Azioni autonome contro Amazon in solidarietà con la Palestina
Azioni autonome contro Amazon in solidarietà con la Palestina. Incluso un resoconto da Lacey, Washington
Il 17 e 18 dicembre, i manifestanti in Oregon e Washington hanno bloccato due magazzini e un cantiere di Amazon per dare una risposta alla complicità di Amazon nel genocidio di Gaza e alla distruzione che sta provocando nel mondo naturale. Questa è l’ultima di una serie di azioni di solidarietà nella regione e in tutta la costa occidentale, che dimostrano quanto possa essere efficace l’organizzazione senza leader.
Il 17 dicembre, i manifestanti a Lacey, Washington, hanno chiuso un centro logistico di Amazon. Un partecipante descrive integralmente questa azione nel resoconto riportato di seguito. Un altro resoconto dell’azione appare qui [https://pugetsoundanarchists.org/lacey-reportback-from-blockade-the-genocide-action/].
La mattina seguente, il 18 dicembre, i manifestanti hanno interrotto i lavori in un cantiere edile di proprietà di Amazon nel sud dell’Oregon per esprimere solidarietà ai palestinesi. Sono entrati nel cantiere di Table Rock Road a Central Point, dove Amazon sta tentando di costruire un enorme magazzino e una struttura di distribuzione via terra. Per richiamare l’attenzione sulla relazione finanziaria di Amazon con il governo israeliano, i partecipanti hanno portato striscioni con le scritte “Palestina libera”, “Amazon trae profitto dal genocidio” e “Los Pueblos Unidos Jamás Serán Vencidos” [“I popoli uniti non saranno mai sconfitti”]. Hanno distribuito volantini sia in inglese che in spagnolo che spiegavano l’azione. Uno dei loro intenti era dimostrare che anche le comunità rurali e le piccole città possono agire, poiché gli obiettivi sono presenti ovunque. Ovunque tu viva, probabilmente c’è un magazzino Amazon non lontano.
Altrove, lo stesso giorno, attivisti ecologici hanno bloccato un magazzino di Amazon a Seattle, Washington, utilizzando un treppiede e dei dispositivi di blocco, cercando di attirare l’attenzione sul considerevole danno che Amazon sta infliggendo alla biosfera.
Vale anche la pena di ricordare che un paio di giorni prima, il 15 dicembre, le persone di New York City avevano coordinato un esproprio di massa contro Whole Foods in solidarietà con la Palestina. Si dà il caso che anche Whole Foods sia una filiale di Amazon.
Questa serie di azioni autonome mostra come gli sforzi decentralizzati possano comunque colpire obiettivi correlati in modo coerente, dimostrando un modello riproducibile che può diffondersi in modo più ampio e imprevedibile di quanto una singola organizzazione potrebbe coordinare.
Domenica pomeriggio, oltre cinquanta persone si sono riunite a Lacey, Washington, per chiudere un centro logistico di Amazon e fermare il flusso dei camion per le consegne. Amazon è la spina dorsale tecnologica del regime di apartheid israeliano: ha contratti multimiliardari che forniscono servizi cloud e server allo Stato israeliano, alla sua polizia e alle sue forze armate. L’infrastruttura fornita da Amazon consente loro di comunicare, raccogliere, analizzare e archiviare i dati necessari per espandere gli insediamenti illegali e reprimere il popolo palestinese. Puoi visitare notechforapartheid.com per saperne di più sul ruolo di Amazon nell’apartheid israeliano, nonché sul ruolo che svolge nel terrorismo interno attraverso i suoi contratti con l’Immigration and Customs Enforcement e oltre 2000 dipartimenti di polizia.
Mentre le persone marciavano verso il centro logistico di Amazon, gridavano “Amazon, non puoi nasconderti, trai profitto dal genocidio!” e “Amazon, mentre tu spii, i bambini palestinesi muoiono!”. I manifestanti includevano una vasta gamma di persone, da numerosi giovani a un’ampia gamma di adulti, alcuni dei quali erano genitori. Quando sono arrivati al vialetto del centro logistico, dove i camion Amazon entrano in Hogum Bay Road Northeast, le guardie di sicurezza stavano chiudendo il cancello, essendo state informate dell’arrivo del gruppo. Ciò ha solo aiutato i manifestanti a raggiungere il loro obiettivo di fermare il flusso di camion.
Per oltre due ore, i manifestanti hanno bloccato l’ingresso e l’uscita dei camion del centro, interrompendo con successo l’attività di Amazon. Almeno tre camionisti di Amazon hanno suonato il clacson e hanno alzato il pugno in segno di solidarietà da dentro i cancelli. Quei gesti ricordavano il lavoratore che lasciò il lavoro in solidarietà con la Palestina durante un’azione al porto di Tacoma il mese scorso.
