“Saluti dall’illegalità”. Sull’arresto di Daniela Klette, la clandestinità, la resistenza anticapitalista e tante altre cose
![](https://ilrovescio.info/wp-content/uploads/2025/02/th-1-2.jpg)
Pubblichiamo – ringraziando chi li ha tradotti dal tedesco – due contributi scritti dalla clandestinità. Il primo è di Burkhard Garweg (Martin), compagno di lotta di Daniela Kleppe, la militante della RAF arrestata l’anno scorso a Berlino dopo trent’anni di latitanza. Il secondo è degli “Antifa Ost” ricercati dalla polizia. Se quest’ultimo è un breve saluto, quella di Martin è una lunga riflessione in cui c’è tanto passato e tanto presente (la guerriglia degli anni Settanta-Ottanta, lo Stato biometrico, la guerra militare e quella psicologica, il genocidio a Gaza e il terrorismo di Stato, l’estrema destra e la finta opposizione socialdemocratica, il collasso ecologico e la resistenza, la molteplicità delle forme di lotta e la solidarietà che deve legarle…). Ad accumunarli è un tema ineludibile per chiunque voglia trasformare radicalmente questa società: come sottrarsi a un controllo sempre più totalitario? Al di là delle differenze di prospettiva, la forza, l’intensità e la chiarezza che emergono da queste parole proibite – che anche per questo diffondiamo – sono da esempio e da stimolo. Lunga vita agli uccelli di bosco! Legale? Illegale? Non ce ne importa! Guerra ai palazzi, pace alle capanne!
Questa la lettera di Burkhard Garweg, che il “Taz” ha ricevuto e ha corredato di commenti critici.
Qui la versione in tedesco: https://de.indymedia.org/node/477999
Saluti dall’illegalità
Alla famiglia, agli amici, ai compagni, agli alleati, agli abitanti delle wagenplatz. A tutti coloro che vogliono confrontarsi con il mio e il nostro punto di vista.
Legale, illegale, chi se ne frega1. Il 26 febbraio di quest’anno Daniela Klette è stata arrestata a Berlino. I giornalisti, che volentieri hanno agito come agenti di polizia ausiliari e hanno contribuito a rinforzare lo Stato sempre più autoritario con la comunità statale e sociale di investigatori e informatori, hanno utilizzato l’intelligenza artificiale per rintracciare immagini di Daniela in internet. Il merito storico di questi informatori giornalistici da podcast sarà quello di aver fornito al momento giusto la prova della presunta necessità del controllo biometrico attraverso il riconoscimento facciale sulla strada di uno stato di controllo totalitario.
Ingannare il pubblico
La successiva caccia all’uomo da parte della polizia nei confronti di Volker Staub e miei è stata da allora caratterizzata da menzogne e campagne diffamatorie. La polizia e i media borghesi dicono che siamo criminali violenti o terroristi che non esiterebbero a uccidere per denaro. In maniera mediaticamente efficace, la casa in cui Daniela viveva è stata sgomberata, così come le case vicine, a causa di presunti esplosivi pericolosi. Sono iniziate misure di mobilitazione della popolazione per una caccia all’uomo e operazioni di guerra psicologica. Ora si sa che una granata e un bazooka ritrovati erano finti. La polizia doveva saperlo fin dall’inizio. L’intera azione, durata diversi giorni, è stata un’operazione per ingannare e manipolare l’opinione pubblica.
La costante propaganda sulla nostra violenza e pericolosità, le perquisizioni in stile marziale di case e Wagenplätze, i veicoli blindati e i poliziotti armati di MP come se fosse scoppiata una guerra, i controlli e gli arresti con le immagini deliberatamente create non sono altro che l’affermazione della necessità della militarizzazione della polizia e una messa in scena per mobilitare la popolazione per una caccia all’uomo.
Ma soprattutto, il loro obiettivo nel creare un’immagine di criminali violenti è quello di depoliticizzare e denunciare la storia dell’opposizione radicale – la storia del tentativo storico di contribuire alla liberazione dalle relazioni violente del capitalismo, emerso dalla resistenza del movimento del (19)68 e legato alle lotte rivoluzionarie e anticoloniali mondiali.
