Roma, 13 dicembre: Carcere e guerra. Incontro con Mansoor Adayfi

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Riceviamo e diffondiamo:

Carcere e guerra, incontro con Mansoor Adayfi

SABATO 13.12 H 19 PARCO DELLE ENERGIE – VIA PRENESTINA 175 – ROMA

Mansoor Adyfi è un ex prigioniero del campo di concentramento di Guantánamo, dove è stato detenuto per oltre 14 anni senza che fosse mai formulata nei suoi confronti nessuna accusa.

Guantánamo è un carcere di guerra statunitense attivo dal 2002, per la lotta al cosiddetto terrorismo, dove vige un perenne stato di eccezione, si opera in condizioni di extra territorialità ed extra legalità, ed i detenuti subiscono torture, privazioni, e una detenzione arbitraria.

Nel 2016 Mansoor Adyfi è stato consegnato alla Serbia e ha iniziato una lotta per costruirsi una nuova vita e per liberarsi dalla classificazione di sospetto terrorista.

Oggi è uno scrittore ed avvocato ed è l’autore del libro don’t forget us here, lost and found at Guantánamo. A partire dalla sua esperienza di prigioniero a Guantánamo ha pubblicato articoli, rilasciato interviste, partecipato a documentari, programmi radio e podcast. Mansoor Adayfi è inoltre un attivista di CAGE international, organizzazione che sta supportando Prisoners for Palestine. A dimostrazione della censura in vigore verso chi difende la causa palestinese è stata bloccata la spedizione del suo libro in Italia e gli è stato concesso un visto di soli pochi giorni, motivo per il quale potrà tenere un numero limitato di iniziative.

Con questo incontro vogliamo approfondire la conoscenza dei dispositivi contro-insurrezionali usati dagli Stati colonialisti per supportare le loro aggressioni. L’utilizzo di questi strumenti viene sempre giustificato tramite la narrazione della “lotta al terrorismo”. Vediamo, ad esempio, come riguardo alla situazione in Palestina i governi occidentali, mentre non compiono alcun atto concreto contro il genocidio attuato da sionisti, sono sempre pronti a delegittimare la resistenza palestinese e a censurare, criminalizzare, reprimere ogni forma di solidarietà verso il popolo palestinese che vada al di la dell’umanitarismo di facciata. L’accusa di terrorismo è quindi sempre pronta per essere utilizzata contro chi sostiene la Palestina.

Noi invece vogliamo ribadire che la liberazione dal colonialismo passa attraverso l’autodeterminazione degli oppressi e quindi tramite la lotta che assume la forma della resistenza. Per noi solidarietà verso la Palestina significa quindi dare legittimità alla resistenza, contrastare ogni forma di collaborazionismo con Israele e smascherare tutta la narrazione mistificatoria a partire appunto da quella della ”war on terror” nata dal Patriot Act del 2001 e diffusasi in tutto il mondo.

Dobbiamo inoltre considerare come i dispositivi repressivi sperimentati ed utilizzati nei territori colonizzati possono “tornare indietro” ed essere utilizzati per la repressione all’interno dell’occidente. Basti pensare a quel vero e proprio carcere di guerra che è il 41 bis in Italia (utilizzato anche per la repressione politica) ed alle sue analogie con strutture di tortura e annientamento quali Guantánamo; oppure alla detenzione amministrativa usata tanto contro migliaia di prigionieri palestinesi quanto contro i “senza documenti” nei CPR italiani, oppure ai dispositivi di spionaggio, schedatura e controllo, all’utilizzo dell’intelligenza artificiale come strumento poliziesco e militare, che Israele sviluppa grazie alla collaborazione con le università occidentali, sperimenta contro i palestinesi e poi rivende all’estero. Riteniamo importante quindi conoscere questi dispositivi anche per difendersi qui. In particolare in un periodo in cui si manifestano una crescente crisi economica ed una tendenza alla guerra, alimentata da politiche militariste (vedi l’aumento delle spese militari e il ritorno della leva obbligatoria). In questa situazione la normalizzazione del fronte interno, l’aumento di repressione, controllo e censura, l’attacco agli sfruttati, agli esclusi, ai movimenti di lotta è più che probabile. Riteniamo necessario per le classi sfruttate comprendere questa realtà ed attrezzarci per contrastarla.

Nel corso di questo incontro parleremo dello sciopero delle prigioniere e dei prigionieri di Palestine Action nelle carceri britanniche.

Al momento vi sono sette “Prisoners For Palestine” in sciopero della fame, di cui tre ospedalizzati, ed alcuni di loro hanno annunciato di volerlo portare avanti ad oltranza. Altri trentatré prigionieri si uniranno allo sciopero, uno di loro Sean Midddlebrough ha colto l’occasione di un permesso di qualche giorno per darsi alla macchia ed è al momento irrintracciabile, ha rilasciato dichiarazioni con cui rivendica il suo gesto come il rifiuto di essere «un prigioniero di guerra dello Stato d’Israele in una prigione britannica». Fuori dalle carceri ci sono state manifestazioni di solidarietà, mentre proseguono le azioni dirette contro le aziende legate a Elbit Systems (fabbrica che produce droni e sistemi di sorveglianza) di cui gli scioperanti chiedono la chiusura degli stabilimenti nel Regno Unito.

Lo sciopero della fame dei detenuti inglesi ha assunto un carattere internazionale, hanno aderito anche Jakhy McCray negli Stati Uniti (recluso per l’incendio di alcuni mezzi della polizia di New York) e Dimitris Chatzivasileiadis prigioniero in Grecia. Hanno fatto arrivare la loro solidarietà i prigionieri palestinesi e Georges Ibrahim Abdallah. In Italia hanno supportato lo sciopero, con varie modalità di protesta, i prigionieri anarchici Luca Dolce (Stecco) – che ha tenuto uno sciopero della fame dal 8 al 29 novembre – , Juan Sorroche e Massimo Passamani.

