Chi ha paura dell’Anarchia? Su alcune denunce per blocco stradale a Padova

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Riceviamo e diffondiamo:

La repressione ha sempre avuto gambe lunghe e piedi piatti

Chi ha paura dell’Anarchia?

Sul reato di blocco stradale contestato ad un compagno ed una compagna di Padova

La repressione ha sempre avuto gambe lunghe e piedi piatti. Gambe lunghe, che superano ogni porta, cancello e siepe per cercare di prenderti; piedi piatti, per schiacciare tutto omogeneamente e sommariamente, senza farsi troppi pensieri sugli spazi sottostanti. Se di queste conformazioni fisiche della controparte in divisa avevamo ben coscienza da tempo, non ci aspettavamo certo di vederla diventare finta invalida e al contempo centometrista. Ma facciamo un passo indietro: durante il beneamato sciopero del 3 ottobre (amato perché si sa che non c’è gioia più grande che non lavorare), in tutta Italia, nelle strade, nelle piazze e anche nelle carceri (come alla Dozza di Bologna) succedevano accadimenti e vicende a sostegno del popolo palestinese. Così che anche a Padova in tanti e tante si è saltato lavoro, scuola, università o anche solo tempo libero per protestare contro l’entità sionista, che occupa territori palestinesi e porta avanti il suo genocidio di Stato.

Le manifestazioni locali ci portano quindi all’interporto di Padova, dove un nutrito corteo va a contestare la presenza della Maersk (azienda che trasporta ben più che beni di prima necessità). Sulle modalità del corteo e sul resto non diremo molto di più, chi era presente ha ben visto cosa è successo e come è stata gestita la piazza, e chi vuole può trarre da sé le conclusioni che ritiene giuste. Quello che di sicuro ci siamo portati a casa è un sentimento di rabbia contro la società dello spettacolo che si rappresenta uguale sia dentro che fuori la manifestazione.

Si apprende dai giornali che, durante suddetto girotondo e durante la suddetta manifestazione, 60 anarchici (magari!) avrebbero bloccato un camion lungo il percorso. Sempre stando alle dichiarazioni della stampa, pare che quel camion dovesse trasportare a destinazione un carico importantissimo, ma che la manifestazione e questi suddetti 60 anarchici (magari! di nuovo) l’avrebbero bloccato. Possiamo solo immaginare cosa veniva portato dentro il camion: l’elisir di eterna giovinezza? La pietra filosofale? Purtroppo non lo sapremo mai e quindi ci limiteremo a raccontarvi dei fatti accaduti.

È un po’ complesso parlare di blocco stradale quando un blocco stradale non c’è stato, così come è complesso parlare di manifestazione non autorizzata mentre è in corso nello stesso luogo, nello stesso posto e nello stesso tempo un’altra manifestazione. Eppure a quanto pare due persone che camminano in mezzo alla strada (e pure sulle strisce pedonali a dirla tutta), così come il resto della manifestazione, sarebbero statx promotore e promotrice di un blocco stradale e di una manifestazione non autorizzata. Sui fatti specifici non c’è molto da dire, perchè non sussiste nulla: su una strada già bloccata da una manifestazione, in cui non si può né uscire né passare, è davvero possibile fare un ulteriore blocco stradale? E, essendo dentro una manifestazione, nello stesso posto e nello stesso tempo, è davvero possibile fare un’altra manifestazione?

Ma per fortuna a queste domande a cui da qualche riga non troviamo risposta, abbiamo chi ci può indicare la via. La repressione finta invalida infatti fa finta di non vedere l’ovvietà dell’assurdità delle accuse mosse, e quindi al termine della manifestazione segue e insegue un compagno e una compagna per fargli fare una gioiosa gita in questura, durante la quale viene comunicato ad entrambi l’apertura di un’indagine per manifestazione non autorizzata, alla compagna una violazione del foglio di via da Padova (un altro degli scherzetti della questura per questo interessante 2025) e al compagno un avviso orale (condito di rassicurazioni sulla possibilità di ottenere in futuro anche una bella sorveglianza speciale). La domanda che sorge spontanea è perché proprio a queste due persone venga imputato un reato che non sussiste (ma su questo torneremo dopo).

