Le vite che contano

Riceviamo e diffondiamo:
Le vite che contano
Il 15 aprile scorso Tarek Dridi è stato condannato dal tribunale di Roma a 4 anni e 8 mesi.
Il 5 ottobre 2024 nella capitale si svolse il corteo in solidarietà con il popolo palestinese, la sua resistenza e contro il genocidio.
In seguito alle pressioni della cosiddetta e autoproclamata “comunità ebraica” romana, la questura vietò quell’iniziativa; sfidando il divieto centinaia di solidali, provenienti da tutta la penisola, si radunarono al concentramento in piazzale ostiense.
Dopo essere rimasti per ore rinchiusi all’interno della piazza, di cui tutti i varchi erano chiusi dalle camionette della polizia, i manifestanti provarono a partire in corteo e, all’imbocco di via Ostiense, gruppi di giovani tentò di sfondare il cordone delle forze dell’ordine. Ci furono scontri ed in seguito lanci di lacrimogeni e cariche all’interno della piazza.
Caricando gli sbirri non si sono macchiati solo del poco sangue dei manifestanti ma, ben peggio, del molto sangue di un popolo oppresso. Gli arresti, i fogli di via, i divieti, le intimidazioni, sono le prove della complicità dello Stato Italiano con quello israeliano.
Quel giorno Tarek non partecipa al corteo ma si trova nei pressi, all’esterno dei cordoni della polizia, vede le persone con le bandiere della Palestina e si interessa a quando accade. Poi la polizia carica ed inizia a manganellare, come dichiarerà al processo di fronte a queste scene non può non intervenire e si frappone tra le cariche e i manifestanti. Ha un ombrello in mano, poi compie degli atti di autolesionismo tagliandosi con dei cocci di bottiglia. La polizia sosterrà che in seguito li abbia aggirati e presi ad ombrellate, ma tutte le prove video smentiscono queste accuse. Tarek, con questo gesto di nobile rabbia, è uno che di fronte all’ingiustizia non si è voltato dall’altra parte.
La settimana seguente (il 18 ottobre) viene fermato, riconosciuto ed arrestato; essendo senza fissa dimora non gli vengono concessi i domiciliari, da quel giorno è rinchiuso in carcere. Di lui si sarebbero perse le tracce, se non fosse stato per la solidarietà dei detenuti del carcere di Regina Coeli che lo hanno messo in contatto con un avvocato di movimento.
Tarek sta pagando per tutti la giornata di lotta del 5 ottobre, per essersi semplicemente e giustamente opposto alla violenza della polizia la giudice lo ha condannato ad una pena più alta di quella richiesta dall’accusa: cinque anni, un tempo che per molte persone vale una vita.
Tarek, ancora un invisibile inghiottito nel ventre dello Stato, uno che per chi comanda non conta niente, uno che “devi stare zitto e non rompere i coglioni se no ti buttiamo via”
Nei giorni in cui è stata emessa la sentenza di primo grado per Tarek si è tenuta all’Aquila la seconda udienza del processo ai tre palestinesi, Anan, All e Mansour, accusati di proselitismo e finanziamento del terrorismo.
Assistendo alle udienze di questo processo abbiamo la sensazione di partecipare ad una farsa. Una farsa rappresentata presso una procura di provincia dove i dirigenti dell’antiterrorismo (DNAA) ed i magistrati possono compiere le loro manovre in un relativo silenzio. Imbastiscono una montatura, in cui si utilizzano verbali di interrogatorio forniti dai servizi segreti israeliani ed estorti in centri di detenzione in cui si applica la legge marziale e la tortura. Intimidiscono i testi e travisano le loro parole (ad esempio il termine fratello o martire trasportati da un contesto culturale ad un altro assumono un senso differente).
Mettono in chiaro come in Italia essere semplici conoscenti di un parigiano palestinese, tra l’altro esule da anni, può comportare incriminazioni ed arresti.
Per questo riteniamo che quanto accade all ‘Aquila deve essere conosciuto, messo in evidenza e contrastato in uno spazio ben più esteso dei limiti angusti in cui lo vorrebbero relegare.
Questo processo è una farsa che dimostra il servilismo dello Stato italiano, la cui miserrima classe dirigente sembra primeggiare all’interno del panorama internazionale nella pratica del baciaculo. Una farsa che serve a permettere di fare carriera a qualche dirigente locale mandando in galera le vittime sacrificali di turno. Come apprendiamo dalle cronache locali: “ Il capo della polizia ha riconosciuto un avanzamento di grado per merito straordinario agli agenti della DIGOS dell’Aquila che sul nascere hanno disarticolato un gruppo di giovani palestinesi dimoranti in città che stavano progettando attentati in Cisgiordania” – questi festeggiano ancora prima che la partita finisca – .
