Ristampa de “La guerra come operazione di polizia internazionale” di Riccardo d’Este

Riceviamo e pubblichiamo:

Riccardo d’Este, La guerra come operazione di polizia internazionale, Terra e Libertà, Rovereto, pp. 34, 2 euro

«Perché ripubblicare, a oltre trent’anni dalla sua prima uscita, questo articolo sulla prima guerra del Golfo? Non si tratta, in fondo, di analisi datate e dal sapore un po’ rétro, oggi che il Nuovo Ordine Mondiale a trazione statunitense di cui ci parla Riccardo d’Este appare in disfacimento, incalzato da vecchi e nuovi mostri alla riscossa «multipolare», e che la categoria di Governo Mondiale è stata recuperata da paranoici e reazionari di vario pelo?

Secondo la notissima formula di Hegel, la nottola di Minerva spicca sempre il volo sul far della sera: è solo alla fine di un’epoca che la si comprende, divenendo consapevoli di un mondo che ci è passato accanto. Da questo punto di vista, i fatti degli ultimi anni illuminano queste bellissime pagine, e il tempo trascorso in mezzo, di una cruda luce retrospettiva» (dalla postfazione Sul far della sera).

Indice

Una vita rivoluzionata. Nota su Riccardo d’Este

La guerra come operazione di polizia internazionale

Sul far della sera

Per richiedere delle copie (2 euro l’una, 1 euro dalle 3 copie in su), scrivete a: terraeliberta@inventati.org

Una vita rivoluzionata. Nota su Riccardo d’Este

Benché sia tutt’altro che agevole inquadrare in qualche formula una figura come quella di Riccardo, può essere utile, soprattutto per le compagne e i compagni più giovani, collocare la sua parabola teorica, esistenziale ed umana nello sfondo storico della “critica radicale”, in cui l’esperienza della lotta di classe in Italia s’intreccia con i contributi di alcune correnti rivoluzionarie internazionali (francesi e spagnole soprattutto).

Nato a Trieste nel 1944 e maturato dentro il contesto torinese di “Classe operaia”, Riccardo di quell’esperienza rappresentava allo stesso tempo la componente più radicale (raccolta attorno al supplemento “Gatti selvaggi”) e il punto di rottura. In una tensione non comune a fondere teoria e pratica, prospettiva rivoluzionaria e critica della vita quotidiana, Riccardo è stato una sorta di “molino delle armi” affilato grazie alla ricezione delle elaborazioni più eretiche del comunismo. In Spagna, il crogiuolo tra guerriglia libertaria antifranchista e offensiva proletaria organizzata nelle Commissioni e nelle Assemblee operaie. In Francia, la riattivazione della tradizione consiliare operata da “Socialisme ou Barbarie”, la critica della società mercantil-spettacolare condotta dall’Internazionale Situazionista, il suo superamento in senso anti-industriale tentato dall’Éncyclopédie des Nuisances, la sua traduzione più “teppistica” rappresentata da Os Cangaceiros.

I raggruppamenti a cui Riccardo ha partecipato negli anni Settanta-Ottanta – Organizzazione Consiliare, Comontismo, Collettivo Proletario Libertà – hanno portato all’estremo (anche in senso autodistruttivo) la critica pratica del lavoro, della militanza, dei ruoli, della politica, dell’ideologia, del sacrificio, senza mai rinunciare né alla prospettiva storica né alla ricerca del piacere come verifica della coerenza tra idee e vissuto. Se la prima gli derivava da una certa lettura di Bordiga e della sinistra comunista (incentrata sull’opposizione irreconciliabile tra Comunità-Gemeinwesen e Capitale, “eredità” raccolta attraverso Jacques Camatte e Giorgio Cesarano), la seconda era decisamente situazionista. Tenendo insieme specie, classe e individuo, Riccardo rifiutava sia il neo-leninismo sia, più tardi, le tante mode post-classiste. Comunista libertario (o acrata, come amava definirsi), ha praticato la lotta armata senza essere lottarmatista, la rivolta in carcere senza distinzione tra prigionieri “comuni” e “politici” (decisiva, anche se poco nota, la sua influenza in tal senso su Sante Notarnicola), il consumo di ogni genere di sostanza senza cedere alle illusioni mercantil-spettacolari. Dalla sua partecipazione al progetto di Nautilus fino alla creazione del collettivo 415, le riflessioni di Riccardo negli anni Ottanta-Novanta hanno suscitato – sulla droga, sull’AIDS, sul frontismo antifascista o antileghista, sulla medicina, sulla tecnologia – vivi dibattiti e scontri, sia per la sua inconfondibile verve provocatoria sia per il suo rifiuto di ogni settarismo. Nell’avventura di costruire “situazioni” e di fare della propria vita un’opera d’arte, Riccardo era egli stesso un “personaggio” (la “erre” moscia, un occhio di vetro – “regalo” delle guardie spagnole durante una rivolta in carcere –, un eloquio in cui si mescolavano raffinatezze linguistiche e sboccate volgarità, una grande simpatia e una proverbiale pigrizia).

Qualcuno di noi lo conobbe nel 1990, in occasione di una presentazione de Intorno al drago. La droga e il suo spettacolo sociale al Parco Lambro di Milano, durante lo storico appuntamento estivo dell’autonomia. In quel libro – curato e in buona parte scritto da Riccardo per Nautilus – si criticavano radicalmente tutte le idee che sulla droga circolavano negli ambienti antagonisti (basti pensare che l’edizione precedente del Parco Lambro aveva per titolo “Né eroina né polizia”). Lo invitammo a Rovereto (Riccardo era ancora in semilibertà), dando così inizio a una collaborazione durata anni. Per noi, giovanissimi compagni, fu un incontro stimolante e prezioso, anche perché Riccardo, sferzante nella critica verso tutte le forme di militanza, nel modo di rapportarsi con i giovani era invece estremamente aperto, disponibile al confronto e tutt’altro che supponente, al punto che casa sua era a Torino una sorta di “albergo” anche per alcuni studenti medi che saltavano la scuola… Riccardo te lo trovavi in vestaglia, a bere fin dal mattino, conversatore impareggiabile, curioso verso chiunque ambisse a quel crimine chiamato libertà. Oltre a una discreta produzione teorica, gli si deve l’“invenzione” – di cui andava piuttosto fiero – delle rapine in taxi. Uno dei suoi motti preferiti era quello di Oscar Wilde: «si può resistere a tutto, tranne alle tentazioni». Che non si trattasse solo di un motto è dimostrato dal fatto che Riccardo, latitante in Francia, rientrò in Italia perché a Parigi c’era magari Debord, ma non si trovava il Campari…

Riccardo è morto a Torino nel 1996, senza mai smettere di bere né di fumare, preferendo giocarsela fino alla fine a modo suo, piuttosto che consegnarsi a medici e ospedali. «Meglio una fine nell’abisso che un abisso senza fine» altro motto radicalmente vissuto.

Questa pubblicazione è anche un modo per continuare a dialogare con le sue idee.