Nessun silenzio di fronte alla guerra. Introduzione alla versione tedesca (ed inglese) de “La tempesta”
Nessun silenzio di fronte alla guerra
Introduzione alla versione tedesca (ed inglese) de “La tempesta”
Riceviamo e diffondiamo in italiano l’introduzione all’edizione tedesca (e poi inglese) del numero unico La tempesta – L’imprevisto palestinese nella guerra globale, già compresa nelle rispettive traduzioni del numero unico (https://ilrovescio.info/2024/05/21/la-tempesta-limprevisto-palestinese-nella-guerra-globale-numero-unico-scaricabile/).
Sentiamo vicini i suoi autori tanto per le posizioni espresse quanto per la tensione internazionalista e disfattista che li (e ci) anima. Unico punto di dissenso, il modo in cui vengono toccati i fatti del 7 ottobre, un atto di resistenza anticoloniale che per noi non può essere accostato allo stragismo indiscriminato, e sul quale crediamo che pesi ancora molto una falsificazione mediatica già abbondantemente dipanata dalla controinformazione (palestinese e non solo) ma non ancora sconfitta nell’immaginario comune. Ciò detto, se i fatti hanno la testa dura, non basta certo ricostruirli per sciogliere tutti i nodi politici ed etici di quella giornata, dalla egemonizzazione da parte di Hamas di un’azione decisa e condotta da tutta o buona parte della resistenza palestinese (cani sciolti compresi), alla questione della violenza mirata e discriminata, che merita quantomeno una problematizzazione quando a scontrarsi sono una popolazione imprigionata e una quasi interamente mobilitata nell’esercito e nell’occupazione coloniale (solo per fare un esempio: basta il semplice passare degli anni perché un avamposto di coloni venga considerato un villaggio di civili israeliani?). Questioni ampie, che qui accenniamo soltanto.
Intanto buona lettura, e guerra alla guerra dei padroni!
Introduzione all’edizione tedesca (a cura dei traduttori)
Venti di guerra soffiano sempre più insistenti e più passano i mesi, più la situazione globale sembra precipitare irrimediabilmente verso la mondializzazione della guerra. I delicati equilibri geopolitici vengono minati in maniera consapevole e scellerata da governanti senza scrupoli poco inclini, come di consueto, a prendere in considerazione chi poi le loro scelte è costretto a subirle sulla propria pelle. Da quando i testi presenti in questo numero unico sono stati redatti, da compagni e compagne dell’assemblea Sabotiamo la guerra, al momento in cui sono stati tradotti da chi scrive questa introduzione, sono passati alcuni mesi. Non anni o decenni. Meno di un anno in realtà. Ma come ben sappiamo la storia non attende le nostre analisi.
Il blocco occidentale e tutti i suoi sostenitori continuano a foraggiare l’esercito ucraino con rifornimenti e armi di ogni tipo e, dopo un lungo periodo di stallo, dopo l’arrivo di una quantità enorme di finanziamenti ed equipaggiamenti, dopo l’ok da parte degli Stati Uniti all’utilizzo di armi americane in territorio russo, è partita la controffensiva dell’esercito di Kiev, che è addirittura riuscito a sconfinare in territorio nemico nella regione di Kursk. Ora, fra minacce di un’apocalisse nucleare da parte di Putin e proclami altisonanti da parte di Zelensky, fra aberranti rivendicazioni di attacchi con missili termobarici (ordigni da mezza tonnellata in grado di incendiare letteralmente l’aria con un raggio di morte e devastazione enorme) da parte russa e sguaiate esultanze per riusciti bombardamenti sulle regioni russe di Kursk e Belgorod da parte ucraina, fra tutto questo rimane la povera gente, gli oppressi, obbligati a sottostare a perfidi giochi di potere. Costretti al reclutamento forzato da una parte e dall’altra del fronte. Persone catturate per strada, rinchiuse e mandate a morire in nome della “democratica” Patria. Prigionieri prelevati dalle celle e spediti al fronte con biglietto di sola andata per espiare i propri peccati in nome della “denazificazione”.
Nel frattempo anche nell’altro fronte caldo gli eventi continuano a susseguirsi e, se vogliamo, a degenerare senza soluzione di continuità.
Il governo israeliano continua nella sua opera di sterminio e pulizia etnica su territorio palestinese e contemporaneamente il Mossad, l’unico servizio segreto che, come storicamente dimostrato, non sembra dover rispondere ad alcun codice di condotta internazionale, porta avanti, come da tradizione, spericolati piani di eliminazione di nemici su territori stranieri, in particolare, per ora, in Libano e Iran. Ma altri nemici sono ospitati in Qatar, altri ancora nel corso della storia hanno trovato rifugio in Russia, in Turchia, solo per citare casi a noi noti. Fin dove si spingerà dunque non è dato sapere. A tutto ciò si aggiunge il bombardamento di consolati in Siria e l’escalation nel Mar Rosso. Se ad ogni azione corrisponde una reazione, quel che è certo è che questa avventurosa politica estera israeliana e di tutto il blocco occidentale che la supporta, sta chiaramente modificando la situazione geopolitica dell’Asia occidentale (e non solo) e potrà avere ripercussioni drastiche in termini di allargamento del conflitto e di potenziali nuove alleanze.
