Milano: Sui fatti del 7 dicembre
Riceviamo e diffondiamo. Nel frattempo gli scontri a Torino, a Roma e a Bologna hanno portato in strada ben altra rabbia, dando una certa consistenza alle parole “Vendetta per Ramy”.
Sui fatti del 7 dicembre
Milano, 7 dicembre. Il corteo cittadino contro guerra e DDL 1660 è appena finito: scendendo in metro a Cairoli, ci troviamo di fronte ad una scena sconcertante. Dopo un breve inseguimento cinematografico da parte di individui in borghese, alcune persone sono state fermate sulle scale in malo modo tra urla e minacce.
Non potendo intervenire in alcun modo sul momento – a causa di una ventina di brutti ceffi atti ad imbruttire chiunque osasse avvicinarsi – nei giorni successivi abbiamo chiesto notizie: a 4 persone è stato contestato il reato di imbrattamento, riguardo una scritta “Ramy vive” sulla base del monumento a Garibaldi di Largo Cairoli.
Sono state aperte delle indagini preliminari a riguardo, con la promessa/minaccia di denunce in arrivo.
Per una denuncia di questo tipo, che rientra nell’ambito penale, la pena prevista va dai 6 mesi ai 3 anni, mentre a livello di denaro si parla di cifre tra i 1500 e i 10000 euro, senza contare le spese legali.
Tutto questo per una scritta.
Tutto questo in un corteo contro un decreto sicurezza che, come ormai chiunque sa, trasforma definitivamente l’italia in uno stato di polizia.
Ci viene da pensare che forse il problema non è la scritta in sé, bensì il fatto che, poche settimane dopo che un ragazzo è stato ucciso dalla polizia, nel mezzo dell’esplicitazione più palese del fascismo di stato, la cosa più grave che succeda è una scritta.
In un corteo dove il movimento si è rivendicato, a posteriori, le contestazioni del ‘68 e l’assalto alla prima della Scala del ‘76, in piazza la cosa più briosa – la vicenda che la stessa polizia ha trovato più interessante seguire – è stata una scritta. Forse perché oramai l’unico livello di conflittualità che si riesce ad esprimere è quello all’interno delle regole, un po’ opache e un po’ mafiose, che il movimento e gli sbirri hanno concordato di seguire, anche solo inconsciamente.
Certo che potete imbrattare gli edifici, basta che la vernice sia lavabile.
Certo che potete scuotere le transenne, basta che non le buttiate veramente giù.
Certo che potete protestare per l’uccisione di un diciannovenne a causa della polizia, basta che non facciate casino, che non vi facciate vedere, che sia una cosa pacifica.
Certo che potete pensare alla rivolta, basta che non pensiate veramente di iniziare, pur sbagliando, pur facendo passi falsi, ma iniziando.
E soprattutto non osate pensare che si possano oltrepassare dei limiti, che la vostra rabbia si possa esprimere anche nelle le azioni, che a volte si possa veramente alzare l’asticella ed essere quella goccia che fa traboccare il vaso.
Sono ormai troppi anni che le lotte si sono incagliate nelle manette di cui esse stesse hanno le chiavi. Troppi anni che si trovano scuse assurde per le dinamiche di potere, per i personalismi, per il patriarcato e il razzismo latenti.
Le uniche forme di conflittualità e di rabbia permesse da questo teatrino sono sceniche e rituali, legittimando così il fatto che lo stato sia l’unico detentore della violenza.
Con questa lettera, vogliamo mandare la nostra solidarietà a chi questi schemi, che sembrano ormai cementificati e intoccabili, cerca di romperli ogni giorno, nelle parole e nei fatti.
La resistenza è vita, libertà per le imputate.
Ramy vive.
Delle zecche arrabbiate