26 anni fa si è concluso il progetto di guerriglia urbana sotto la forma della RAF. Tuttavia, per noi che siamo stati perseguitati come militanti della RAF, la vita nell’illegalità non è finita: l’immagine che si cerca di creare di noi ci descrive come una banda di rapinatori violenti e predoni, pericolosi per la popolazione e pronti anche a uccidere – e solo per denaro. Per noi, invece, è fuori discussione usare la violenza contro le persone per denaro in una maniera che potrebbe ucciderle o ferirle fisicamente. I traumi subiti dai dipendenti degli uffici di cassa o delle società di trasporto di denaro contante sono da deplorare. Non c’è motivo di credere a nulla di ciò che dicono la polizia o gli apparati giudiziari, perché mirano a delegittimare l’opposizione radicale e a creare un clima in cui la violenza e la repressione dello Stato appaiano giustificate.
“La violenza è il fondamento della società borghese: nella miseria del suo sistema penale, nei ghetti che stanno sotto la vita borghese di tutti i giorni, nella militarizzazione della “sicurezza interna”, nel suo rapporto di sfruttamento” (Peter Brückner 1976).
La violenza di Stato colpisce molti – i poveri, gli sfruttati, gli emarginati. È diretta contro coloro che protestano o contro coloro che si oppongono a questo normale stato di cose e non lo accettano come un dato di fatto. Sono le persone che manifestano contro il genocidio a Gaza e contro un governo tedesco che fornisce le armi a questo scopo, e che vengono sottoposte a un mix autoritario e violento di manganelli della polizia, carcere, minacce della magistratura, minacce di deportazione, perdita del lavoro e sorveglianza dei servizi segreti, o le cui manifestazioni vengono vietate del tutto. Sono quelli che occupano le università e per questo vengono colpiti con la violenza della polizia. Quelli che hanno qualcosa da dire durante gli eventi sulla Palestina e a cui viene vietato l’ingresso nel Paese, o gli artisti, gli scrittori e gli accademici di tutto il mondo le cui mostre, conferenze o eventi vengono cancellati perché hanno un’opinione “sbagliata”. Sono gli attivisti ebrei che vengono bollati come antisemiti perché non sostengono la ragion di Stato tedesca e che quindi vengono maltrattati con questa forma di antisemitismo da chi è al potere.
Sono le persone che in maniera organizzata si sono incollati all’asfalto [pratica di Letzte Generation, quella di incollarsi letteralmente i palmi delle mani alla strada] per manifestare contro la distruzione di ogni forma di vita su questo pianeta ad opera del capitalismo e che per questo vengono dichiarate terroriste o condannate al carcere. Sono coloro che vengono cacciati dai loro villaggi perché le compagnie energetiche vogliono trarre profitto dai combustibili fossili presenti in quei luoghi. Sono coloro che si oppongono a questo sovrasfruttamento da parte del capitalismo e alla conseguente distruzione del clima. Sono coloro che si oppongono alle ruspe delle imprese e che di conseguenza subiscono la violenza della polizia. Sono coloro che, di conseguenza, oggi sono costretti a fuggire a milioni dal Sud del mondo perché il sistema capitalista sta forzando il profitto delle multinazionali con i manganelli della polizia nelle metropoli, lasciando intere regioni del mondo devastate e inabitabili.
Sono coloro che hanno riconosciuto che lo Stato ha usato il Covid come un’opportunità per far avanzare la formazione dello Stato autoritario e sono stati denunciati per questo. Sono coloro che lottano contro il fascismo e i nazisti nel movimento Antifa e per questo sono minacciati dalla polizia e dalla magistratura, si trovano nell’illegalità o rinchiusi nelle carceri. Sono i compagni e le compagne che si organizzano contro l’oppressione del popolo curdo, che si oppongono alla follia dello Stato Islamico, nato dalle guerre degli Stati occidentali, e che si battono per la liberazione dalle strutture patriarcali e per il confederalismo democratico in Kurdistan e vengono perseguitati come membri del PKK dalla magistratura tedesca e rinchiusi in carcere per anni.
Sono quelli dei quali si dice si siano opposti al militarismo e al regime di deportazione razzista come K.O.M.I.T.E.E. e che per questo sono perseguitati dalla magistratura e costretti all’esilio da quasi 30 anni. Sono coloro che sono stati sgomberati a Berlino negli ultimi anni: Syndikat, Liebig 34, Meuterei, Potse-Drugstore, Köpi Wagenplatz. Terrore poliziesco e rimozione per far spazio al profitto di investitori criminali e contro l’utopia di una vita collettiva e solidale. Sono coloro che non possono più permettersi l’affitto dei loro appartamenti e per questo vengono sfrattati dalla polizia.
