inutile Memoir, lontano dalle polemiche

Riceviamo e diffondiamo:
inutile Memoir, lontano dalle polemiche
all those beautiful boys/ kings and queens/ and criminal queers/ all those beautiful boys/ tattoos of ships and tattoos of tears
If you saw the younger you, what would you say to ‘em?
A chi ha occhi per guardarsi intorno sarà evidente, ancora una volta, la marginalità del dibattito in auge nell’ambiente anarchico, resa più grave, stavolta, dall’urgenza della contemporaneità: l’unica cosa che conta è Gaza, temo, e la noiosa ironia così come la rivoltante acrimonia che animano le parti in causa si capiscono meglio in quanto frutto di una frustrazione alimentata innanzitutto proprio dalla marginalità. Ma dato che anch’io all’ultimo atto di un genocidio secolare oppongo evidentemente ben poco oltre alla frustrazione, dato che gli ambienti li capisco sempre meno, e dato che il dibattito in questione per più motivi (ora non interessa quali) mi riguarda, partecipo individualmente alla gara di osservarsi l’ombelico e parto dal mio, facendo aneddotica, e condividendo stadi successivi di rielaborazione di un’esperienza personale maturata in germania una ventina di anni fa. Mi si perdoni quindi la narrazione interna, la favoletta senza morale, lo stile eccentrico e l’argomento collaterale.
All’epoca la queerness invadeva le strade della città che percepiva ancora se stessa, nonostante i fasti del ventennio precedente fossero già tramontati, come una delle capitali della conflittualità europea, in virtù appunto di una storia di riappropriazione degli spazi che era proprio ciò che mi aveva portato lì (Meinzer strasse, Kubat dreieck, i wagenplaetze…) con un habitus turistico che è adesso molto facile criticare, e che non costituisce però il tema centrale del racconto. La Humboldt Universitaet offriva da qualche anno un corso di laurea in gender studies, nelle Hausproject si leggevano Solanas, Preciado e Butler, il femminismo della terza ondata imponeva un’agenda trans, lesbica e separatista a tutti gli ambiti che si professassero Autonomen, portando inevitabilmente al confronto su questi temi anche i vari settori punk e insurrezionali, per non parlare di Antifa e Antideutsch. Le etichette, mi sembrava, funzionavano bene in germania, mentre si adattavano molto peggio alle persone che frequentavo in italia, dove era più diffusa la capacità, e la possibilità, di muoversi da un ambiente all’altro senza per forza professarsene adepti. Comunque le queer demo portavano in piazza a Berlino migliaia di persone che si identificavano nell’opposizione alla normatività capitalista e neoliberista, nel rifiuto dell’esistente e in un’utopia rivoluzionaria ancorché confusa e confusionaria (jedenfalls); e io ho partecipato, per poco meno di un anno, con un certo entusiasmo al movimento berlinese per quello che era, per ciò che vi trovavo, sforzandomi di prescindere da ciò che mi sarei aspettato di trovarvi. Durante una delle suddette affollate manifestazioni, l’amica ben inserita che mi faceva da Pigmalione mi spiegò: “vedi come sono tranquilli gli sbirri? sono felici che tutte le occupanti di case, le anarchiche che facevano gli scontri, le violente rivoluzionarie siano sparite dalla piazza, e che la piazza sia ormai piena di queers. Quello che non capiscono è che questi queers sono esattamente le stesse occupanti, anarchiche e rivoluzionarie di prima”; il che non era vero, ma esprimeva un’ambizione. L’affermazione peraltro strideva con la violenta repressione nelle strade ad opera della polizia, che osservavo quasi quotidianamente, in coincidenza con l’esplosione della Gentrifizierung in Friedrichshain e una serie impressionante di sgomberi di spazi definibili a vario titolo “liberi”. Purtroppo il criminal queering espresso nelle strade di Berlino nel 2006 e cantato da Anohny nell’esergo non aveva di per sé molto a che fare con l’autodifesa di un corteo, o di uno spazio occupato, o con i mezzi che attuano le rivoluzioni, cosa in parte confermata dal fatto che la mia amica avrebbe poi fatto carriera accademica, con belle pubblicazioni presso Seuil e il romantico rimpianto di non essere riuscita ad abbattere il capitalismo. Ora immagino che questo possa sdegnare molte di voi: io invece non me ne stupisco, non ci vedo un tradimento, e per questo ritengo di non avervi fatto la morale; anzi, se state ancora leggendo, se mi concederete il margine d’errore che io ho lasciato alla mia sodale berlinese, vorrei calare queste riflessioni e questa attitudine nel momento presente (se non vorrete farlo, beh siete delle persone orribili! perché discutere allora).
È chiaro come il sole che nemmeno il “movimento anarchico” (?) è mai stato esente da dinamiche autoritarie, prevaricazioni, violenze di ogni tipo e quindi sì, ci sono, vorrei dire ci sono ancora, omofobia, transfobia, machismo tra le altre cose brutte; è anche chiaro che, a distanza di un decennio almeno dall’arrivo di istanze fortemente critiche e accusatorie rivolte all’interno del movimento stesso riguardo questi temi, le reazioni sono state spesso assenti o inadeguate, quando non del tutto scomposte e ostili, e che questo rende difficile o impossibile ad alcun* anche solo frequentare certi ambienti. Urge quindi una presa in carico del problema, che ad ogni modo non si risolverà facilmente e certo non nello spazio di una generazione.
Dovrebbe essere però altrettanto chiaro che l’agire di molta di questa parte critica e accusatoria si è finora rivolto all’interno del movimento con una ferocia e una volontà di nuocere, nelle parole e nei fatti, che la stessa parte non riesce fuor di retorica a indirizzare all’esterno (siamo ancora in attesa di “bruciare tutto” dopo l’ennesimo stupro: e invece parrebbe che si voglia dar fuoco a un’occupazione “sessista” prima, più volentieri e piuttosto che a una questura), e che le modalità adottate in troppi frangenti hanno portato all’inazione o ancor peggio al sabotaggio di iniziative urgenti, in una logica del divide et impera in cui chi imperat, indovina un po’, è il nemico.
Ed ecco che infine si pone la questione dirimente, con la quale alla buona ora chiudo queste deboli pagine: siamo, sono, siete, sei ancora in grado di riconoscere il nemico? Al di là delle astrazioni concettuali e, ovviamente, del gioco delle parti e delle egemonie; altrimenti, non resta che augurarsi anche qui una gazificazione diffusa come cura dell’intellettualismo e bagno di realtà storicizzata.
We are smarter than they think we are
They take us all for idiots, but that’s their problem
When we behave like idiots, it becomes our problem
Con affetto, amarezza e ancora auspici.
V