Una farsa che coinvolge tre persone che giustamente supportano la legittima autodeterminazione del loro popolo, contemporaneamente centinaia di cittadini europei, con doppio passaporto, combattono con l’esercito israeliano e compiono crimini di guerra senza che nessuna istituzione abbia nulla da obiettare.
Di fronte a questa farsa Anan ha parlato con la chiarezza e con la dignità che nessuna corte può togliere ad un vero combattente.
Riportiamo integralmente il suo intervento, che abbiamo trascritto, premettendo che queste parole sono state proferite in video conferenza, pratica che disumanizza e sminuisce l’imputato nelle sua possibilità di una piena interlocuzione ed autodifesa, premettendo anche che la traduzione fatta dall’interprete della procura ne svilisce lo stile.
Sono qua per un motivo politico perché io non ho fatto niente contro la legge italiana. Però rispetto la decisione del tribunale che non vuol fare entrare la politica dentro quest’aula.
Perché voi usate la politica per giudicarmi. Perché se volete giudicarmi secondo la legge italiana, dovete considerare tutti i documenti e tutti gli atti delle comunità internazionale che voi riconoscete.
Perché dovete considerare tutti i documenti a livello internazionale, che riconoscono che nelle prigioni israeliane le regole e i diritti umani non sono rispettati. Però non avete preso in considerazione tutto questo.
Avete però preso in considerazione la relazione politica tra il governo italiano e il governo israeliano. Signor giudice voi non avete dato il diritto a me di difendermi, la stessa cosa mi è successa nei tribunali di Israele.
Avete preso in considerazione testimoni della causa contro di me, invece non avete preso in considerazione la mia testimonianza. Il procuratore ha usato dei fascicoli e dei documenti stranieri contro di me, però avete rifiutato i documenti che ho presentato io. Avete rifiutato di sentire dei testimoni che ho proposto io, questo è contro la legge in Italia. E mettete fretta quando parlo io. E mettete fretta anche quando parla la difesa, non volete darmi e darci il tempo necessario per parlare. Come se dopo che finisse l’udienza io me ne andassi su un’isola delle Maldive e non dovessi ritornare in carcere. Perché avete fretta di finire la causa, invece di applicare la giustizia.
Sento che sono estremamente oppresso. Sento che subisco una grande ingiustizia in questo tribunale. Come se stessi in un tribunale-farsa, un tribunale che non è che di facciata, come è stato fatto in Francia contro gli algerini.
Come fosse un tribunale militare in Israele. Se questo è corretto vuol dire che la mia condanna è già scritta. Emettete la vostra condanna, non è necessario fare tutte queste udienze.
Così passo, tutto quello che devo passare, in prigione. Invece se questo tribunale rispetta la democrazia, e rispetta i vostri diritti umani, e abbiamo diritto come altri popoli di vivere in libertà, dovete darmi i miei diritti come essere umano.
Perché abbiamo già passato abbastanza oppressione dai vostri amici israeliani. Dovete lasciarci in pace.
Viva la resistenza palestinese fino alla libertà, fino a che la Palestina sarà libera! “
Le vicende umane che abbiamo narrato sono le propaggini di un genocidio che entrerà nella storia come l’ennesima pagina nera del colonialismo occidentale. Oltre a ciò in questi episodi giudiziari si manifesta il totale disprezzo che vige in questo società da parte di chi detiene il potere verso la vita di chi sta ai margini, e questi margini si restringono costantemente escludendo un numero crescente di persone. Vite che si possono sacrificare per garantire il perdurare del dominio capitalista, tanto nelle guerre, quanto nelle gabbie in cui si rinchiudono i corpi eccedenti, o quanto in una quotidianita resa sempre più soffocante e misera.
Queste vite non valgono nulla per i padroni, valgono tutto per noi, perché sono le nostre stesse vite. Sono le vite ai margini che possono abbattere questa infame società.
Il Processo ad Anan, Alì, Mansour marcia a tappe forzate. Il 21 maggio si terrà un’importante udienza, a cui sarà importante partecipare, ed in vista della quale sarà utile che la mobilitazione in sostegno ad Anan, Alì e Mansour si faccia sentire.
Complici e solidali