Sono quelli che vengono sfollati ogni giorno perché in mezzo alla ricchezza devono vivere nelle tende o sotto i ponti. Sono quelli che sanno di avere tutto il diritto morale del mondo, in tempi in cui le masse non possono più permettersi gli affitti, di prendere semplicemente possesso delle case occupandole rigettando la legge della proprietà di pochi – ma che se lo facessero finirebbero nelle maglie della polizia e della giustizia. Sono le masse del lavoro precario. Quelli che devono vendere la loro manodopera a basso costo. Quelli che sono spremuti dalla mattina alla sera e il cui salario alla fine è appena sufficiente per vivere.
Sono quelli che vengono rinchiusi in isolamento nelle carceri o nei reparti psichiatrici chiusi, anche se l’isolamento è vietato a livello internazionale come tortura bianca. Sono quelli che vengono minacciati quotidianamente dal razzismo della polizia tedesca o è Oury Jalloh, bruciato vivo nella stazione di polizia di Dessau, legato mani e piedi e senza la minima possibilità di movimento, perché nero. È l’adolescente disperato in fuga Mouhamed Dramé, morto trafitto da una pioggia di proiettili della polizia di Dortmund, pur non avendo rappresentato un pericolo per i suoi assassini nemmeno per un secondo. È Halim Dener, 16 anni, disarmato, ucciso da un agente di polizia che gli ha sparato alle spalle perché aveva affisso un manifesto per il movimento di liberazione curdo. Sono coloro che sono stati uccisi perché provenivano da famiglie di immigrati dai militanti dell’NSU2 – che lo ha fatto per anni indisturbati e liberi dalla persecuzione dello Stato, con legami comprovati con i servizi segreti tedeschi.
Sono coloro che sono costretti a migrare a causa di guerre, distruzione del clima e povertà e che annegano a migliaia nel Mediterraneo, vengono respinti alle frontiere tedesche e dell’UE o finiscono nei centri di deportazione. Sono le migliaia di persone nell’ex Jugoslavia le cui vite sono state spazzate via dai cacciabombardieri della NATO, trasportati e ordinati dal governo tedesco con l’abusato grido di battaglia “Mai più Auschwitz”. Sono le 141 persone che sono state uccise a sangue freddo con le bombe della NATO in Afghanistan – su ordine del soldato tedesco della Bundeswehr Klein, che ha dato quest’ordine nonostante fosse stato precedentemente informato dall’esercito statunitense che le 141 persone erano civili, e che per questo è stato promosso a generale dal governo tedesco.
Sono le decine di migliaia e più di persone che non ne possono più, che si rifugiano nella dipendenza da droghe pesanti o che preferiscono porre fine alla propria vita. Sono tutti coloro che si oppongono alla guerra, che si oppongono alla fascistizzazione e alla militarizzazione della normalità capitalista. Quelli che non vogliono semplicemente accettare tutto questo. Quelli che si ribellano. Quelli che non si rassegnano, ma si battono per un mondo liberato da ogni dominio senza un sopra e un sotto e senza la violenza della polizia e dei militari, che proteggono il sopra dal sotto.
Sono le innumerevoli persone che sono perfettamente coscienti dei veri rapporti di violenza nel sistema capitalista.
Tuttavia, sono gli apologeti del capitalismo che hanno un interesse comune, che non ci deve essere alternativa al capitalismo, che amano particolarmente parlare della presunta violenza di coloro che si ribellano ovunque nel mondo, il cui dolore e la cui rabbia diventano resistenza collettiva. Della loro violenza, quella strutturale e brutale del sistema capitalista, invece non parlano mai.
È di questa violenza che si dovrebbe parlare.
Violenza strutturale del capitalismo – autodifesa rivoluzionaria – liberazione
Come parte della sinistra rivoluzionaria, eravamo – e dico: siamo – convinti che un sistema basato sulla violenza non abbia alcuna legittimazione e che il suo superamento in senso emancipatorio possa essere raggiunto. Aborriamo ogni forma di rapporto di violenza e desideriamo un mondo che non sia basato sulla violenza, sulla morte e sulla miseria. Un tempo ci proponevamo di contribuire a porre fine alla violenza del capitalismo, al dominio dell’uomo sull’uomo, allo sfruttamento, al militarismo e alla guerra e di trasformarlo in una realtà sociale diversa. Facevamo parte di tutti coloro che si sono ribellati nella storia delle lotte per l’emancipazione umana, la libertà e l’autodeterminazione.
Siamo partiti da questa premessa: Chiunque sollevi la questione di una società senza violenza e non votata al profitto di pochi, alla divisione delle persone in bianchi e neri, ricchi e poveri o uomini e donne, deve inevitabilmente confrontarsi a un certo punto con la questione della violenza strutturale del sistema, del contro-movimento rivoluzionario e dell’autodifesa rivoluzionaria.
