“Cartabia for dummies” – Versione corretta – Riguardo le pene sostitutive della riforma Cartabia [IMPORTANTE]

Riceviamo e diffondiamo una versione rettificata del testo sulle pene sostitutive della riforma Cartabia pubblicato qualche tempo fa, alla vigilia della sentenza d’appello del processo “Brennero 2”: https://ilrovescio.info/2023/02/28/processo-brennero-2-troncone-devastazione-e-saccheggio-messaggio-a-imputati-imputate-solidali/
Diversamente da quanto scritto allora, è possibile richiedere i 45 giorni di liberazione anticipata ogni 6 mesi di buona condotta anche nel caso di semilibertà sostitutiva e di detenzione domiciliare sostitutiva. Quindi – sotto questo aspetto – non c’è nessuna differenza tra queste due pene sostitutive, che possono essere concesse in fase di giudizio, e le misure alternative della semilibertà e della detenzione domiciliare, che possono essere richieste in fase di esecuzione.
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Qui il pdf della versione corretta: cartabia for dummies – corretto

CARTABIA FOR DUMMIES

Un abbozzo di spiegazione del funzionamento delle pene sostitutive

Per prima cosa, ci teniamo a premettere che questo testo non vuole essere una valutazione etica o politica sulla scelta di avvalersi delle pene sostitutive, ma solo una prima spiegazione tecnica per iniziare a farsi un’idea.

L’analisi si basa sul solo testo della riforma Cartabia, quindi non abbiamo ancora esperienza sufficiente per dare per scontato che i Tribunali non elaborino prassi diverse. L’idea era semplicemente di dare uno strumento ai compagni e alle compagne per iniziare a farsi un’idea di come funziona la riforma, ma bisognerebbe consultare sempre il proprio avvocato o la propria avvocata prima di qualsiasi decisione!

La riforma Cartabia ha introdotto la possibilità di usufruire di pene sostitutive alla detenzione: semilibertà sostitutiva, detenzione domiciliare sostitutiva, lavoro di pubblica utilità sostitutivo e pena pecuniaria sostitutiva.

Queste sanzioni possono essere applicate solo dal giudice della cognizione, cioè il giudice che decide se si debba essere condannati o meno (Tribunale e Corte d’Appello, nelle loro varie composizioni).

Se si accetta di essere sottoposti ad una pena sostitutiva viene quindi eliminata la fase dell’esecuzione avanti al Tribunale di sorveglianza, anche se resta un passaggio di controllo in alcuni casi, come spieghiamo poi.

Diversamente, finora abbiamo avuto a che fare solo con le misure alternative alla detenzione (semilibertà, domiciliari, affidamento in prova), che possono essere richieste solo una volta che la sentenza diventi esecutiva: si riceve un ordine di esecuzione, nel caso in cui si sia sotto i 4 anni e non vi siano ostatività, si ha un mese per chiedere delle misure alternative, vengono svolti una serie di accertamenti dall’UEPE e dalla polizia giudiziaria e poi vi è un’udienza di fronte al Tribunale di Sorveglianza – spesso dopo diversi mesi – in cui il giudice decide come concretamente si sconterà la pena.

Adesso quindi si aggiunge un’altra possibilità, che non coinvolge la magistratura di sorveglianza nella fase decisionale, il che può essere interessante nel caso di Tribunali di Sorveglianza particolarmente accaniti contro di noi.

Le pene sostitutive costituiscono un’alternativa netta alle misure alternative: se si accetta l’applicazione della pena sostitutiva non è più possibile richiedere, una volta che la sentenza diventa esecutiva, l’applicazione di misure alternative. Vi è un’unica eccezione: nel caso in cui si stia scontando la pena in semilibertà sostitutiva o in detenzione domiciliare sostitutiva, una volta scontata metà della pena si può chiedere di scontare il residuo in affidamento in prova. Acconsentire dunque alla semilibertà o alla detenzione domiciliare non preclude definitivamente la possibilità di accedere all’affidamento in prova.

Nel caso in cui si sia condannati ad una pena inferiore a 4 anni, è possibile che vengano applicate la semilibertà sostitutiva o la detenzione domiciliare sostitutiva.

