Tesla & l’azzardo internazionalista

Ringraziando chi l’ha fatta, riceviamo e diffondiamo la traduzione di questo articolo apprso sulla rivista francese “La Houle” (n° 1, giugno 2024). Al di là della precisione storica (abbiamo qualche dubbio, ad esempio, sul carattere “anarco-sindacalista” dell’Internazionale Antiautoritaria del 1872…), si tratta di un insieme di riflessioni interessanti per un “internazionalismo senza comunità” e senza obblighi morali(stici), come quelli che hanno pesato su certi posizionamenti pseudo-libertari e militaristi riguardo la guerra in Ucraina.

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Tesla & l’azzardo internazionalista

A metà settembre a Francoforte un concessionario Tesla vede una parte del suo stock di veicoli elettrici sparire tra le fiamme. Inizio ottobre, oltre Reno, avviene un attacco simile contro un altro concessionario della ditta a Chambéry. Per due volte, si alza l’alba su dei parcheggi disseminati di carcasse calcinate.

Quando un’impresa si fa notare troppo

Quando ho saputo di questi due avvenimenti, mi sono chiesto, col sorriso sulle labbra, se Tesla fosse stata presa di mira spesso dopo la sua folgorante espansione e la mediatizzazione dell’ormai celebre Elon Musk[1]. Speravo proprio di sì, dato che, nel giro di qualche anno, questo padrone della Tech ha inviato centinaia di satelliti a bassa altitudine che gli hanno permesso, tra le altre cose, d’influire significativamente sull’inizio della guerra in Ucraina tramite i servizi di informazione della sua IA. Il successo e la potenza di questo fallocrate supera quella di molti Stati. A questo si aggiunge ovviamente la progettazione e la commercializzazione dei veicoli Tesla, elettrici e semi-autonomi (per il momento) che qui si diffondono ad una velocità inaudita.

Ecco in breve quello che ho trovato dopo un piccolo giro nella rete. Febbraio 2020 ad Amburgo, 13 automobili cosparse di bitume. Ottobre 2020 a Malmö in Svezia, 7 Tesla incendiate presso un concessionario. Maggio 2021 a Berlino, incendio dell’alimentazione elettrica del cantiere della Gigafactory. Giugno 2021 a Tolosa, un veicolo incendiato. Maggio 2023 nella provincia della Loire, un’auto vandalizzata. Settembre 2023 a Graz in Austria, diverse Tesla ricoperte di bitume. Febbraio 2024 a Berlino, due veicoli e due punti di ricarica incendiati. Marzo 2024 ancora a Berlino, nuovo attacco alla rete elettrica della Gigafactory, che blocca tutta la produzione per diversi giorni. Questa lista non è esaustiva [e va ricordato l’attacco di aprile 2025 a Roma, ndt].

Dunque è da qualche tempo che la multinazionale attira i fulmini di individui ostili al suo sviluppo. Notiamo qui, ad ogni buon fine, che dopo quella di Berlino è prevista un’altra Gigafactory Tesla in Europa, probabilmente nel Nord della Francia, nella “valle della batteria”, che punti di ricarica e veicoli parcheggiati pullulano per le strade e che molti altri concessionari vendono tranquillamente le loro merci tecnologiche.

Cos’è questa storia dell’azzardo ?

Torno un momento su quei due attacchi, evocati in esergo, che hanno suscitato il mio entusiasmo, preambolo a questo articolo. A meno di un mese di distanza, vengono realizzate due azioni molto simili, in due Paesi differenti. Stesso obiettivo, stessa modalità operativa. Potremmo immaginare che un gruppo – che dico, una brigata internazionale, si muova ormai sotto il naso dei doganieri e della polizia alle frontiere. L’ipotesi è seducente. Potremmo anche supporre che essendo venuti.e a conoscenza dell’attacco a Francoforte, dei.lle complici, in Francia, si siano organizzati.e per colpire tre settimane più tardi. Altra ipotesi seducente. Ahimé, la disparità politica che distingue i comunicati[2] e la distanza temporale molto ravvicinata tra i due colpi mi fanno propendere, frettolosamente ne convengo, per un’altra ipotesi. L’internazionalismo qui all’opera sarebbe quello dell’azzardo[3]! Ma in fondo che importa la fondatezza delle mie speculazioni, lasciamole agli sbirri.