Il comportamento marziale dell’apparato di sicurezza statale contro di noi nel contesto della crisi
Il comportamento marziale contro di noi avviene nel contesto dell’attuale sviluppo sociale, in cui la questione di un’alternativa di sistema anticapitalista è particolarmente attuale. Qualsiasi pensiero e qualsiasi storia di opposizione fondamentale al sistema capitalista e imperialista deve essere screditato, perché il sistema capitalista è caduto in una crisi globale e multilivello. Le sue possibilità di crescita, che sono esistenzialmente necessarie per il capitalismo, stanno raggiungendo sempre più i loro limiti. Le conseguenze sono e continueranno ad aumentare in modo significativo: povertà, licenziamenti di massa nelle aziende e smantellamento dei programmi dello Stato sociale.
A pagare la crisi non sono i primi diecimila, ma coloro che stanno in basso: gli anziani, le cui pensioni non bastano per vivere; coloro che dipendono dai sussidi sociali statali, per i quali l’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta diventando un problema esistenziale; coloro che non potranno più permettersi il loro appartamento; coloro che hanno bisogno di lavori ancora più precari per sopravvivere; i disoccupati, che devono essere disciplinati con ogni nuovo inasprimento del sistema dei centri per l’impiego; i drogati, i giovani (soprattutto quelli delle zone più povere della città) o coloro che sono stati colpiti dalla violenza e molti altri i cui spazi dove avevano ricevuto sostegno o potevano incontrarsi sono stati chiusi.
I politici e la polizia amano parlare dei clan di immigrati come se fossero un problema della società. Tuttavia, non parlano mai dei clan degli Hohenzollern o dei Quant, anche se con la loro immensa ricchezza simboleggiano la follia del capitalismo e sono corresponsabili di questa follia. Nel mondo, le 85 persone più ricche possiedono una ricchezza pari a quella dei 3,5 miliardi di persone più povere messe insieme.
Paura, pressione e disciplina per l’obbedienza – giustizia di classe
Parte della reazione di crisi statale autoritaria è che la magistratura sta condannando sempre più persone, poveri disgraziati finiscono spesso e volentieri in prigione, perché presumibilmente o effettivamente volevano prendersi una parte della torta. Dai tribunali vengono condannati coloro che presumibilmente o effettivamente ricevono qualche euro “ingiustamente” dal centro per l’impiego o coloro che gridano lo slogan “sbagliato” (secondo i padroni) alle manifestazioni. Invece i ricchi e i potenti, come i capitalisti, i miliardari e i politici coinvolti nell’affare Cum-Ex3, che hanno arraffato milioni , non vengono mai condannati.
Lo Stato autoritario in crisi dà priorità alla militarizzazione interna – l’armamento della polizia e dei servizi segreti – e alla militarizzazione esterna. Ciò significa che enormi somme di denaro vengono convogliate nella polizia, nell’esercito, nell’industria delle armi e nelle guerre. Al contrario, sempre meno arrivano a chi è colpito dalla povertà o da qualsiasi tipo di bisogno: un gigantesco processo di ridistribuzione dal basso verso l’alto. La gestione della crisi da parte dei governanti mira a rivitalizzare la “comunità nazionale” e a “stringere la cinghia” per le masse. Sono queste le parole che usano per parlare dell’impoverimento e dell’erosione sociale che sono conseguenze delle loro politiche di dominio e della decimazione del diritto di asilo fino a quando non ne rimarrà quasi nulla o fino a quando avranno il diritto di vivere nelle metropoli solo coloro che possono essere utilizzati dal capitale.
Due accoltellamenti – quelli di Solingen e di Mannheim – sono stati sufficienti a giustificare un rafforzamento globale della polizia, controlli alle frontiere, ulteriori passi avanti nel processo di abolizione del diritto d’asilo e deportazioni di massa. 360 femminicidi nel 2023, invece, non hanno spinto i potenti a fare nulla. La popolazione musulmana e i rifugiati sono oggi immagini nemiche volute e create dall’alto che ai fini essere utilizzate per costruire una “comunità nazionale”. Sostenendo che sono loro la causa dei problemi, chi è al potere divide e incanala il malcontento di ampie fasce della popolazione e nasconde il fatto che sono loro stessi e il capitalismo la causa dei problemi fondamentali.
Queste immagini stereotipate del nemico contribuiscono a giustificare politiche autoritarie e repressive e a creare un ampio consenso intorno ad esse. Questo funziona particolarmente bene nei periodi in cui è assente una sinistra sociale rivoluzionaria e anticapitalista di rilievo. Il consenso della destra neofascista e dell’intero spettro borghese è evidente.