Nel caso di pena inferiore a 3 anni, è possibile che venga applicato il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e nel caso di pena inferiore ad 1 anno la pena pecuniaria sostitutiva.

Vi sono, però, dei limiti soggettivi, poiché “La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato” e nel caso in cui il reato per cui si è condannati sia stato commesso entro tre anni dalla revoca di una precedente pena sostitutiva (cioè relativa ad un altro reato, per il quale si è stati condannati in seguito ad un altro processo) o se mentre si scontava una pena precedente con una pena sostitutiva si è commesso un reato non colposo (es. un furto in un supermercato). In questi due casi è comunque possibile applicare una pena sostitutiva, ma dev’essere più grave di quella precedente.

Non si può applicare la pena pecuniaria sostitutiva a chi, nei 5 anni precedenti, è stato condannato a pagare una pena pecuniaria, anche non sostitutiva e non l’ha pagata, salvo alcuni casi di insolvibilità.

Inoltre non si possono applicare agli imputati a cui dev’essere applicata una misura di sicurezza personale (a spiegarle bene si aprirebbe un capitolo troppo lungo, comunque sono quelle misure che si devono scontare dopo o al posto di una pena detentiva, ad esempio OPG o casa di cura e di custodia, e che possono essere rinnovate indefinitamente dal giudice nel caso in cui si venga considerati socialmente pericolosi), salvo la parziale incapacità di intendere o di volere.

Infine, non si possono applicare agli imputati per reati ostativi, salvo i casi in cui viene riconosciuta l’attenuante di particolare tenuità del fatto, ma questo solo per i delitti contro la pubblica amministrazione.

La semilibertà quale misura alternativa – quella prima della riforma, per capirci – prevede che si stia in carcere e si possa uscire solo per andare a lavorare, invece la semilibertà sostitutiva prevede che si possa stare fuori per “attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed a reinserimento sociale” e si debba stare in carcere per un minimo di 8 ore. Quindi, almeno sulla carta, l’idea è di ribaltare il rapporto tra il tempo trascorso dentro e quello trascorso fuori. Ovviamente nella pratica il fatto che non sia previsto un massimo di tempo da passare in carcere potrà rendere comunque questa misura molto simile alla semilibertà-misura alternativa.

Questa è l’unica pena sostitutiva per cui è previsto obbligatoriamente l’intervento dell’UEPE nella fase di decisione del giudice, infatti il programma deve essere predisposto da questo ufficio, che poi vigilerà anche all’esecuzione (e quindi, probabilmente, colloqui con assistenti sociali e psicologi anche mentre si sconta la pena). Nel programma devono essere specificate le ore da trascorre in carcere e le attività da svolgere fuori.

La detenzione domiciliare sostitutiva prevede che si debba restare in casa per almeno 12 ore al giorno e si possa uscire per almeno 4 ore al giorno “avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato”. Questo significa che si potrebbe stare fuori 12 ore al giorno, così come solo 4.

In questo caso interviene l’UEPE mentre si sta scontando, anche se è possibile anche un intervento durante la fase decisoria se il giudice lo richiede. È prevista la possibilità di utilizzare il braccialetto elettronico.

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere svolto presso un ente pubblico o un’associazione convenzionata e dev’essere di almeno 6 e massimo 15 ore la settimana, anche se – su richiesta del condannato – il giudice può prevedere un numero maggiore di ore settimanali. In ogni caso non si possono superare le 8 ore al giorno.

Due ore di lavoro equivalgono ad un giorno di pena, quindi una giornata di 8 ore equivale a 4 giorni scontati. Questo potrebbe essere vantaggioso per chi riuscisse a fare più di 14 ore la settimana, ma per chi ne facesse meno di 14 significherebbe che il tempo che ci si impiega a finire di scontare la pena sarà maggiore dei mesi/anni inizialmente stabiliti dal giudice.

Sulle modalità applicative si rinvia ad un decreto che non è ancora stato emanato, ma che quasi sicuramente comporterà l’intervento dell’UEPE. Nel frattempo molto probabilmente si applicheranno le norme relative alla messa alla prova. Nel caso in cui si accetti il lavoro di pubblica utilità in primo grado non sarà possibile fare appello contro la sentenza, restando ferma, invece, la possibilità di fare ricorso in Cassazione.

