«Madama morte! Madama morte!»

 

Una delle intuizioni più sorprendenti che Leopardi mette in scena nelle sue impareggiabili Operette morali è l’alleanza eterna fra la Moda e la Morte – in quanto forme, opposte e solidali, della Caducità. Non a caso Walter Benjamin antepose un’epigrafe leopardiana («Madama morte! Madama morte!») ai suoi pensieri sulla moda, annotando: «Essa è in conflitto con l’organico; accoppia il corpo vivente al mondo inorganico, e fa valere sul vivente i diritti del cadavere. Il feticismo, che è alla base del sex-appeal dell’inorganico, è la sua forza vitale. Il culto della merce lo mette al proprio servizio».

Con un secolo d’anticipo, scriveva Leopardi: «MODA. A poco per volta, ma il più in questi ultimi tempi, io per favorirti ho mandato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o recato in pregio innumerevoli che abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita. Oltre di questo ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità il secolo della morte» (Dialogo della Moda e della Morte).

Se fosse ancora vivo, forse il nostro Giacomo immaginerebbe un dialogo tra la Morte e l’Algoritmo. D’altronde, proprio alle macchine e alla meccanizzazione dell’uomo è dedicata una delle più sarcastiche Operette morali – la Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi –, che così si conclude: «… disperando la maggior parte dei filosofi di potersi mai curare i difetti del genere umano, i quali, come si crede, sono assai maggiori e in più numero delle virtù; e tenendosi per certo che sia piuttosto possibile di rifarlo del tutto in una nuova stampa, o di sostituire in suo luogo un altro, che di emendarlo», [l’Accademia] «reputa essere espedientissimo che gli uomini si rimuovano dai negozi della vita il più che si possa, e che a poco a poco dieno luogo, sottentrando le macchine in loro scambio».

Leggo su di un settimanale di moda: «[Nel 2018], una rivisitazione politica dell’assistenza virtuale del motore di ricerca Yandex, “Alisa”, aveva cercato provocatoriamente di sfidare Vladimir Putin promettendo di portare “il sistema politico” russo “nel futuro, costruendolo sulla base di decisioni razionali prese grazie ad algoritmi chiari”. [Anche se la macchina] “dipende dalla logica, non è guidata da emozioni, non cerca vantaggi personali, non emette giudizi” e “funziona sette volte più veloce di un cervello umano”, pare che i dati finiti in pasto ad Alisa le abbiano insegnato a schierarsi dalla parte delle “prigioni segrete sovietiche” e dello “sparare ai nemici del popolo”».

Non c’è dubbio che se i dati sulla base dei quali adottare le soluzioni sociali «più efficaci» fossero quelli relativi agli schiamazzi notturni, allo scontro politico o alle liti per strada, “Alisa” non suggerirebbe «le prigioni segrete sovietiche» o gli spari contro la folla, bensì il lockdown. Il minimo storico del rischio per l’ordine sociale si è infatti registrato allorché l’attività umana si è approssimata al niente – un niente connesso, e proprio per questo in grado di alimentare a flusso continuo l’Algoritmo. Il grado massimo di una vita «più morta che viva», di un «mondo inorganico» che fa «valere sul vivente i diritti del cadavere», si è raggiunto senz’altro tra il marzo e il maggio del 2020. Mentre quasi tutto si reggeva sul lavoro morto delle macchine e su quello vivo degli indispensabili salariati costretti a farle funzionare, si sono registrate, per lo meno in Italia, due sole attività umane degne di nota e di memoria. Gli scioperi operai – senza i quali avremmo avuto le fabbriche interamente aperte (così è stato fino al 24 marzo) insieme al confinamento di massa (già dal 10 marzo) – e le rivolte nelle carceri. Proprio perché la rivolta rappresenta la forma più intensa della vita e dell’attività umana, essa è stata stroncata dal piombo di Stato, di modo che nessun altro fosse tentato di sottrarre il proprio elemento organico ai «diritti del cadavere» che ci governa.

L’utopia del capitale va ben oltre quella di spacciare per «neutre» e «imparziali» le sue soluzioni tecniche (che in realtà sono sempre politicamente orientate, come ci ricorda persino il suddetto settimanale). Il suo sex-appeal consiste nel mettere tutto il vivente al servizio dell’inorganico, del cadavere-merce, della morte. A tendere l’orecchio, infatti, così parla l’Algoritmo: «È esistita una storia (da cui trarrò tutti i dati necessari), ma non ce ne sarà altra». L’intelligenza delle macchine elabora il futuro a partire dagli aggregati della vita trascorsa, non da ciò che li ha resi possibili. Nei termini della filosofia atomistica, è come se dietro ogni grumo di materia scomparisse il clinamen che ne ha permesso la formazione. Il clinamen, secondo Lucrezio, è quell’inclinazione nel moto degli atomi che consente il loro incontro e quindi la continua creazione del reale. Un mondo senza i vuoti del possibile e dell’incontro imprevisto – un mondo del tutto-pieno – sarebbe un mondo interamente reificato, cioè trasformato in cosa.

L’altro giorno ho fatto questa “esperienza” di auto-reificazione: mi sono scusato con un algoritmo. Avevo prenotato un appuntamento via e-mail (non esistendo altra «opzione») per un disbrigo burocratico. Da «passatista», se non proprio da «talebano dell’esperienza fisica» – come dicono certi umani-macchina –, ho guardato l’e-mail l’indomani pomeriggio, convinto che l’impiegato non avrebbe potuto far prima. Constatato invece che l’appuntamento mi era già stato fissato in mattinata, nel richiederne un altro mi sono scusato come si conviene. La risposta immediata col nuovo appuntamento ha risolto il malinteso.

Puntando tutto su quel clinamen degli aggregati storici che è la rivoluzione, incasso intanto il monito lanciato tempo fa da alcuni anti-industrialisti francesi: «Le persone educate non dialogano con le macchine».