Altri lavoratori di Amazon hanno chiacchierato con i manifestanti attraverso il cancello, accettando volantini che spiegavano gli obiettivi dell’azione. Queste manifestazioni di sostegno da parte dei lavoratori confermano che una Palestina libera è ciò che vuole la stragrande maggioranza delle persone. Mentre le persone solidali con i palestinesi continuano a educarsi a vicenda, l’idea di una Palestina libera è sempre più intesa come qualcosa di più del minimo indispensabile di un cessate il fuoco permanente, ma piuttosto come una Palestina decolonizzata, libera dall’occupazione israeliana, in cui la terra viene restituita a coloro a cui è stato sequestrata, in modo che i palestinesi possano vivere una vita dignitosa alle loro condizioni. Un ostacolo significativo al raggiungimento di questo obiettivo è l’avidità dei dirigenti aziendali e dei politici che beneficiano direttamente della guerra perpetua e delle società sempre più militarizzate. Ma attraverso l’educazione continua, il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) e gli sforzi sostenuti di azione diretta in tutto il mondo, stiamo aprendo la strada verso la liberazione della Palestina.
Ciò che è avvenuto fuori dai cancelli del magazzino di Amazon incarnava la gioia al centro di un mondo liberato. La gente ballava al ritmo della musica amplificata, giocava a calcio e a Uno per strada, condivideva il cibo, scriveva messaggi per terra, faceva arte e rafforzava relazioni costruite su valori condivisi e impegno all’azione.
L’azione di domenica è stata un’azione autonoma: non è stata guidata o sponsorizzata da alcuna organizzazione specifica. Non c’erano leader o direttive d’azione. I partecipanti sono stati incoraggiati a collaborare e ad agire liberamente per perseguire l’obiettivo comune di chiudere il centro. Questo tipo di azione dissolve le gerarchie, rispetta il diritto di ognuno al libero arbitrio e incoraggia la creatività e la diversità delle tattiche. Questa azione è arrivata a seguito di un’azione tenutasi a Olympia, Washington, venerdì 15 dicembre, in cui 40 o più persone hanno marciato negli uffici di RE/MAX in Pacific Avenue per consegnare una lettera in cui si chiedeva a RE/MAX di smettere di comprare e vendere beni immobili nei territori palestinesi occupati.
Domenica, subito dopo le 16, l’intero gruppo ha lasciato il centro logistico, è tornato in città e si è disperso. Le forze dell’ordine non hanno detto una parola ai manifestanti per tutto il giorno e non hanno effettuato alcun arresto. I partecipanti hanno esercitato con successo il potere che risiede nell’azione collettiva: il potere di fermare il business as usual, di occupare le strade, di giocare insieme, di creare un mondo migliore senza interferenze.
Manteniamo la pressione su Amazon e su tutte le altre aziende complici della pulizia etnica in corso in Palestina. Continuiamo a boicottare i loro prodotti. Trattenere i nostri soldi e denunciare il profitto disumano è efficace. Dagli anni ’60 agli anni ’80, il movimento globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni [BDS] ha svolto un ruolo fondamentale nello smantellamento del regime di apartheid sudafricano. Visita bdsmovement.net per saperne di più sul movimento per porre fine al sostegno internazionale all’oppressione dei palestinesi da parte di Israele.
Il movimento per la liberazione dei palestinesi deve essere ampliato per includere la liberazione di tutte le persone, comprese quelle che soffrono atrocità in Etiopia, Sudan, Congo e altrove. Nessuno è libero finché non siamo tutti liberi. La mia umanità è legata alla tua. La nostra umanità è legata alla loro.
NUTRIRE LA GENTE – MANGIARE I RICCHI
[testo di rivendicazione ripreso da Crimethinc]
Venerdì 15 dicembre, un’allegra banda di miscredenti è entrata nel Whole Foods e ha liberato una varietà di alimenti per restituire le risorse necessarie alle nostre comunità.
La gente ha raccolto e preparato questi oggetti, e questo cibo appartiene alla gente. Stiamo semplicemente restituendo ciò che è già nostro.
Affermiamo che aziende come Amazon e Whole Foods provocano enormi danni: accumulano ricchezza e risorse, rubano manodopera e distruggono la terra su cui viviamo. Quando acquistiamo cibo da Whole Foods, solo una piccola parte di ciò che spendiamo tornan a coloro che lavorano per produrre il cibo: la stragrande maggioranza di esso viene incanalata nelle casse di Jeff Bezos, dove viene a sua volta reinvestita nella produzione di armi, nella guerra e nelle grandi compagnie petrolifere.
Inoltre, il contratto di Amazon per il Progetto Nimbus con l’IOF significa che Bezos trae profitto direttamente dal genocidio in corso in Palestina.
Boicottaggio. Disinvestimento. Taccheggio. [gioco di parole con l’acronimo BDS – “Boycott Divestment and Sanctions” – trasformato in “Boycott Divest and Shoplift]
Nemmeno un altro centesimo per il genocidio!