I grandi problemi dell’umanità: la distruzione delle condizioni di vita ecologiche, il nazionalismo, la guerra e la povertà non possono oggettivamente essere risolti sotto il capitalismo. L’antifascismo è anticapitalista, o rimane inefficace.
L’ascesa della destra radicale in tutta Europa è espressione della crisi del capitalismo in atto e crescente. I partiti di destra che si stanno integrando nelle élite al potere in un numero sempre maggiore di Paesi dell’UE – Italia, Paesi Bassi, Austria, Francia e a livello europeo – stanno radunando dietro di sé una parte di coloro che sono stati lasciati indietro o che temono il declino sociale con soluzioni fasulle che non mettono in discussione il capitalismo. Le élite europee e i partiti di destra hanno da tempo nel loro programma la stessa soluzione alla crisi: uno Stato autoritario contro coloro che non obbediscono, lo smantellamento dello Stato sociale, l’armamento massiccio e l’aumento della capacità di fare la guerra, l’armamento della polizia e l’espansione dei suoi poteri, il controllo della società da parte della polizia e dei servizi segreti, il nazionalismo, i migranti come capro espiatorio della crisi e le deportazioni di massa.
Tutti i partiti della destra neofascista e del cosiddetto centro – dall’AFD ai Verdi – sono d’accordo su questo anche in Germania. È un’illusione sperare che il razzismo e la visione della “comunità nazionale tedesca” della destra neofascista possano essere contrastati in modo significativo con il razzismo e le simili visioni dello Stato borghese. Le visioni dell’AFD e di altri partiti di destra europei sono da tempo il consenso di chi è al potere e segnano il loro percorso verso il futuro.
I grandi problemi dell’umanità – distruzione delle condizioni di vita ecologiche, guerra e povertà – non possono essere oggettivamente risolti all’interno del capitalismo. La crisi globale del presente è il catalizzatore di tutto questo e sta portando il mondo verso un possibile abisso militare, nucleare e climatico. La soluzione può essere cercata solo in un’organizzazione anticapitalista e libera dal dominio dell’umanità, liberata dalla costrizione alla crescita insita nel capitalismo. In questa prospettiva, la radicalizzazione dello Stato e della società che sta emergendo con la crisi può essere contrastata solo con la ricerca di modi per trovare un sistema alternativo. La questione sociale, la resistenza alla guerra e alla militarizzazione interna ed esterna, la resistenza alla distruzione ecologica del pianeta da parte del capitalismo e l’organizzazione di un internazionalismo solidale segnano necessariamente questo percorso insieme.
Nella lotta dell’Occidente contro la minaccia di perdere l’egemonia globale, chi è al potere si affida alla militarizzazione e progetta una guerra di dimensioni pari alla terza guerra mondiale.
Siamo arrivati nell’era dello Stato sempre più autoritario. Questa è senza dubbio una condizione sociale minacciosa. Ma parla anche a favore di un maggior grado di instabilità del capitalismo. Nella sua avidità di profitto, ha bisogno delle possibilità di accumulazione, che stanno diventando sempre più difficili da realizzare. Passa da una crisi all’altra. È l’epoca delle guerre, degli sconvolgimenti sociali e della riflessione reazionaria sul popolo e sulla nazione. Ma suggerisce anche che le cose potrebbero sfuggire di mano a chi è al potere e si pone la domanda: cosa fare? Si svilupperanno in futuro lotte di classe che mettano in discussione e combattano le relazioni di sfruttamento e oppressione nei processi collettivi? In un’epoca di erosione sociale ed economica, di crescente rinegoziazione militare del potere e di irreversibile distruzione ecologica del pianeta, le domande su come si possa realizzare una trasformazione sociale sono più che mai esistenziali e attuali.
Il cerchio si chiude
I concetti rivoluzionari della storia non hanno potuto fornire le risposte al superamento del capitalismo. Tuttavia, ci troviamo fondamentalmente di fronte alle stesse domande in condizioni mutate.
Lo Stato si concentra sulla divisione
Illegalità, solidarietà e “terroristi”
Abbiamo incontrato molte persone in decenni di illegalità. Amici, alleati, vicini di casa, i miei coinquilini e molti altri. Ho vissuto per molti anni con persone che non sapevano da quale storia provenissi. Come clandestino, non è possibile parlare della propria illegalità. Vi prego di perdonarmi per questo.
