale, sia perseguibile da un tribunale Italiano, a meno che la corte di assise dell’Aquila non pretenda di sostenere che difendersi da un genocidio, che è sotto gli occhi del mondo, sia un reato.

Queste anomalie accompagnano il processo dal suo inizio. Infatti Anan era stato originariamente arrestato per una richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane, la richiesta era stata rifiutata ma l’esule palestinese non è potuto uscire di prigione perché è immediatamente stato raggiunto da un mandato di cattura da parte delle autorità italiane. Questo fatto è già di per se un inequivocabile esempio del servilismo dello stato italiano verso quello israeliano.

A questo va aggiunto il fatto che la pubblico ministero ha presentato come prove documenti dei servizi segreti israeliani che non sono utilizzabili in un processo penale, ed il fatto che che le memorie dei telefoni di Anan, sequestrate dagli inquirenti italiani, sono state passate ai colleghi israeliani ed utilizzate per individuare ed uccidere persone in Cisgiordania, fornendo una drammatica prova di come le istituzioni italiane sostengano la guerra algoritmica, ovvero la capacità di Israele di utilizzare tecnologie avanzate per identificare, controllare ed uccidere persone. Da tutti questi elementi si deduce il forte intreccio sul piano militare, poliziesco e dei servizi segreti tra Italia e Israele di cui questo processo è un lampante esempio. Siamo di fronte ad un processo per procura, istruito in Italia al fine di compiacere e sostenere gli alleati israeliani.

Per quanto riguarda le anomalie va aggiunto che nella udienza dell’8 settembre scorso c’è stata una novità, la giudice a latere è stata trasferita ad altra sede. Se Prima di questo fuoriprogramma era stata stabilita la data della sentenza, ora il termine del processo si prolunga a tempi non ancora definiti.

La fretta di chiudere questo procedimento è sempre stata evidente tanto che si stava arrivando a sentenza dopo pochi mesi dall’inizio. Per raggiungere questo obiettivo la corte aveva addirittura rifiutato la maggior parte dei testi della difesa e le udienze si susseguivano a tappe forzate, creando difficoltà agli avvocati e limitando il loro diritto a prepararsi adeguatamente. Il giudice si proponeva di concludere il processo entro l’estate, nel momento in cui l’attenzione sul caso e la capacità di mobilitazione dei solidali è più bassa. Ma il processo non è finito nei tempi previsti ed ora rischia di andare a sentenza proprio nel momento in cui c’è la massima attenzione verso la questione palestinese. Concludere il processo ora, con l’Italia che rischia di essere paralizzata dalle proteste, trasformerebbe in un autogol quello che doveva essere un assist ad Israele, visto che il caso dei tre palestinesi è uno degli argomenti della mobilitazione.

Concludere ora, qualsiasi sia l’esito, sarebbe un danno per i sostenitori di Israele. Infatti, se i tre venissero condannati, questa sarebbe ritenuta, dal movimento di sostegno alla Palestina, una prova della complicità delle istituzioni italiane con il genocidio in corso e quindi un’ulteriore ragione per mobilitarsi. Se invece venissero assolti, il governo italiano si ritroverebbe un simbolo della resistenza palestinese, Anan Yaeesh, al cento dell’attenzione, libero di parlare e di dare il suo contributo, nel pieno di una mobilitazione permanente che si fa di giorno in giorno più diffusa e radicale e che spaventa i nostri governanti.

Proprio quella della resistenza è una questione fondamentale che si pone al variegato movimento di solidarietà con la Palestina. Un argomento che fa paura a chi governa, infatti è evidente che è solo grazie alla sua formidabile resistenza che il popolo Palestinese esiste e vive sulla sua terra. Questa resistenza ci riguarda non solo perché è l’elemento centrale della lotta in difesa della Palestina, ma anche perché ci aiuta a comprendere come non siamo noi a difendere i palestinesi ma i palestinesi a difendere noi, lottando contro un sistema capitalista inumano e pronto ad uccidere centinaia di migliaia di persone per fare profitti, lo stesso sistema che decide delle nostre vite. Quanto accade il Palestina è un monito per tutti gli sfruttati.

Nel frattempo, il 21 settembre scorso si è svolto presso il carcere di Terni un presidio molto partecipato in solidarietà ad Anan. Nei giorni seguenti il partigiano palestinese è stato trasferito nel penitenziario di Melfi. Si tratta di un’ennesima vigliacca ritorsione contro un prigioniero che è già in una sezione di Alta Sicurezza da due anni in seguito ad un processo farsa.

In queste carceri speciali sono già rinchiuse molte persone con l’accusa di terrorismo internazionale.

Nei processi per questi reati spesso le prove sono incerte ma le condanne sicure. Questo permette a magistrati e sbirri di fare carriera ed allo Stato di sventolare lo spettro del terrorismo per limitare la libertà di tutti e per spaventare ed assoggettare la popolazione. Solitamente a questi casi quasi nessuno si interessa e probabilmente, in maniera analoga a questi casi, si sarebbe dovuta concludere la vicenda dei tre palestinesi.

Ma chi li ha perseguitarli ha fatto dei calcoli sbagliati, i tre sono colpevoli di essere palestinesi, e grazie al grande sostegno per la loro causa un processo per procura si sta trasformando in una grande figuraccia per lo Stato. Abbiamo sempre visto questo processo come un processo politico con la sentenza già scritta, oggi che la questione è uscita dall’ombra di un tribunale di provincia, condannare senza conseguenze i tre non è più così scontato.

Complici e solidali