Un fattore importante da non dimenticare è che per questa misura è sempre competente il giudice che ha emesso la sentenza definitiva, anche in fase di esecuzione, cioè anche quando si debbano fare richieste di permessi ecc. Si può così evitare di passare dal Tribunale di Sorveglianza.

In ogni caso, per queste tre pene sostitutive sono sempre previste queste restrizioni:

1) il divieto di detenere e portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

2) il divieto di frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione o comunque persone che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di reati, salvo si tratti di familiari o di altre persone conviventi stabilmente;

3) l’obbligo di permanere nell’ambito territoriale, di regola regionale, stabilito nel provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva;

4) il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente;

5) l’obbligo di conservare, di portare con sé e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia il provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva e l’eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell’articolo 64.

Al fine di prevenire la commissione di ulteriori reati, il giudice può altresì prescrivere il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”. Quest’ultimo caso generalmente si riferisce ai casi di violenza domestica.

Non può, invece, venire ritirata la patente.

Diversamente da quanto scritto nella versione precedente di questo testo, è possibile richiedere la liberazione anticipata, cioè i 45 giorni di sconto di pena ogni 6 mesi di buona condotta – cosa non scontata, dato che in carcere basta un rapporto di un secondino e ultimamente anche ad alcuni compagni/e ai domiciliari i giorni di liberazione anticipata non sono stati riconosciuti –, per le pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare.

Inoltre, “per giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive” è possibile chiedere licenze – in caso di semilibertà e detenzione domiciliare sostitutive – per un massimo di 45 giorni all’anno o sospendere il lavoro di pubblica utilità sempre per massimo 45 giorni all’anno.

La pena pecuniaria sostitutiva permette al giudice di stabilire un importo per ogni giorno, che può variare da 5 euro a 2.500 (!!!) euro per giorno da scontare e “corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare”.

È possibile rateizzare il pagamento ma diversamente dalle multe a cui siamo abituati, nel caso in cui non si paghi, la pena viene immediatamente convertita in semilibertà o detenzione domiciliare sostitutive, senza che il condannato possa opporsi. Se non si paga solo una rata viene convertita solo la parte che manca da pagare se, invece, non si era rateizzato, viene convertito tutto l’importo. Se le condizioni economiche del condannato non gli permettono di pagare, la pena pecuniaria può anche essere convertita in lavori di pubblica utilità, ma se il condannato si oppone viene convertita in detenzione domiciliare.

Concretamente quello che avviene è che il giudice, durante l’ultima udienza, dopo essersi ritirato per decidere, rientra in aula e legge il dispositivo della sentenza, cioè la parte della sentenza in cui c’è l’elenco degli imputati e la condanna o l’assoluzione. In questo momento il giudice dice anche quali sono gli imputati che potrebbero ottenere una pena sostitutiva. Dal testo della riforma non sembra necessario che ci sia un’esplicita richiesta da parte della difesa.

A questo punto sta all’imputato o al suo difensore, che deve avere un’apposita procura speciale, scegliere se accettare o meno le pene sostitutive. Anche se non è chiaro dal testo della legge, tutti gli avvocati e le avvocate con cui ci siamo confrontati ritengono che si possa esplicitare quale sia la pena a cui si acconsente, ad es. solo la detenzione domiciliare sostitutiva e non la semilibertà sostitutiva. Questa scelta sembra essere vincolante per il giudice, cioè se non si presta consenso ad una specifica pena sostitutiva, questa non potrà essere applicata. Questo è esplicitamente previsto per i lavori di pubblica utilità, che altrimenti diventerebbero lavori forzati.

A leggere il testo della norma, questa scelta sembra dover essere fatta lì su due piedi, nella stessa udienza in cui si scopre a quanto si è stati condannati. Ora, sono già più di uno i tribunali in cui sappiamo che il giudice ha concesso agli imputati un paio di settimane, rinviando quindi ad una successiva udienza, per poter decidere se accettare o meno. In un caso, però, il giudice ha deciso seduta stante, negandole per tutti.