Con la fine di questo periodo insieme è arrivata la repressione per loro. Perquisizioni domiciliari e in Wagenplätze: simulazioni di guerra locali – qualcosa che non ho mai voluto, ma che alla fine non ho potuto evitare. Le lotte rivoluzionarie ed emancipatorie sono seguite dalla repressione – e così sarà finché la lotta per l’emancipazione non trionferà sull’ingiustizia. Siamo parte della storia delle ribellioni mondiali che sono in corso da quando esistono la dominazione e gli schiavi. Esistono da quando il patriarcato, il capitalismo e il colonialismo sono il male dell’umanità. Da questa prospettiva, la responsabilità della repressione è dei governanti e di nessun altro; la repressione è uno strumento di dominio. Dal mio punto di vista – e dal nostro punto di vista – c’è solo una risposta: la solidarietà.
Unitevi contro la repressione di oggi contro Daniela!
Create (contro)informazione pubblica! Mostrate solidarietà!
Siamo come eravamo e siamo come molti ci hanno conosciuto durante il lungo periodo di illegalità. Le riflessioni sulle relazioni di violenza – violenza patriarcale, povertà e razzismo – fanno parte – come molte altre cose – degli incontri e delle amicizie con le persone durante questo periodo e fanno parte della mia e della nostra vita. Molto di ciò che abbiamo fatto con altri nei decenni della nostra illegalità, le strade che abbiamo percorso insieme, raccontano la ricerca di una realtà solidale ed emancipatrice al di là delle relazioni capitalistiche di violenza. Il legame con le altre persone in questo periodo è lo specchio della nostra realtà, di come e chi siamo.
Nella storiografia di chi è al potere, la resistenza fondamentale al sistema capitalista è descritta come crimine, violenza e terrore. L’immagine creata mira a sostituire la realtà e a nascondere il fatto che è la violenza strutturale del sistema il grande problema dell’umanità. L’immagine fabbricata del “terrorista” ha lo scopo di depoliticizzare la storia della resistenza contro le relazioni capitalistiche di violenza, di dividere, di oscurare il fatto che la violenza di Stato e le relazioni violente del sistema capitalistico sono in realtà solo terrore per molte persone nel mondo.
“Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!” (Georg Büchner – 1834)
Chiunque passi dalla protesta alla resistenza può essere definito un “terrorista”. Le innumerevoli storie di ribellioni e di resistenza lo dimostrano: Klaus Störtebecker, Thomas Müntzer, Georg Büchner; il rivoluzionario sociale, anarchico e insorto contro il reazionario Impero tedesco August Reinsdorf, giustiziato nel 1885; il comunista conciliare, critico del KPD, attivista del Rote Hilfe (organizzazione che fornisce supporto legale ed economico a militanti colpiti da repressione) , autore del primo concetto di guerriglia urbana e militante delle rivolte operaie degli anni Venti Karl Plättner; Olga Benario, Georg Elser, Phoolan Devi, Durruti, Che Guevara, Angela Davis, Ulrike Meinhof, Sigurd Debus, Patrice Lumumba, Nelson Mandela, Assata Shakur, Sakine Cansiz, Mumia Abu Jamal. Che si tratti della Comune di Parigi o dei Giacobini Neri – il popolo schiavizzato dal colonialismo europeo che ha combattuto per la liberazione nell’odierna Haiti nella rivoluzione anticoloniale dal 1791 in poi; che si tratti dei partigiani in molti Paesi europei contro il nazifascismo o degli anarchici della CNT in Spagna contro la dittatura militare, che si tratti della lotta rivoluzionaria delle Pantere Nere, del Movimento del 2 giugno, delle Rote Zora o della resistenza dell’ANC contro l’apartheid – sono stati tutti “terroristi” secondo la propaganda di chi è al potere.
Il terrore non ha nulla a che fare con noi, ma molto con i governanti e il sistema capitalista.
Il termine terrore non ha nulla a che vedere con la controviolenza rivoluzionaria, che è l’autodifesa rivoluzionaria dei movimenti emancipatori della storia, diretta esclusivamente e specificamente contro i governanti. Il terrore descrive la violenza indiscriminata per imporre il dominio o garantirlo. Il termine “terrorista” nella società borghese assumerebbe, tra l’altro, un significato reale come auto-incriminazione e descrizione di coloro che detengono il potere e sarebbe quindi un termine significativo invece di una frase manipolatoria. Oggi il termine “terrorista” è soprattutto uno strumento di dominio. Lo sfruttamento, la repressione, il regime di Frontex, la giustizia di classe e il sistema carcerario; la fame, le guerre, i colpi di stato e le dittature militari sotto la direzione dei centri capitalistici e con la responsabilità storica di ogni governo federale tedesco: i milioni di morti non si contano più – il terrore non ha nulla a che fare con noi, ma molto con loro e il loro sistema.