Così come cambiano gli equilibri mondiali e lo scontro fra blocchi si inasprisce e si complica, parallelamente continua anche la presenza nelle strade, di giorno e di notte, di chi di stare zitto e a testa bassa proprio non ne vuole sapere. In Germania, in Francia, in Inghilterra, molte sono state le azioni che hanno preso di mira i complici della guerra. A Berlino da mesi si susseguono azioni contro le sedi dei socialdemocratici della SPD e dei Grüne. Sono state attaccate aziende che fanno ingenti affari con la guerra come Tesla, CEMEX, Bauer, Thyssenkrupp, Deutsche Bahn, Thales e potremmo continuare a lungo. Istituzioni come la ZUG e la Confederazione delle Forze Armate Tedesche hanno subìto danneggiamenti a maggio, senza dimenticare l’attacco incendiario contro il palazzo del comune di Berlino-Tiergarten, sulla cui facciata è stata lasciata la scritta «Se Gaza brucia, Berlino brucia». Ogni sabato, praticamente dall’avvio di quest’ultima operazione di sterminio della popolazione palestinese, molte persone si ritrovano nel quartiere di Neukölln (dove la presenza turca e araba si fa notare in maniera evidente) e non di rado si verificano disordini tra i manifestanti e la polizia. Cosa non da poco dati i tempi che corrono, dove il conflitto nelle strade è ai minimi termini praticamente in tutta Europa, salvo forse in Francia dove spesso gli animi continuano a scaldarsi ed anche lì l’intervento del proletariato di origini arabe gioca un ruolo non da poco.
Di fronte a tutto questo e all’evolversi continuo della guerra, siamo convinti che le nostre analisi debbano avere quella elasticità indispensabile a comprendere ed approfondire la realtà nel suo perenne sviluppo. Non con l’obiettivo di sederci in cattedra a dispensare lezioni di storia, ma con l’intento di ampliare il dibattito, svilupparlo, attualizzarlo e tradurlo in pratica. Intervenendo in senso rivoluzionario ed internazionalista nelle questioni a cui tutti noi, in quanto oppressi, ci troviamo di fronte in questa fase storica.
Come anarchici riteniamo essenziale andare a fondo delle questioni, evitando di fermarsi a letture superficiali e semplicistiche dell’esistente. Diffidiamo di chiunque, autorità istituzionali o strutture antagoniste, voglia imporci visioni riduttive e dicotomiche della realtà (ciononostante troviamo interessante notare quanto l’approccio a determinati fatti sostenuto da queste due entità apparentemente contrapposte risulti pressoché identico). Siamo convinti che in situazioni di crisi, quando le problematiche che ci si trova a dover affrontare si aggravano, diventano macroscopiche, i nodi vengono al pettine e diventa più facile comprendere su chi è possibile fare affidamento e su chi no. L’unica dicotomia che accettiamo è quella che divide il mondo in oppressi e oppressori, in sfruttati e sfruttatori. Non riconosciamo alcuna “urgenza” che possa giustificare l’oltrepassamento – anche solo temporaneo – di questa linea di demarcazione. Rifiutiamo qualsiasi forma di interclassismo e di fronte unitario in nome di un presunto male minore. La storia ci ha dimostrato e continua a farlo, quanto le aree antagoniste che finiscono consciamente o inconsciamente su questa china scivolosa, non fanno altro che prestare il fianco al potere e diventare gli utili idioti al servizio di padroni, forze controrivoluzionarie (democratiche o autoritarie che siano) e di recupero. A chi ci accusa di dogmatismo, rispondiamo in maniera molto pragmatica che non intendiamo avere nulla a che fare con chi sceglie di collaborare in maniera miseramente attiva con un esercito regolare, e dunque inquadrato in seno a uno Stato, con i servizi segreti (nazionali e esteri) dello Stato in guerra, con la sua polizia militare e tutti gli altri scagnozzi statali. Non abbiamo e non avremo mai niente a che fare con questa gente nemmeno a guerra finita, perché semplicemente non sarà possibile costruire rapporti di fiducia con chi ha deciso di percorrere queste assurde strade. A chi ci intima di non poter esprimerci «non trovandosi sotto le bombe» rispondiamo che non è nostra abitudine farci mettere a tacere e che è proprio quando non ci si trova sotto le bombe che si devono e si possono elaborare ragionamenti lucidi per prepararsi a tempi peggiori e per evitare, per quanto possibile, di commettere gli stessi errori commessi da altri. La nostra solidarietà va a chi al fronte ci si trova non per scelta, ma per condizione. A tutti i proletari costretti a subire una guerra capitalista che non è la loro.