A dimostrazione che Israele è l’avanguardia della repressione e che nello Stato sionista si sviluppano e sperimentano le pratiche e le tecnologie repressive che in seguito si esportano altrove, parleremo anche dello sciopero dei prigionieri comunisti turchi, rinchiusi nelle celle pozzo. Si tratta di cubicoli di cemento, introdotti recentemente in Turchia come forma di isolamento estremo e di tortura psicologica, e che sono lo stesso tipo di cella che da anni Israele utilizza per annientare i prigionieri palestinesi.

In questo contesto affronteremo inoltre la questione della repressione che lo Stato italiano sta conducendo – con crescente aggressività – verso i e le palestinesi e le persone solidali con il popolo palestinese. L’Italia è un paese che nella sua politica estera persegue gli interessi delle proprie multinazionali (ENI e LEONARDO). In Asia occidentale ha da tempo abbandonato politiche autonome ed equidistanti per porsi come piattaforma logistica dell’esercito statunitense e spalleggiare i piani espansionistici dei sionisti, anche facendo lo sbirro per Israele.

Tra i vari casi di questa attività poliziesca ricordiamo la condanna di Tarek Didri a 4 anni e 8 mesi di carcere, per avere difeso i manifestanti caricati dalla polizia al corteo del 5 ottobre 2024 di Roma; Ahmad Saled, un richiedente asilo di 24 anni rinchiuso da 6 mesi nel carcere di Rossano Calabro, con il capo di accusa di 270 quinquies (il cosiddetto terrorismo della parola introdotto recentemente), questo per dei semplici video che circolano liberamente in rete e in TV che gli sono stati trovati sul telefonino al momento della richiesta di asilo, che contenevano un invito al popolo arabo a mobilitarsi e scendere nelle strade a fianco dei loro fratelli e sorelle palestinesi; Mohamed Shahin, imam della moschea di S. Salvario a Torino, colpito da decreto di espulsione e trattenuto nel CPR di Caltanissetta, per le sue dichiarazioni a sostegno della resistenza palestinese e dell’attacco del 7 ottobre.

Tramite questa iniziativa daremo il nostro contributo alla giornata nazionale di mobilitazione in sostegno ad Anan Alì e Mansour. I tre palestinesi sono sotto processo a l’Aquila con l’accusa di terrorismo internazionale, ma per noi sono persone che hanno giustamente difeso la loro terra dal colonialismo. Il loro è un processo farsa, istruito dalle autorità italiane per esaudire la richiesta di Israele di colpire Anan, storico e dichiarato membro della resistenza della Cisgiordania.

Nelle ultime udienze abbiamo assistito alla presenza di funzionari dello Stato sionista in sostegno all’accusa, ovvero i tribunali italiani chiamano i responsabili di un genocidio a testimoniare contro chi lotta contro questo genocidio. Questo odioso atto di servilismo è ben rappresentato dalla dichiarazione, rilasciata in videoconferenza dal carcere di alta sicurezza di Melfi, da Anan:

“È successo in passato, e mi sono trovato di fronte a testimoni israeliani, ma era in un tribunale militare israeliano, di fronte alla giustizia militare all’interno di Israele. Ma non mi aspettavo, né attendevo, di dovermi trovare ancora una volta ad ascoltare la testimonianza dell’esercito israeliano che occupa la nostra terra e che pratica la pulizia etnica contro il nostro popolo palestinese, e che il loro Primo Ministro, condannato dalla Corte Internazionale come criminale di guerra, fosse un testimone contro di me in un tribunale italiano.

Non so più se mi trovo in un tribunale Israeliano e se vengo processato in base alla legge militare israeliana, e se il pubblico ministero sia israeliano o lavori per conto di Israele. Sarà forse un processo militare israeliano, Israele ha davvero così tanta influenza in Italia?

Si è inoltre tenuta la requisitoria della pubblico ministero la quale, nonostante nel dibattimento non sia mai riuscita a dimostrare nulla delle accuse rivolte ai tre, ha richiesto pesanti condanne, 12 anni per Anan, 9 per Alì, 7 per Mansour.

Di fatto queste pesanti pene sono quelle che richiede il codice per le accuse loro rivolte, la questione che si pone è che queste accuse sono infondate. Va inoltre ricordato che in Italia esistono le leggi antiterrorismo (ad esempio l’art. 270 bis ed i suoi derivati) che permettono di infliggere pesanti pene a partire da accuse fumose ed aleatorie, l’Italia in fatto di repressione politica non ha nulla da invidiare a nessuno.

Il processo farsa dell’Aquila, è la dimostrazione dell’asservimento della magistratura italiana agli assassini israeliani e della complicità del governo italiano con il genocidio in corso in Asia occidentale. Difendere la Palestina significa anche difendere i Palestinesi in Europa colpiti dalla longa manus di Israele e sostenere il diritto dei palestinesi a difendere la loro terra con i mezzi necessari.

Il 13 dicembre si terrà una giornata nazionale di mobilitazione diffusa in solidarietà con Anan, Alì e Mansour.

Il 19 Dicembre si terrà al tribunale di l’Aquila un’importante udienza del processo ad Anan, Alì e Mansour. In questà data parlerà la difesa e potrebbe essere emessa la sentenza.

Invitiamo da ora tutte e tutti i solidali a partecipare al presidio che si terrà a partire dalle ore 9.30 al tribunale de L’Aquila in via 20 settembre 66.