La solidarietà non ha limiti
In una situazione di debolezza, ha significato molto e ci ha dato coraggio la manifestazione di solidarietà a marzo a Berlino per la libertà di Daniela e la solidarietà con noi in situazione di illegalita, contro le perquisizioni a Wagenplätze e abitazioni, contro l’agitazione e tutto il terrore di Stato; i presidi di solidarietà al carcere di Vechta, gli slogan sul muro e le manifestazioni di solidarietà in vari Paesi europei.
Per più di tre decenni siamo stati in grado di organizzarci collettivamente al di fuori dei percorsi tracciati dalla società borghese, che non aveva in programma per noi altro che l’incarcerazione o la fucilazione. Siamo riusciti a trovare il modo di condurre una vita in cui, attraverso tutti gli alti e bassi, potesse emergere una realtà sociale diversa dalla normalità capitalista di alienazione, isolamento e sfruttamento. Nessuno può toglierci questo. Rimarrà parte della storiografia dal basso.
Solidarietà tra noi – con chi si è ribellato, si sta ribellando o si ribellerà a questo sistema ieri, oggi o domani
Daniela – rinchiusa in una cella di prigione giorno dopo giorno. E questo nonostante la assurda realtà dei rapporti dimostri che possono avere alcune leggi dalla loro parte, ma la legittimazione, quella non ce l’hanno. I tentativi storici di innumerevoli persone, nel corso di molti secoli, di superare queste condizioni – contro la violenza di coloro che vogliono che tutto rimanga com’è, che dichiarano sbagliata l’emancipazione e la liberazione umana e giusta l’ingiustizia – erano e sono del tutto legittimi.
La magistratura dello Stato successore del nazismo, che non ha quasi mai condannato i nazisti per nazifascismo, sta ora pianificando anni di processi-farsa contro Daniela, in cui sarà condannata come rappresentante della storia dell’opposizione fondamentale e rinchiusa in carcere per molti anni. Lo Stato punta sulla deterrenza, prendendo di mira non solo Daniela ma tutti coloro che non si adeguano, che non accettano che l’umanità non ha alternative al capitalismo e quindi alla distruzione del pianeta. Una farsa che riguarda tutti coloro – indipendentemente dalla loro storia e dal loro punto di vista – per i quali il capitalismo non deve rimanere l’ultima parola della storia.
Solidarizzatevi!
Rendere possibile l’impossibile, come diceva Che Guevara, ha un significato esistenziale per l’umanità di oggi: imparare a ripensare l’alternativa sistemica in processi collettivi contro gli abissi della “svolta di un’epoca” e lottare per essa collettivamente e a livello internazionale; rompere la logica di chi ha il potere secondo cui non c’è alternativa al capitalismo – “non c’è alternativa” – in noi e in tutte le relazioni. La finestra storica del cambiamento epocale – l’erosione sistemica e sociale del capitalismo – si sta attualmente aprendo sempre di più. Una nuova era di barbarie è in agguato nella continua escalation dei rapporti. Solo le lotte di un contromovimento sociale rivoluzionario potrebbero fornire un’alternativa.
“Socialismo o barbarie” – come aveva pronosticato Rosa Luxemburg nel 1919, prevedendo così con precisione la realtà storica: dopo la Prima guerra mondiale e la crisi economica mondiale dell’epoca, si è aperta la finestra dell’erosione del capitalismo e della rivoluzione. Dal 1918 al 1923, il movimento operaio, le femministe rivoluzionarie, gli anarchici e i comunisti tedeschi tentarono di portare avanti la rivoluzione socialista. Allo stesso tempo, gran parte dell’umanità si sollevò in rivolte nei cinque continenti. In Germania, il tentativo del movimento operaio insurrezionale di superare il capitalismo fallì. Sarebbe stato l’unico modo per evitare la successiva epoca di barbarie. Il tentativo di rivoluzione socialista fu stroncato e rimase il capitalismo, che in Germania prese la forma del nazifascismo e culminò nella Seconda guerra mondiale e ad Auschwitz.
Con l’odierna profonda crisi del capitalismo e i cambiamenti epocali in atto a livello mondiale, il momento storico dell’“o l’uno o l’altro”, “socialismo o barbarie”, potrebbe ripresentarsi con una chiara tendenza e una velocità crescente. La fissazione sui partiti borghesi-fascisti-capitalisti non potrà impedire lo sviluppo dello Stato tedesco in crisi e dell’UE verso un crescente autoritarismo e la guerra. Non c’è nulla da salvare. Solo un’abolizione del capitalismo combattuta dal basso nel processo di trasformazione potrà porre fine a questo sviluppo.