La mia battuta sull’azzardo internazionalista ha piuttosto la finalità di mettere sul tavolo il fatto che Tesla sia divenuta un obiettivo pregiato in diversi Paesi, e di stendere sulla carta le mie prime riflessioni sulle prospettiva e l’efficacia dell’internazionalismo oggi.

Dalla polvere del passato…

Devo iniziare ammettendo che la mia generazione, in Francia, non si è per nulla politicizzata all’interno un panorama di riferimento internazionalista vitale. Al massimo ho (abbiamo?) letto qualche testo di una volta che brandiva questa parola come una fiaccola, un grido di raduno per gli.le spossessati.e di allora. Possiamo rilevare un’eccezione presso i comunisti. Per questa volta ascoltiamo la loro tiritera. Il disco rotto “Proletari di tutto il mondo, unitevi”, per esempio, sulla scia di Marx. È che una volta, la maggior parte dei.lle ribelli rivendicavano il loro comunismo, raramente per fondare un Partito, sempre e comunque per immaginare una società economicamente egualitaria. Oggi appellarsi al comunismo ci sembra incredibile ma credetemi che anche Clément Duval, rapinatore della fine del XIX secolo del gruppo Le pantere di Batignolle, aveva degli ideali comunisti.

Credo di poter affermare che l’internazionalismo riguardi originariamente la coscienza e la solidarietà di classe a scapito e a dispetto delle frontiere. Bisogna dire che all’epoca la stratificazione sociale era più evidente che oggi. In basso si trovavano i.le “lavoratori e lavoratrici” in alto “la borghesia”. Tra i due un crudo rapporto di sfruttamento economico. Il sudore per gli.le uni.e e il valore per gli.le altri.e. Un buon numero di sfruttati.e si concepivano e si vivevano in una grande comunità, il “proletariato”. Essi.e conoscevano condizioni d’esistenza simili in quei tempi di industrializzazione galoppante, migravano verso i centri urbani, condividevano la miseria, la malattia, negli stessi tuguri o periferie operaie.

In tutto il mondo, anche gli anarchici, si salutavano volentieri con “compagno” e combattevano insieme il borghese. Questo, di fronte alle facce nere, alle mani callose e alle schiene piegate sul mestiere, sfoggiava spesso un paternalismo filantropico. Le mani e il viso bianco, vestito in maniera impeccabile, si distingueva nettamente dalle masse lavoratrici. Proprietario della terra, dei mezzi di produzione e della materia prima, aveva tutto il potere di comprare la forza lavoro degli.lle umili, obbligati.e, quanto ad essi.e, a mettere a disposizione i loro unici beni, i loro corpi, fino ai loro sessi e i loro ventri per quanto riguarda le donne (etimologicamente, il.la proletario.a è colei o colui che fa dei figli). Queste ultime sgobbavano nelle fabbriche e nelle famiglie eteropatriarcali in corso di solidificazione. Produrre e riprodurre.

A ciò possiamo aggiungere che gli Stati e le Nazioni, affiancati con un trattino, rivestivano forme diverse da oggi. La mano sinistra del governo, cioè lo Stato sociale, più tardi provvidenziale, praticamente non esisteva. I poveri stavano ancora sotto l’egida “benevola” della Chiesa. Solo il potere sovrano/regale regnava sui suoi soggetti. Esercito, Polizia, Giustizia, Prigione. Ospedale psichiatrico. Il rumore degli stivali e dei cavalli soffocava gli scioperi e le manifestazioni. Numerosi.e erano coloro che cadevano sotto le pallottole o le sciabole. Deibler[4] officiava a tempo pieno, montando e smontando il suo patibolo a seconda delle condanne. Si rinchiudevano allegramente i.le vagabondi.e, le “isteriche” e altri.e “non perbene” al manicomio della Salpêtrière. La follia aveva la schiena larga e giaceva ai ferri. Il nazionalismo e il patriottismo si duplicavano nell’ideologia imperialista. I governi occidentali massacravano e schiavizzavano popolazioni del Sud in regioni sommariamente ribattezzate colonie (anche la Chiesa era della partita).