Fin qui la riproduzione della repressione non è qualcosa di non visto: processi inventati, accuse infondate e giustizia sommaria sono questioni trite e ritrite. Entra quindi in gioco il vero elemento di novità della vicenda: la repressione centometrista. Come infatti avrete potuto leggere, in questura non viene contestato subito il reato di blocco stradale. Come fanno quindi il compagno e la compagna ad esserne a conoscenza? Beh perchè poco più di un mese dopo dall’apertura dell’indagine, è arrivata anche la chiusura. Le chiusure indagini di solito impiegano mesi, se non anni per essere notificate: infatti in Italia l’unica cosa che ci è sempre andata bene è la lentezza della burocrazia e delle scartoffie, che compagni e compagne dal resto d’Europa ci invidiano ardentemente.

La domanda che sorge quindi spontanea è: perché arriva una chiusura indagine dopo un mese per un fatto che non sussiste? Perché sono stati fermati proprio quel compagno e quella compagna? Torniamo quindi alla domanda di cui sopra a cui diamo una risposta con un’altra domanda: Chi ha paura dell’Anarchia? Eh sì, perché le due persone fermate sono così definite dalla giustizia locale: anarchici.

Non è un caso che da settembre a questa parte diverse indagini di polizia, di cui siamo a conoscenza sempre leggendo dai giornali, abbiano portato ad indagare persone, che pare siano afferenti alla cosiddetta area anarchica. A settembre, infatti tre compagnx si vedevano entrare in casa sgherri in divisa, che accusavano, udite udite, del gravissimo reato di “striscioni appesi”: dalle foto sui giornali, apprendiamo fossero in solidarietà ad Alfredo Cospito, Mohamed Awad Attia ed ad alcune compagnx indagatx nei processi a Torino e Milano per i cortei contro il 41bis della stagione di lotta a fianco di Alfredo. Istigazione a delinquere e ricettazione i reati contestati.

Parlando di quei mesi di lotta per e con Alfredo contro il 41bis, si nota un parallelismo quasi lineare. In coda a quel periodo, due anni e mezzo fa, sempre a Padova, tra l’altro al compagno accusato di blocco stradale in questa vicenda, piombavano in casa le guardie. I reati contestati allora? Istigazione a delinquere e imbrattamento (compagno poi assolto in primo capitolo sempre durante questo movimentato autunno). Ma cos’altro accomuna questi due momenti? Beh, viene da pensare che in una città pacificata come è Padova una compagine anarchica venga vista un po’ come un elemento, che esce dagli oliati sistemi di pacificazione cittadina.

Qui lo diciamo chiaro: gli ultimi reati contestati e le perquisizioni ‒ di adesso, come di allora ‒ fanno parte di un unico grande schema repressivo. Ogni volta che c’è la sensazione che esista una componente rilevante di anarchicx nel contesto patavino, la risposta immediata è quella dell’intimidazione. In primo luogo verso lx compagnx che si ritrovano a dover affrontare procedimenti penali per nulla, in secondo luogo per le persone che potrebbero avvicinarsi a questa suddetta area, che vengono intimorite indirettamente dal rischio di denunce indagini e quant’altro. Ed infine, la famosa teoria dell’accumulo, per cui più accuse senza senso ti do più, se un giorno mi va di darti una misura cautelare, ho terreno di manovra per richiederla. Pacificazione e Repressione diventano fenomeni contigui. La repressione come mezzo di pacificazione e la pacificazione come repressione interna, in uno spettacolo che si ripete sempre uguale dentro e fuori gli ambienti antagonisti.

Fortuna vuole che il vittimismo (anch’esso figlio non riconosciuto della pacificazione) non sia qualcosa che ci appartiene, così come non ci appartiene il qualunquismo sensazionalista di chi dice che finiremo tuttx in galera. Parlare della repressione e fare considerazioni sulla stessa servono per osservare in maniera materiale la realtà che ci circonda. Capire come si muove la repressione nel nostro contesto geografico e capire come affrontarla al meglio. Per ribadire il concetto che non dobbiamo farci intimidire da accuse fasulle e inventate. Per dire che se il conflitto (politico o giudiziario che sia) viene a bussare alla porta saremo prontx ad accoglierlo a braccia aperte.

Per dire ancora una volta, e non ci stancheremo, che finché sussisteranno le motivazioni delle nostre lotte, ci troverete, vostro malgrado, tra i vostri piatti e fetidi piedi.

Se questa storia ci insegna qualcosa, e non ne siamo per forza certx, è che hanno più paura loro di noi, che noi di loro.