Convergenze
Nel «fanale» precedente accennavamo a come l’intreccio sempre più inestricabile tra apparati tecnologici, economici, militari, politici e ideologici tenda a minare la nozione stessa di causalità. Per rendersene conto basta affrontare il nodo guerra-sanzioni-crisi energetica. Qualcuno ha riassunto il problema in poche battute: «gli speculatori che scommettono sui guerrafondai». Una formula indubbiamente efficace – dietro le società finanziarie della Borsa di Amsterdam e l’industria degli armamenti ci sono sostanzialmente gli stessi fondi di investimento statunitensi –, ma insufficiente a spiegare la dinamica in corso. L’aumento consistente dei profitti delle compagnie energetiche europee (ENI compresa) precede l’invasione russa dell’Ucraina; l’inizio del conflitto ha permesso di alzare a dismisura le scommesse degli speculatori sul prezzo futuro degli idrocarburi (come noto, essi comprano e vendono le scommesse stesse e non il «bene sottostante»); il prezzo contrattato è relativo al molto più costoso gas scisto statunitense – di cui le sanzioni al capitalismo russo hanno fatto lievitare la richiesta in Europa, e il cui utilizzo necessita la costruzione di nuovi rigassificatori –, anche se quello venduto è il gas (meno caro) di provenienza russa. Ora, al di là della sfacciata ipocrisia delle bande capitaliste nazionali rispetto alle dichiarazioni ufficiali di «unità» e di «fermezza» in sede europea (accordi sottobanco con Gazprom, pagamento del gas russo in rubli, acquisto dall’India del petrolio che le vende la Russia ecc.); e senza contare il fatto che lo scenario cambierà non poco se o quando cominceranno davvero le “controsanzioni” russe sul gas (sorvoliamo qui sugli starnazzamenti mediatici secondo i quali il blocco di potere sanzionato starebbe ricattando il blocco di potere sanzionante), la vera domanda è: perché tutto questo? Anche dei mentecatti capirebbero che senza un intervento a monte (cioè nei meccanismi della Borsa di Amsterdam) – intervento «tecnicamente» possibile domani mattina, ci informano alcuni economisti di sinistra – si arriverà a breve a un impoverimento di massa, con più che probabili conflitti sociali. Quello del capitale è sì un «popolo di stoici», come diceva Cesarano, ma non si può abusarne all’infinito. Inoltre, insieme a milioni di proletari rischiano di saltare migliaia di aziende (comprese non poche fabbriche), le cui sorti in genere importano un po’ di più alla classe dirigente. Se colleghiamo la burrasca in arrivo con quanto è accaduto negli oltre due anni di Emergenza Covid, e quest’ultima con l’attuale fase storica del capitale, ci rendiamo conto che l’accusa di incompetenza, la tiritera sulla miopia delle ricette neoliberiste o le lezioni di economia fornite dal basso ai capitalisti infittiscono la nebbia più di quanto contribuiscano a diradarla.
La valorizzazione capitalistica annaspa perché l’aumento della produttività riduce il valore delle merci. Il «lavoro morto» – le macchine – sta inghiottendo in modo esponenziale il «lavoro vivo» incorporato nei prodotti: il sangue nella produzione decresce mentre aumenta il gigantismo dell’apparato vampiresco. Questo non comporta solo l’espulsione di milioni di proletari da processi produttivi sempre più automatizzati, ma accresce la tendenza a trasformare gli stessi cicli vitali della natura e della specie umana in lavoro morto, cioè a fare dell’umano e del vivente in quanto tali fonti di valore. Il motore di questo processo è lo sviluppo tecnologico, il quale è spinto dalle sue stesse dinamiche ad estendersi a tutto. È quanto ci dicono indirettamente anche le false parole del dominio. Cosa significa, a ben riflettere, che le nuove tecnologie (NBIC) siano convergenti? Che nanotecnologie, biotecnologie, informatica e tecnologie cognitive si aggregano motu proprio e che il loro effetto non è solo combinato, ma anche cumulativo. Le biotecnologie scompongono e ricombinano piante, animali e umani a livello genetico; l’intelligenza delle macchine automatizza il controllo sulla società nella misura in cui questa è conquistata dalla rete informatica e dalla sua sensoristica; le nanotecnologie costituiscono i “ponti” tra corpi e macchine, tra organico e digitale; le neurotecnologie sviluppano l’ibridazione tra i cervelli e i computer, di modo da rendere il pensiero immediatamente esecutivo. Da questa convergenza e non da qualche misteriosa cupola segreta prende “corpo” concretamente il progetto transumanista, per cui tutto può essere aumentato e nulla è troppo piccolo (non la proteina di un virus, non un tessuto, non un enzima, non un gene, non una particella) per essere riprogettato in laboratorio e potenzialmente connesso alla rete telematica grazie a dei nanosensori. Se tra i nostri corpi e ciò che li circonda, tra noi e le nostre azioni c’è sempre la mediazione di un dispositivo digitale, le nostre vite diventano un aggregato di dati tracciabile, sorvegliabile e vendibile. Ora, un simile processo di mercificazione totale inghiotte quantità abnormi di energia – l’energia «green» appare tale solo se chi la promuove riesce ad occultare le basi materiali della sua produzione complessiva – ed accresce per ciò stesso la tendenza alla guerra per le risorse. Ma la guerra si trasforma a sua volta in un’occasione e in un pretesto per spingere avanti la carcerazione tecnologica della società e per accentrare ulteriormente potere e ricchezze ai danni delle fazioni capitalistiche più piccole e più deboli (che il darwinismo tecnologico considera inutili parassiti di energia). Che milioni di esclusi non si lasceranno sommergere senza battersi non sfugge certo a padroni e tecnocrati. Meglio allora far precipitare la situazione quando si può incolpare qualche agente esterno (prima un virus e ora un regime straniero e concorrente). La recente introduzione, in Sri Lanka, di un’apposita app ministeriale per poter fare benzina va inquadrata insieme agli annunci generali di razionamenti e a quelli nostrani di tornare parzialmente al telelavoro e alla telescuola. Le bollette alle stelle, poi, sono già e ancor più saranno il deus ex machina che governo e industriali schiereranno in favore del nucleare.
Se la composizione delle proteste contro le «misure sanitarie» è sembrata interclassista, confusa e “sporca”, non si è visto ancora nulla. Se a prendere l’iniziativa di lotta contro il carovita e l’economia di guerra saranno settori proletari invece dei ceti medi inferociti si apriranno spazi di conflitto e di autorganizzazione senz’altro più favorevoli per tutti noi. Ma senza luoghi di rottura in cui e da cui cominciare a formulare praticamente delle esigenze universali (l’umanità contro la megamacchina, corpi e Terra contro il mondo-capitale), sarà inevitabile chiedere misure urgenti allo stesso sistema che ci opprime, cioè a quel «meccanismo morto» da cui dipendono le nostre vite.