Analogamente respingiamo l’assurda banalità di dover imprescindibilmente e preventivamente esprimersi contro ogni efferatezza del mondo arabo se si vuole criticare il genocidio sionista della popolazione palestinese. Non presteremo il fianco a chi tenta di travisare la realtà inquadrando il massacro in corso come semplice difesa in seguito a un attacco subìto. Il tentativo di cancellare la popolazione palestinese dalla faccia della terra è un’attività quotidiana, strutturale e strutturata, che va avanti da decenni e si configura come un «principio organizzativo» dello Stato di Israele. Sappiamo tutti benissimo che è così. Lo sanno anche coloro che intendono mascherare le loro posizioni filo-israeliane lanciando accuse di antisemitismo o di un paradossale quanto improbabile nostro sostegno alla leadership di organizzazioni politiche di stampo religioso. Crediamo che confondere l’effetto con la causa sia un sintomo proprio di una tendenza alla relativizzazione e di una certa incapacità di andare al nocciolo delle questioni. Da parte nostra siamo convinti che l’affermarsi di determinate organizzazioni autoritarie e reazionarie è l’effetto violento di anni e anni di soprusi, massacri, violenze occidentali su quei territori. Lo è in Palestina, lo è in Afghanistan, lo è in Iraq, lo è in Nigeria e lo è in molti altri territori dove l’occidente ha da sempre allungato le sue sporche mani. Riteniamo che certi fenomeni siano la naturale e brutale espressione (spesso in mancanza di alternative percorribili) di sentimenti di vendetta, rabbia e rivalsa dei quali sono impregnati gli oppressi e gli sfruttati che vivono in quella parte di mondo che gli occidentali hanno deciso di schiavizzare, violentare, terrorizzare, affamare e occupare. Anziché meramente scandalizzarsi e indignarsi dal nostro comodo divano, guardando i notiziari sulla nostra grande smart tv, contro gli ignobili barbari che si lanciano con degli aerei contro i grattacieli occidentali, che sparano e si fanno esplodere dentro una discoteca di una delle capitali più glamour d’Europa, che si fiondano con dei deltaplani su chi ha deciso di andare a ballare a cinque chilometri di distanza dalla prigione a cielo aperto più grande del mondo in faccia a milioni di disperati, invece di sconvolgersi e basta davanti a questi orrori, dicevamo, beh, sarebbe il caso di porsi quantomeno un paio di domande. Con questo non vogliamo di certo legittimare o peggio glorificare stragi indiscriminate di civili, né ovviamente incensare i gruppi, le organizzazioni e gli individui che le compiono (crediamo sia paradossale doverlo precisare, ma tant’è), il nostro intento è chiarire in maniera incontrovertibile cosa intendiamo per approfondimento e analisi della realtà.
Sappiamo benissimo che certe posizioni provocano forti mal di pancia all’Internazionale riformista, ma pensiamo che moderarsi in nome di una ricerca spasmodica di una illusoria unità di movimento sia una pratica controproducente, poco lungimirante ed altamente energivora. Al contrario siamo convinti che parole chiare e coerenza siano strumenti utili per orientarsi nell’ostile mondo che ci circonda.
È con queste idee in testa e con questo spirito che abbiamo deciso di tradurre La Tempesta. Perché crediamo che l’imprevisto palestinese nella guerra globale richieda una presa di posizione da parte di noi anarchici. Una presa di posizione che non può tradursi né in neutralità, né in intervento diretto sul campo. Non stiamo dunque parlando di imbracciare le armi e andare a combattere in Palestina, né tanto meno sostenere la nascita di uno Stato palestinese sulle rovine di quello israeliano. Stiamo parlando di solidarietà rivoluzionaria fra oppressi. Stiamo parlando di puntare sulla sconfitta degli oppressori, impegnandoci in primis contro quelli di “casa nostra” e agire in tal senso. Non in maniera astratta o simbolica, ma con tutta la concretezza e intransigenza di cui siamo capaci.
Siamo altresì convinti che la condivisione di contenuti e gli incontri a livello internazionale possano dimostrarsi un piccolo passo per muoversi in una direzione che noi percepiamo come urgente e essenziale. Quella della creazione di affinità che possano riversarsi in un movimento in grado di mettere in crisi la macchina bellica, in tutte le sue ramificazioni. Non abbiamo ricette già belle e pronte sul come si ferma l’apparato della guerra, al contrario siamo abituati a stare in guardia da chi tenta di somministrarcene. A tal proposito riteniamo auspicabile e fondamentale un allargamento del dibattito. Siamo convinti che il confronto – anche duro – fra individui e ancor più fra compagni e compagne, rappresenti un’occasione preziosa di crescita. Tramite la conoscenza e la determinazione è possibile trovare delle vie per intervenire concretamente e fuor di retorica nella realtà che ci circonda. Cerchiamo di non sprecare le occasioni che ci si presentano.