ENI DI CALENZANO COME L’ENEL DI SUVIANA: UN’ALTRA STRAGE DI LAVORATORI

Segnaliamo questo comunicato del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Sesto San Giovanni sull’ennesima strage di operai compiuta in nome del profitto. Su due cose ha particolarmente ragione il Comitato di Sesto: i lavoratori fanno notizia solo quando muoiono a grappoli; senza autorganizzazione e lotte avremo solo chiacchiere, lacrime di coccodrillo e qualche inutile “sciopericchio”. A questo aggiungiamo che Eni è la stessa che saccheggia e devasta in giro per il mondo e che è pienamente responsabile del genocidio del popolo palestinese per le mire – in comune tra il “cane a sei zampe” e il governo israeliano – sui giacimenti di gas al largo delle coste di Gaza.

ENI DI CALENZANO COME L’ENEL DI SUVIANA: UN’ALTRA STRAGE DI LAVORATORI

A pochi mesi dalla strage all’Enel di Suviana – svanita nel nulla da punto di vista dell’informazione dopo le lacrime da coccodrillo e i “mai più” dei soliti politici e dei soliti media – ieri un’esplosione nell’impianto ENI di Calenzano causa la morte di 5 lavoratori e il ferimento gravissimo di altri 26 (fino ad ora).

Sono Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso, Gerardo Pepe, Franco Cirielli e Davide Baronti.

Autotrasportatori e manutentori che giravano il Paese per fare il proprio lavoro e che ieri si trovavano proprio nei pressi delle cisterne esplose dove la deflagrazione li ha colpiti in pieno senza dar loro scampo.

ENI non è una fabbrichetta di fuochi artificiali che salta in aria.

ENI è un’azienda multinazionale, l’azionista di controllo è il nostro Ministero dell’Economia, è una società che opera in 61 paesi con più di 30.000 dipendenti nei settori del petrolio, gas naturale, chimica, energia elettrica e altri.

Un colosso quindi, esattamente come l’ENEL.

Nello stabilimento di Calenzano – 170 mila mq. – vengono stoccati in 24 serbatoi i carburanti che arrivano dall’oleodotto di Livorno. Una scintilla (da quanto si sa finora) ha provocato una enorme esplosione e chi si trovava nel piazzale centrale non ha avuto scampo. Anche lavoratori di altri siti nelle vicinanze sono finiti all’ospedale con lesioni dovute allo scoppio dei vetri a un chilometro di distanza e traumi alle orecchie.

Negli ultimi tempi, denunciano i sindacati, si risparmiava sui costi facendo fare ai camionisti – e non a personale specializzato – il lavoro di carico dei carburanti (e vedrete che la colpa ricadrà proprio su di loro, ultimo anello di una catena insanguinata che ha il profitto a tenerla insieme).

Tra l’altro lo stabilimento è situato in un luogo particolare: si trova a 40 metri dalla linea ferroviaria Firenze-Bologna, a 800 metri dall’autostrada A1 e a 5 km. dall’aeroporto Vespucci; nei pressi ci sono hotel, altre fabbriche, un centro commerciale. Poteva essere un’altra Viareggio.

Lo denuncia Medicina Democratica che oggi, per bocca del suo presidente Marco Caldiroli, dice: “Nel 2017 e nel 2020 il Comitato Tecnico regionale, nel verificare la situazione all’interno dei reparti in relazione agli impianti di sicurezza, aveva rilevato che non erano all’altezza di un rischio maggiore. Nel 2023 ‘improvvisamente’ tutto si sistema”. Caldiroli si chiede anche in cosa sia consistita questa “improvvisa” sistemazione: in un effettivo intervento concreto sugli impianti o in qualcosa che sta solo nelle carte?

I morti e i feriti di Calenzano – come quelli di altre stragi e come lo stillicidio di morti di lavoro ogni giorno – sono lo specchio del lavoro operaio in Italia: italiani e stranieri, giovani e anziani, mandati allo sbaraglio pur di risparmiare sulla sicurezza.

E lo diciamo chiaramente anche se “l’inchiesta è in corso”. Inchiesta che finirà per accertare che le misure di sicurezza non venivano adottate correttamente, che non erano adeguate al rischio, che i camionisti rimasti uccisi non erano formati per effettuare il lavoro che stavano eseguendo, che c’erano già state denunce – inascoltate – sul pericolo rappresentato non solo per i lavoratori ma per tutto l’intorno.

E quanti “punti” toglierà a se stesso – in quanto proprietario – lo Stato italiano e questo governo che non vuole “disturbare il manovratore”?

Anche quelli di Calenzano (ENI), di Brandizzo (Rete Ferroviaria Italiana), di Suviana (ENEL) sono i morti di “progresso” di aziende fiore all’occhiello, progresso che è precarietà, risparmi sulla sicurezza per massimizzare i profitti, condizioni di lavoro ottocentesche.

Quel “progresso” che da più di trent’anni – complici leggi che governo dopo governo, di ogni colore, hanno portato alla precarietà più selvaggia in nome del profitto e alla totale impunità dei padroni – fa ogni anno più di 1.500 morti di lavoro, che fanno notizia solo quando muoiono in gruppo come ieri.

Per qualche giorno sentiremo nuovamente l’ormai insopportabile piagnisteo di istituzioni, politici e giornalisti, i sindacati confederali faranno uno sciopericchio e… tutto continuerà fino alla prossima strage. Zitti invece i mandanti, i padroni a cui è assicurata l’impunità, perché le leggi si fermano alle porte dei luoghi di lavoro.

Il capitalismo è sfruttamento, miseria e morte di tanti per il profitto di pochissimi; è un tritacarne che ingoia i proletari e che continuerà a farlo finchè non lo rovesceremo.

Con questo nuovo lutto nel cuore, ripetiamo quanto detto innumerevoli volte.

Il primo passo da fare è organizzarsi, lottare per difendere la nostra vita e

A CONDIZIONI DI MORTE NON LAVORARE.

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

Sesto S. Giovanni, 10.12.2024