Sotto i suoi multipli gioghi ma forte di questa coscienza proletaria, la Prima Internazionale (associazione internazionale dei lavoratori) nacque nel 1864. Essa mira a coordinare le lotte sindacali in tutti i Paesi. In seguito a dei conflitti tra sostenitori.trici della conquista dello Stato e anarchici, questa Internazionale è ben presto divisa e disciolta. Seguiranno la Seconda, la Terza e infine la Quarta di ispirazione marxista, staliniana e poi trotzkista. Dal canto loro, gli anarchici fondano l’Internazionale antiautoritaria nel 1872 nel Giura svizzero. Non dura che 6 anni ma dà il tono ad un anarco-sindacalismo allora in piena effervescenza.

Qualche anno più tardi, nel 1905, emerge, inizialmente negli Stati Uniti, poi in altri Paesi anglofoni e infine in decine di Paesi, l’IWW. L’Industrial workers of the world è un sindacato internazionalista, radicale, che organizza scioperi generali e sabotaggi in una prospettiva di “abolizione del salariato”. I.Le suoi.e aderenti, i.le wobblies, sognano e praticano l’autogestione sul luogo di lavoro. Ecco in che contesto e in che maniera è nato, credo, l’ideale internazionalista. Sì, esagero un po’ con la mia terminologia antiquata, la parola stessa è antiquata, ma è per dare un piccolo accento storico alla mia narrazione.

alle riconfigurazioni del presente

In Occidente il capitale si è ristrutturato, è divenuto più complesso. La maggioranza del proletariato, vinto, ha subito una metamorfosi divenendo classe media, ausiliaria di una borghesia diventata invisibile per i.le comuni mortali. Restano i precari, molto spesso tra le minoranze razzializzate e di genere. Le comunità, specialmente contadine e operaie, sono state frammentate.

Spazio agli atomi umani. Cittadini.e, lavoratori.trici (ora si dice impiegati.e), consumatori.trici sono mediati.e dall’amministrazione, dalle macchine e dalle merci. La sparizione dei sobborghi, della sussistenza rurale, delle cooperative popolari, delle gilde di mestieri, dei circoli di gioco e di dibattito, dei sindacati combattivi …, ha contribuito poco a poco ad annientare fattualmente e sentimentalmente l’appartenenza alla classe sociale degli.lle spossessati.e.

Non sentiamo più cantare “l’internazionale sarà l’umanità”, non sentiamo più gridare dall’alto dei palchi, davanti ad una platea di depredati.e, “Domani sorgerà una società fraterna, senza Stato, senza frontiere, senza Dio e senza legge”. Niente più “Causa”, niente più “Rivoluzione sociale” e a malapena ci si può dichiarare rivoluzionari senza diventare lo zimbello degli altri.

Alla ricerca di continuità

Non crediate che io compianga il disfacimento di ciò che ho descritto. Cerco semplicemente di rintracciare l’origine dell’internazionalismo e le cause della sua agonia. Senza nostalgia, certo, ma con un reale desiderio di soffiare via la polvere che ricopre una parte di questo passato. Per osservarlo meglio e per ispirarvisi. Poiché, più che di rotture, la sostanza del tempo è fatta di continuità, di evoluzione e di ciclicità.

Delle attività e delle battaglie portate avanti tra gli anni ’60 e gli anni ’80 da gruppi quali Primero de Mayo, i GARI (gruppo d’azione rivoluzionaria internazionalista), le Rote Zora o le Black Panther per non citarne che alcuni. Delle azioni firmate ALF (animal liberation front) o ELF (earth liberation front) realizzate a partire dagli anni ’80. Delle manifestazioni giganti dei contro-summit che hanno conosciuto il loro apice da Seattle nel 1999 e in qualche appuntamento successivo. Degli incontri anarchici internazionali che continuano a tenersi ogni anno. Della campagna Shac Attack (stop huntingdon animal cruelty) contro un laboratorio di vivisezione e le sue filiali che ha visto coordinarsi numerosi.e antispecisti.e nel mondo tra il 1999 e il 2003. Dei.lle compagni.e, emigrati.e o nomadi che tessono pazientemente i fili attraverso le frontiere. Della FAI-FRI (federazione anarchica informale, fronte rivoluzionario internazionalista) molto attiva all’inizio degli anni 2000, che ha rivendicato degli attacchi in diversi Paesi. Del viaggio in Europa, nel 2022, delle delegazioni zapatiste provenienti dal Messico. Possiamo anche menzionare la recente iniziativa “switch off! The system of distruction” nel 2023. L’appello di questa campagna di sabotaggio, partendo dalla transizione energetica, insiste sugli intrecci di numerose lotte nel mondo intero, con la volontà di tessere dei legami o consolidare il tessuto esistente tra esse. Questi esempi alla rinfusa, assemblaggio eterogeneo, mescolano delle esperienze e delle prospettive molto diverse. Le affianco qui guidato unicamente dal prisma dell’internazionalismo.

