Ubu Re nell’èra della tecnocrazia

Se è di un’evidenza abbacinante la natura suprematista e colonialista del “piano Trump” per Gaza, forse l’aggettivo più corretto per definire il discorso con cui il presidente degli Stati Uniti lo ha annunciato è «ubuesco». Soltanto la penna di un Alfred Jarry, infatti, avrebbe potuto descrivere un potere a tal punto mostruoso nei mezzi e grottesco nelle pretese. Alcune frasi di Ubu Roi – l’opera teatrale che l’autore francese scrisse nel 1896 – si sarebbero incastonate alla perfezione nella conferenza di Trump. L’immobiliarista statunitense, con a fianco il suo amico genocida, ha promesso una vita piena di prosperità a una popolazione che vive in un carcere di massima sicurezza, in mezzo a una distesa di rovine, tra la fame e le bombe. Non diversamente da Ubu Re, che annunciava tronfio : «Va bene, acconsento a espormi per voi. […] Grazie a me, avrete di che cenare. […] Sono dispostissimo a diventare un sant’uomo, voglio essere vescovo e vedere il mio nome sul calendario».
Se la patafisica fondata da Jarry era «la scienza delle soluzioni immaginarie», noi viviamo nell’epoca in cui la tecnoscienza, togliendo ogni misura storica ai problemi, può offrire delle soluzioni eterne. Proprio così. In poche ore (72, per la precisione) ci si può avviare, se tutti fanno quello che dice Padre Ubu, verso una «pace eterna» in grado di risolvere per sempre un conflitto che va avanti da «due-tremila anni». Millennio più, millennio meno. Per vendere una soluzione eterna, il problema deve ben essere millenario. Circoscriverlo storicamente al progetto sionista, alla Dichiarazione Balfour, alla nascita dello Stato israeliano o alla «linea verde» oltrepassata da Israele nel 1967, non permetterebbe alla tecnoscienza delle soluzioni immaginarie di girare a pieno regime. Un immobiliarista che agisce per conto di Dio, un Padrone delle Finanze attorniato da transumanisti che vogliono colonizzare Marte, non è tenuto nemmeno a precisare tra chi e chi sarebbe in corso questo conflitto da «due-tremila anni». Ubu Re (quello di Jarry): «Dovete convincervi che se siete ancora vivi […], lo dovete alla virtù magnanima del Padrone delle Finanze, che si è affannato, sfacchinato e sgolato a recitare paternostri per la vostra salvezza […]. Abbiamo persino spinto oltre la nostra dedizione, perché non abbiamo esitato a salire su una roccia altissima affinché le nostre preghiere avessero meno strada da fare per giungere sino al cielo».
Come noto, non ci sono Soluzioni senza un Piano. «Gaza sarà riqualificata a beneficio della popolazione». Ci penserà il Consiglio di Amministrazione. «Questo organismo [il Board of Peace] si baserà sui migliori standard internazionali per creare una governance moderna ed efficiente al servizio della popolazione di Gaza e che favorisca l’attrazione di investimenti». Il Piano «sarà elaborato convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti e miracolose città moderne del Medio Oriente». Se la pace è «eterna», le città non possono essere niente meno che «miracolose». Altro che quartieri pieni di strade e vicoli o villaggi circondati dagli uliveti. «Sarà istituita una zona economica speciale con tariffe di accesso preferenziali da negoziare con i paesi partecipanti». «La Nuova Gaza sarà pienamente impegnata a costruire un’economia prospera».
Ubu Re (quello di Jarry): «Vi conduco verso una felicità che adesso non sareste nemmeno in grado di sognare. Solo io lo so». Io e altre «brave persone» – Erdogan, Tony Blair, il monarca dell’Arabia Saudita – le cui soluzioni non sono state meno eterne per i curdi, gl’iracheni e gli yemeniti. (Ed è certo solo un caso che Tony Blair sia anche consulente di British Petroleum, la multinazionale inglese intenzionata a sfruttare i giacimenti di gas al largo di Gaza.)
Maurice Genevoix, nel suo Un Jour (1976), aveva già aggiornato il ritratto dei tiranni ubueschi nell’èra della tecnocrazia: «saltimbanchi, persone designate per la loro pura omni-incompetenza, buoni a nulla con poteri mostruosi». Per concludere: «È il mondo alla rovescia, c’è da disperarsi». I buoni a nulla hanno oggi poteri ancora più mostruosi. Il potere di far sorgere «città miracolose» su decine di migliaia di cadaveri e sull’immane devastazione prodotti dal primo genocidio automatizzato della storia. Sicuri che i sopravvissuti – quelli che l’unità 8200 dell’esercito israeliano non ha trasformato in «spazzatura» algoritmica – sapranno cogliere «l’opportunità di costruire una Gaza migliore», grazie a un «comitato palestinese tecnocratico e politico». Un massacro tecnologicamente organizzato non può che avere una soluzione «tecnocratica». Messianico il primo, eterna la seconda. È un Piano mostruoso. Infatti anche le tecnocrazie russa e cinese sono d’accordo.
Circondati da specialisti omni-incompetenti di tutto ciò che è umano, di ciò che richiede soluzioni storiche e sociali commisurate a problemi storici e sociali, gli Ubu Re osano annunciare – Himalaya di infamia e di stupidità – che tra gli sterminatori e gli sfuggiti allo sterminio ci sarà una «convivenza pacifica», e che la vita futura di questi ultimi sarà «prospera» per gentile concessione dei suoi colonizzatori e di chi li ha sostenuti, finanziati e armati.
Mentre i commentatori stipendiati e i saltimbanchi politici scommettono sulla ubuizzazione dei nostri cervelli («È fattibile il piano Trump?», chiede l’elegante presentatrice all’immancabile esperto), c’è un unico argine agli ubueschi deliri di un potere insaziabile: la rivolta degli oppressi. La cui sacrosanta violenza potrà mantenere la misura della libertà solo conservando intatto il disgusto verso i mezzi mostruosi e disumani dei propri oppressori.