Una volta espresso il proprio consenso, se il giudice ha già gli elementi per decidere (perché sono stati già apportati a processo dalla difesa, ad es. per i lavori di pubblica utilità l’accordo scritto dell’associazione/ente presso il quale si intendono svolgere), può stabilire i dettagli della pena sostitutiva, tranne nel caso della semilibertà, in cui l’UEPE deve obbligatoriamente intervenire anche nella fase decisoria. In quest’ultimo caso o nel caso in cui il giudice non abbia gli elementi sufficienti per decidere, può rinviare ad un’udienza successiva, che si deve tenere entro 2 mesi, richiedendo, eventualmente, l’intervento dell’UEPE per i casi in cui non è obbligatoriamente previsto.

In questo tempo dovranno essere raccolti tutti i documenti necessari ad appoggiare la propria scelta, ad es. contratto di lavoro e buste paga recenti, disponibilità dell’abitazione (che non potrà essere occupata, si premurano di specificare) e consenso dei conviventi, iscrizione a corsi di studio o di formazione, dichiarazione di disponibilità dell’ente presso cui si intende svolgere il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e il relativo programma con mansione e orari, esigenze di uscita dal domicilio nel caso di detenzione domiciliare sostitutiva, attività che si potrebbe svolgere durante il giorno in caso di semilibertà sostitutiva, ecc. Tranne nel caso della semilibertà sostitutiva, non è necessario l’intervento dell’UEPE e il giudice può decidere anche autonomamente.

Una volta integrato il dispositivo con tutti i dati relativi alla pena il giudice ha a disposizione 3 mesi per depositare la motivazione, che potrà essere impugnata con appello (tranne nel caso di lavoro di pubblica utilità) o ricorso in Cassazione.

Non vi sono preclusioni alla possibilità di fare ricorso in Cassazione, però secondo 2 avvocati con cui ci siamo confrontati se si accetta una pena sostitutiva potrebbe essere difficile argomentare il ricorso contro l’eccessiva quantificazione della pena (perché mi dici che ti ho dato una pena troppo grave se hai già accettato una pena sostitutiva?). Ma questa sarebbe solo una difficoltà argomentativa, non una preclusione, e non toccherebbe nessuno degli altri motivi di ricorso per Cassazione. Ad ogni modo questo è solamente un parere e non una certezza.

Quando la sentenza diventa definitiva (non più appellabile o ricorribile), nel caso in cui la pena sia la semilibertà o la detenzione domiciliare sostitutive, il magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato verifica l’attualità delle prescrizioni (potrebbero essere passati anni dal momento in cui la pena sostitutiva è stata definita) e entro 45 giorni emette un’ordinanza in cui conferma e, eventualmente, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni. Non sembra quindi che il magistrato di sorveglianza possa modificare il tipo di pena sostitutiva, ma solo come concretamente si svolgerà (che comunque potrebbe essere una differenza non da poco). La polizia consegna una copia dell’ordinanza al condannato, gli ordina di attenersi alle prescrizioni, di presentarsi immediatamente all’UEPE e ritira eventuali armi, munizioni, esplosivi e il passaporto, nonché timbra la carta d’identità con “non valido per l’espatrio” per la durata della pena.

Qualora invece la pena sostitutiva sia il lavoro di pubblica utilità, la polizia consegna una copia della sentenza al condannato, gli ordina di attenersi alle prescrizioni e di presentarsi immediatamente all’UEPE. Anche se in questo caso non è specificato, si suppone che la polizia ritiri eventuali armi, munizioni, esplosivi, il passaporto e timbri la carta d’identità con “non valido per l’espatrio” per la durata della pena.

L’UEPE deve riferire “periodicamente al giudice che ha applicato la pena sulla condotta del condannato e sul percorso di reinserimento sociale”, quindi sembra proprio che anche in questo caso si debba avere a che fare con psicologi e assistenti sociali.

Per tutte e tre queste pene sostitutive è prevista la possibilità di richiedere tramite l’UEPE la modifica delle prescrizioni, la decisione spetterà poi alla magistratura di sorveglianza nel caso di semilibertà e detenzione domiciliare sostitutive o al giudice di cognizione (quello che vi ha condannato) nel caso di lavori di pubblica utilità. L’unica tra le prescrizioni obbligatorie elencate sopra che può essere eliminata per comprovati motivi, è quella relativa all’obbligo di restare all’interno di un certo territorio.