Oggi, l’alternativa social-rivoluzionaria alla progressiva fascistizzazione del sistema capitalista, alla diffusione della povertà anche nelle metropoli, all’imminente guerra globale e alla distruzione ecologica del pianeta sarebbe un socialismo che impari dagli errori della storia e che offra quindi la possibilità di costruire una società liberata – per un mondo di collettività, di libertà dal patriarcato, dallo sfruttamento, dal dominio e dalla nazione, nonché per la sopravvivenza della natura.
Questo mondo non sarà possibile senza un movimento militante, creativo e diversificato che sia presente nella crisi crescente e nelle lotte sociali del futuro in rapida crescita. Questo sarebbe la ricostruzione della capacità d’azione di una sinistra anticapitalista, socialrivoluzionaria e internazionalista che lavora oltre i propri confini. La fine del sonno della Bella Addormentata: è tempo – è tempo – di muoversi.
Solidarietà a Daniela!
Solidarietà ai compagni in esilio, a tutti i clandestini e ai prigionieri delle lotte degli Antifa, della resistenza, dei compagni curdi e turchi, del movimento per il clima e di tutte le altre lotte emancipatrici nel mondo!
La richiesta di rilascio immediato di Daniela è giustificata.
Martin
(Burkhard Garweg)
1Gioco di parole in tedesco: “scheißegal” significa “qualsiasi cosa”, “è lo stesso”, “chi se ne frega”, da cui l’incipit del testo: “Legal, illegal, scheißegal”
2Nationalsozialistischer Untergrund, Clandestinità Nazionalsocialista, gruppo neonazista tedesco attivo dal 1997 al 2011 e responsabile degli omicidi di 9 immigrati e 1 poliziotto, una bomba in un quartiere popolare di Colonia che ferì 22 persone e 15 rapine.
3Frode internazionale sui dividendi azionari da parte di banche, studi legali e agenti di borsa. Scoperta nel 2018 in seguito all’inchiesta di diverse testate giornalistiche, durava da vent’anni e pare abbia portato all’appropriazione indebita di circa 150 milioni di euro.
Saluti di alcuni dei clandestini per oggi
20 gennaio 2025
Cari amici e amiche che ora siete dietro le sbarre,
vi salutiamo e vi auguriamo tutta la forza per il cammino che avete davanti. Anche se vi attende un periodo dietro mura grigie e fredde sbarre, anche questo tempo passerà e noi vi aspetteremo qui fuori. Tenete nel cuore il vostro desiderio di libertà e sappiate che nei pensieri sarete sempre con noi.
Cari compagni e compagne che in questo momento siete ovunque in solidarietà per le strade,
vi siamo grati per la vostra solidarietà e vi auguriamo ogni successo in tutte le vostre attività!
Ci opponiamo risolutamente a qualsiasi tentativo di divisione tra la scelta autodeterminata di costituirsi e la permanenza in clandestinità. I compagni e le compagne che si sono costituiti oggi negli ultimi due anni hanno dimostrato che è possibile resistere/sfuggire alle autorità repressive dello Stato. Soprattutto di fronte alla repressione crescente, le esperienze degli ultimi due anni sono preziose per noi come movimento. Possiamo costruire su questo e espandere la vita in clandestinità. Per questo il momento di costituirsi volontariamente non deve essere visto come una sconfitta.
Oltre alla realtà che è possibile eludere le autorità repressive, dobbiamo anche occuparci di far parte delle lotte politiche e quindi di passare dal “solo” fatto di eludere la repressione al diventare “agenti” attivi. Questo è un compito che dobbiamo affrontare come movimento nel suo complesso. A causa dello spostamento della società verso destra, delle guerre e dei tagli sociali – in breve, un’intensificazione della crisi del capitalismo – la lotta di classe diventerà più profonda e quindi la repressione si intensificherà ulteriormente. Ciò significa che la clandestinità sarà sempre più presente nella discussione della sinistra rivoluzionaria.
I compagni e le compagne hanno dato un prezioso contributo in tal senso, di cui faremo tesoro.
Lo consideriamo il nostro compito e ci assumiamo questa responsabilità nei confronti dei compagni e delle compagne in carcere. Vi auguriamo tanta forza e perseveranza.
Ci rivedremo in libertà!
Per concludere citiamo i nostri amici che si sono costituiti oggi:
“Siamo qui oggi per la libertà e la vita, per un mondo senza fascismo e oppressione. Se la gente vuole toglierci la libertà per questo, lasciamo che lo facciano.
La storia ci assolverà!”.