Osservando queste continuità, avremmo torto a non recuperare ed esaltare questo immaginario internazionalista. Poiché è fecondo e pericoloso per questo mondo che affrontiamo. Perché merita di meglio che di restare relegato in qualche canto rivoluzionario, che di fuoriuscire da qualche bocca che sproloquia. Questo immaginario deve tornare ad abitarci e a guidare il nostro agire.

Le sconcertanti posizioni guerrafondaie di certi.e anarchici.che e antifascisti.e (magari più numerosi.e di quanto si pensi) contro “l’impero di Putin” lo dimostrano a sufficienza[5]. La debolezza attuale del nostro antimilitarismo deve molto, credo, a quella del nostro internazionalismo. Desidero, insieme ad altri.e, chiarire le nostre posizioni radicali contro la guerra, gli Stati, le nazioni, contro le finzioni di popolo, identità e respingere le ideologie virili, marziali e belliciste.

Quanto a Tesla, il fatto che convergano rabbie da diversi Paesi contro questa impresa è anche un’occasione insperata per riconfigurare ed amplificare internazionalmente l’offensiva. È una delle polene della nave da far affondare, archetipo insieme ad altri di questa dominazione in evoluzione. Sono molti gli aspetti a bordo: alienazione, sfruttamento, estrazione, transizione elettrica, sorveglianza, automazione. E la guerra è l’oceano in cui naviga. Tesla non è che un esempio, un’occasione di allenare il proprio spirito a ragionare su dei piani e su una scala più ampi. Allenamento che affina la conoscenza dei sistemi di oppressione attuali e in divenire e che può avere come corollario il percepire e organizzare le forze, le nostre, per sovvertire tutti i poteri. Avanti i cinici, “put your hands up in the air” e tutti.e con me!

A proposito di solidarietà

A fine febbraio è stato tradotto un articolo di un compagno siberiano, inizialmente pubblicato su un media russo (Avtonom). Vi si poteva leggere un’ingiunzione alla solidarietà con gli.le anarchici.che impegnati.e sul fronte ucraino. Questo cameratismo imposto illustra perfettamente lo spirito dell’internazionalismo così come ha preso forma alla fine del 19° secolo e come è perdurato, a quanto pare, fino ad oggi. E non sono né dei.lle comunisti.e retrogradi.e né degli.lle anarcosindacalisti.e solitari.e che ce lo ricordano. La solidarietà obbligatoria, morale dei capi e dei gregari, diviene desiderabile se proviene dalla penna anarchica? Quel compagno porta un discredito sferzante a questo tipo di solidarietà. Non concepisco che possa emanare da un dovere e non da una generosità personale. Quale che sia il suo oggetto. Solidarietà per classe sociale, sorellanza, per l’essere compagni.e, per una lotta, tra abitanti di quartiere, tra prigionieri.e … Tutte possono avere senso, purché vengano dal cuore! Ernest Armand [in realtà Émile Armand, ndt], un vecchio anarchico dell’inizio del 20° secolo ha scritto da qualche parte: «Chiunque accetti volontariamente l’obbligo della solidarietà o il vincolo all’aiuto reciproco appartiene al mondo dell’autorità». Con dei discorsi simili, all’epoca, non si sarà fatto solo degli amici. Io condivido la solidarietà con coloro che la considerano, come me, un gesto forte, cosciente, soggettivo e sincero. Siamo dunque lontani da una legge o un riflesso dato tra coloro che condividono a priori 3-4 idee, un territorio, delle condizioni sociali, un’identità di genere o delle pratiche rivoluzionarie.

Sul bisogno di comunità

Diversi indici storici lasciano pensare che l’internazionalismo sia germogliato sotto gli auspici di un proletariato che aveva riconosciuto i suoi nel mondo. A causa senza dubbio delle guerre, delle migrazioni forzate e grazie alle lotte anti-imperialiste e di decolonizzazione, si è coltivata una certa fratellanza di classe. Oggi che la classe proletaria è sconfitta, che conclusioni e che prospettive possiamo trarre?