Se la sentenza diventa definitiva nel momento in cui si stia già scontando un’altra pena detentiva o una misura di sicurezza detentiva oppure si sia sottoposti a misura cautelare, si inizierà a scontare la pena sostitutiva dal momento in cui si esce.

Se invece vi è un cumulo di pene sostitutive che non superi i 4 anni, si applicano una dopo l’altra in ordine di gravità (prima la semilibertà). In questo caso il cumulo delle pene pecuniarie sostitutive può eccedere 1 anno, così come il cumulo dei lavori di pubblica utilità sostitutivi può superare i 3 anni.

Se il cumulo eccede i 4 anni, si applica per intero la pena sostituita (cioè la detenzione normale). Non è esplicitato se, in questo caso, si riapra la possibilità di chiedere le misure alternative alla pena.

Invece, nel caso in cui mentre si sta scontando la pena sostituiva intervengano un ordine di carcerazione o di consegna, l’arresto o il fermo o l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, la pena sostitutiva si sospende e riprende a decorrere una volta cessata l’esecuzione della pena detentiva.

Il fatto che non sia possibile il cumulo di pene normali e pene sostitutive e che le pene sostitutive si scontino una dopo l’altra, fa pensare che non sia possibile, in sede di esecuzione, argomentare la continuazione del reato. Prima della Cartabia, una carta che si poteva giocare in sede di esecuzione, in caso di cumulo di pene, era di sostenere che i reati fossero tutti esecuzione dello stesso disegno criminoso (ovviamente quando si trattava di questioni legate alle lotte, non se si era stati condannati per aver investito un pedone sulle strisce). Questo permetteva di richiedere una riduzione della pena meno grave, con la conseguente riduzione del cumulo di pena. Si trattava di una richiesta e non di un diritto. Sembra proprio che questo non sia possibile nel caso in cui si accettino le pene sostitutive.

Se la pena sostitutiva non viene eseguita o vi è una violazione grave e reiterata delle prescrizioni, questa viene convertita in una pena sostitutiva più grave o in una pena detentiva normale, solo per la parte che residua da scontare. Però, nel caso in cui per più di dodici ore, senza giustificato motivo, non si faccia ritorno in carcere o in casa, si verrà processati per evasione. Nel caso in cui non ci si presenti sul luogo del lavoro di pubblica utilità o lo si abbandoni senza giustificato motivo, si è puniti con la reclusione fino ad un anno (non è evasione, ma un altro reato). Se nel momento in cui interviene la condanna (presumibilmente definitiva) per uno di questi due reati si sta ancora scontando la pena sostitutiva, questa viene revocata e, anche se non è specificato, si suppone sostituita con una pena detentiva normale, a meno che il fatto non sia di lieve entità.

Qualora si venga condannati per un delitto non colposo commesso durante l’esecuzione di una pena sostitutiva che non sia la pena pecuniaria, se si sta ancora scontando, la pena sostitutiva viene convertita in detenzione normale “quando la condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva”.

Un ultimo appunto: ad oggi, stando al testo della legge, se si viene condannati a 3 anni 11 mesi e 20 giorni si può accedere ai domiciliari come pena sostitutiva, mentre se si viene condannati a 4 anni e 1 giorno si finisce in carcere e si potranno chiedere i domiciliari solo quando si avrà un residuo di pena di 2 anni.

Non solo, ora ci sono tutte le persone che devono scontare condanne emesse prima della riforma Cartabia che non hanno potuto richiedere i domiciliari per condanne fino ai 4 anni, ma solo fino ai 2 e che si troveranno a scontare contemporaneamente a chi invece della riforma ha potuto usufruire.

È evidente che c’è una disparità di trattamento notevole, quindi si può supporre che questa riforma porti ad un ulteriore ampliamento della possibilità di richiedere i domiciliari, sia in sede di decreto attuativo, che deve ancora essere emanato, sia in sede proprio applicativa. D’altro canto sappiamo tutti quanto i Tribunali di Sorveglianza siano più dei plotoni di esecuzione che altro, quindi questo ragionamento potrebbe tranquillamente restare pura teoria.