Alcuni potrebbero vedere, volere o voler vedere altre comunità emergenti o in fase di gestazione. Si pensi alla Moltitudine, cara a Toni Negri o alla Resistenza ecologica di Derrick Jensen e compari. Sinceramente ignoro se queste tesi o ipotesi siano realizzate, plausibili o assurde. Volto loro la schiena per altri motivi. Rifiuto l’idea che una comunità sia la base preliminare e inesorabile di progetti internazionalisti (o peraltro di qualsiasi altro progetto, ma non è questo il tema). Provo dell’ostilità per ciò che richiede, o induce, sentimento d’appartenenza, affiliazione o identificazione collettiva. Tutto ciò che fa di Sé un membro di un Corpo.

La comunità, agglomerato di individui.e, riporta necessariamente, temo, cultura, norma, morale, prescrizione, interdizione, integrazione, esclusione, ricompensa, punizione, onore, umiliazione… Rituali di coesione dei “nostri”, rituali di differenziazione dagli “altri”. Non sapendo se l’internazionalismo sopravvivrebbe senza comunità internazionale e internazionalista, rischio di finire in un’impasse[6]. Fortunatamente, non avendo questa certezza, mi lascio la possibilità di concepire un internazionalismo senza comunità e lo sottopongo al giudizio di chiunque voglia analizzarlo. Se mi lasciassi andare alle divagazioni, mi porrei ora la questione del comune senza comunità, ma temendo di perdermi mi fermo qui.

Dall’ombelico all’internazionalismo

L’alienazione che subiamo in diversi gradi riduce il nostro campo visuale e intellettuale ad un quotidiano limitato da un’esistenza falsamente separata ed indipendente. Facciamo fatica ad essere consapevoli di totalità, trasversalità, legami ed influenze tra realtà multiple. La mistificazione dei nostri rapporti al mondo maschera abilmente meccanismi, cause, effetti, fenomeni che collegano internazionalmente gli esseri viventi e la materia, reificati e appiattiti dalla razionalità economica. Uno dei primi gesti del pensiero consiste nel percepire le dimensioni nascoste, qualitative e quantitative che fondano le nostre interdipendenze. Possono derivare da dominazioni, da idee, da affetti, da lotte, da viaggi, da territori, da condizioni sociali o da tutte queste cose insieme, senza omettere quelle dell’intangibile trama della vita. Non sto cercando di scoprire quale comune possa sottendere meglio di un altro ad un nuovo internazionalismo. Con l’aiuto di intuizioni e di analisi sistemiche, cerco di aprire grande, immensamente grande, la lente focale delle mie percezioni e comprensioni del mondo (e magari delle tue, delle loro) che l’alienazione altera con i suoi filtri, oscurati dai suoi veli, ristretti dai suoi paraocchi. Interessi per la Storia, le ideologie, le religioni, la psiche, la geopolitica, le oppressioni, i rapporti tra animali, piante, tra ambienti… con o senza approcci scientifici, possono portare a cogliere gli innumerevoli agenti, relazioni e interazioni che costituiscono questo mondo. Quando le nostre capacità sensoriali e riflessive si emancipano, anche parzialmente, la nostra comprensione e la nostra attenzione alle relazioni esistenti e potenziali aumentano. Mediante un’altra presenza e altri collegamenti, le nostre capacità ad iniziare, trasformare e sovvertire questi legami crescono di pari passo. Quando si è risoluti.e a combattere la dominazione e vivere il più possibile in maniera anarchica, è possibile intraprendere delle connivenze, dal vicinato a livello internazionale, per densificare ed estendere la propria rivolta tramite, per e grazie a quelle degli altri.

Prospettive concrete

Cos’è che nelle dinamiche e nei tentativi passati può ispirare e rinforzare le prospettive internazionaliste attuali? Il rigetto della comunità e della solidarietà obbligatoria permettono, in negativo, di immaginare l’aiuto reciproco e la cooperazione come degli atti individuali e volontari. La prima risoluzioni dell’Internazionale anti-autoritaria precisava che essa “non ha altra missione che quella di riunire aspirazioni, bisogni e idee del proletariato in modo che si armonizzino ed unifichino il più possibile”. L’apertura della propria lente focale sensoriale e mentale permette di proiettare e sperimentare delle sinergie all’interno ma anche al di fuori del “proletariato”, degli.lle “oppressi.e”, “dei.lle rivoltosi.e” e di altre (auto-)designazioni e abitudini dai confini limitati. Citerò ancora una volta E. Armand che, nonostante fosse lungi dall’essere tra i più combattivi, scrisse che «ci sono degli incarichi che sono impossibili a tentare, svolgere o portare a termine in altro modo che mediante un lavoro associato». Per riguadagnare vigore, la prospettiva internazionalista richiede di associarsi localmente, ma non solo. L’incarico di distruggere questo mondo da cima a fondo passerà, credo, per l’internazionalità del nostro agire. Prendiamo le mosse dalle esperienze di lotta passate. I.le wobblies, parlando una quantità di lingue diverse, si sono uniti.e in federazione in diversi continenti. Alcuni gruppi armati dagli anni ’60 agli anni ’80 hanno saputo comporre delle complicità internazionaliste tra contrade lontane. L’ALF, l’ELF, Shack attack e la FAI-FRI tra le altre, sono riuscite e riescono ancora a propagare informalmente delle offensive.

Coniughiamo convinzioni internazionaliste e pratiche internazionaliste. Pubblichiamo dei giornali poliglotti e diffondiamoli largamente. Rinforziamo i legami tra compagni.e all’estero mediante delle corrispondenze, delle visite. Continuiamo ad organizzare degli incontri internazionali per conoscersi, discutere, sviluppare rapporti di fiducia e ambizioni. Accentuiamo l’agitazione sociale contro le guerre. Tessiamo delle affinità tra e in diversi territori. Aggiorniamo le nostre battaglie contro patriottismi, nazionalismi, imperialismi. Diamo risonanza a conflitti lontani geograficamente mediante delle manifestazioni di solidarietà a parole e nei fatti. Andiamo a sostenere fisicamente lotte, occupazioni lontane da casa. Troviamo dei passaggi per coloro che devono circolare al di fuori dai radar. Approntiamo ospitalità per coloro che devono partire senza poter tornare. Inviamo soldi e materiali là dove desideriamo appoggiare le forze. Battiamoci contro le frontiere e per gli.le indesiderabili che le attraversano. Usciamo dalle nostre cerchie per scoprire altre interazioni fruttuose qui o altrove, senza transigere sui nostri fini e i nostri mezzi.

Immaginiamo e tentiamo ancora, finché il battito dell’internazionalismo farà vibrare i nostri corpi.

Andiamo figli senza patria[7]! (anche se non ci dovessero essere giorni di “gloria”)

1. Questo magnate possiede, oltre a Tesla, X (precedentemente Twitter), Space X (di cui il programma Starlink) e investe enormi quantità di denaro nella riproduzione artificiale eugenetica con l’obiettivo di promuovere la razza bianca dei/delle ricchi/e della Silicon Valley.

2. Vedi https://sansnom.noblogs.org/archives/20942 e https://sansnom.noblogs.org/archives/18854.

3. Il 18 aprile, il giornale “Libération” pubblicava un articolo sui recenti licenziamenti di massa e inauditi, almeno secondo i sindacati, di 14.000 operai.e presso Tesla. La fine dell’articolo confermava la mia tesi di un fato internazionalista decisamente astioso nei confronti della ditta. Questa subirebbe una crisi a causa degli effetti congiunti di tre fattori: atto di pirateria Huti di un cargo di pezzi automobilistici nel mar Rosso, blocco dell’approvvigionamento di materiale da parte di un sindacato svedese, attacco alla Gigafactory di Berlino.

4. Anatole Deibler, sulla scia del padre, assume la carica di boia capo, che occupa per 40 anni! Questo celebre carnefice ha ucciso con le sue mani 299 persone tra il 1899 e il 1939.

5. Non dimentichiamo anche che Piotr Kropotkine sostenne, con altri 15 “compagni”, la Triplice intesa durante la prima guerra mondiale.

6. Questa frase contorta mi permette di rendermi conto che organizzarsi in maniera internazionale non significa necessariamente essere internazionalisti, così come agire localmente non impedisce di essere internazionalisti. È quindi più una questione di tipo di attività e di prospettive, anche se l’internazionalismo si basa, come minimo, su di un’apertura geografica sul piano delle idee.

7. Détournement dell’inno francese (Allons enfants de la Patrie, “Andiamo figli della Patria”) [N.d.T.]