Luci da dietro la scena (VI)

Guerra alla guerra!

È apparso un manifesto firmato da Kropotkin, Grave, Malato e una dozzina ancora di vecchi compagni, in cui, facendo eco agli organi dei governi dell’Entente i quali chiedono che la guerra continui fino all’annientamento della Germania, ci si erge contro ogni idea di “pace prematura”.

La stampa borghese pubblica, naturalmente con soddisfazione, degli estratti del manifesto e lo annuncia come un atto compiuto dai “dirigenti del movimento anarchico internazionale”.

Gli anarchici, i quali pressoché al completo sono rimasti fedeli alle loro convinzioni, debbono protestare contro questo tentativo di compromettere l’anarchismo nella continuazione di questa feroce carneficina che non ha mai permesso alcunché di buono alla causa della giustizia e della libertà, e che, d’altronde, si mostra completamente sterile e senza vie d’uscita anche dal punto di vista dei governi dell’una o dell’altra parte.

La buona fede e le buone intenzioni dei firmatari di questo manifesto sono fuori questione. Ma, quale che sia il dolore di trovarsi in conflitto con dei vecchi compagni che hanno reso tanti servizi alla causa che ci è stata comune, non si può, per rispetto della sincerità e nell’interesse dell’avvenire del nostro movimento emancipatore, non separarsi nettamente dai compagni che credono possibile conciliare le idee anarchiche e la collaborazione con i governi e la borghesia di certi paesi nelle loro rivalità contro le borghesie e i governi di altri paesi.

Abbiamo visto, nella crisi attuale, dei repubblicani mettersi al servizio dei re, dei socialisti fare causa comune con la borghesia, dei lavoratori fare gli interessi dei capitalisti; ma in fondo tutte queste persone sono, in gradi diversi, dei conservatori, dei credenti nella missione dello Stato e si può comprendere che abbiano esitato e fuorviato fino a cadere nelle braccia del loro nemico, il giorno in cui il solo rimedio non era che la dissoluzione di tutti i legami governativi e lo scatenamento della rivoluzione sociale. Ma non si comprende più quando si tratta di anarchici.

Gli anarchici pensano che lo Stato è incapace di impedire il male, se non commettendo un male ancor più grande: tanto nel campo delle relazioni internazionali che in quello privato egli non può combattere un’oppressione senza opprimere, egli non può reprimere un crimine senza organizzarne e perpetrarne uno più vasto.

Anche supponendo (ciò che è ben lontano dalla verità) che il governo tedesco sia il solo responsabile della guerra attuale, è dimostrato che, restando fermi ai metodi di governo, non gli si può resistere che opprimendo e rimettendo in piedi tutte le forze reazionarie. Al di fuori della rivoluzione popolare, non v’è altro mezzo, per resistere alla minaccia di un’armata disciplinata, che di avere un’armata ancora più forte e disciplinata; di modo che i più feroci antimilitaristi, se non sono anarchici e non credono nella dissoluzione dello Stato, sono fatalmente destinati a diventare degli ardenti militaristi.

In effetti, nella problematica speranza di abbattere il militarismo prussiano, si è rinunciato allo spirito e ad ogni tradizione di libertà, si è prussianizzata l’Inghilterra e la Francia, ci si è sottomessi allo zarismo, si è ridato prestigio alla vacillante monarchia italiana.

Possono gli anarchici, anche per un solo istante accettare questo stato di cose senza rinunciare a dirsi tali? Per me, meglio ancora la dominazione straniera che si subisce per forza e contro la quale ci si rivolta piuttosto che la dominazione indigena che si accetta docilmente, quasi con riconoscenza, credendo in questo modo di essersi garantiti da un male più grande.

E non ci si dica che si tratta di un momento eccezionale e che dopo aver contribuito alla vittoria dell’Entente si ritornerà, ciascuno nel suo campo, a lottare per i propri ideali.

Se è necessario oggi agire di concerto con il governo e la borghesia per difenderci contro la “minaccia tedesca” ciò sarà tanto più necessario dopo che durante la guerra. Quale che possa essere la disfatta dell’esercito tedesco (se è vero che sarà vinto) non si potrà mai impedire che i patrioti tedeschi pensino e preparino la rivincita; e i patrioti degli altri paesi, cosa naturale dal loro punto di vista, vogliano tenersi pronti per non essere ancora una volta colti di sorpresa. Vale a dire che il militarismo prussiano diventerà un’istituzione permanente e regolare in tutti i paesi.

Che cosa diranno allora i sedicenti anarchici che oggi vogliono la vittoria di uno dei belligeranti? Continueranno a dirsi antimilitaristi e a predicare il disarmo, il rifiuto al servizio militare, il sabotaggio della difesa nazionale, per diventare, alla prima minaccia di guerra, i sergenti reclutatori dei governi che avevano tentato di disarmare e indebolire?

Si dirà che tutto ciò finirà quando il popolo tedesco avrà saputo sbarazzarsi dei suoi dominatori e avrà smesso, distruggendo il militarismo di casa sua, d’essere una minaccia per l’Europa. Ma, posta in questo modo, i Tedeschi che pensano, e con ragione, che la dominazione inglese e francese (per tacere della Russia zarista) non sarà più dolce di quello che ai Francesi e agli Inglesi sarà quella tedesca, vorranno attendere prima che i Russi e gli altri distruggano il proprio militarismo e nell’attesa continueranno a rinforzare l’esercito del loro paese?

E allora a quando la rivoluzione? A quando l’Anarchia? Dovremo attendere che siano gli altri a cominciarla? La linea di condotta degli anarchici è tracciata dalla logica medesima delle loro aspirazioni: si dovrebbe impedire la guerra facendo la rivoluzione o almeno incutendo ai governi la paura della rivoluzione.

Fino ad oggi non si è potuto o saputo farlo. Ebbene non vi è che un rimedio: fare meglio nell’avvenire. È necessario più che mai evitare i compromessi: scavare l’abisso fra capitalisti e operai; predicare l’espropriazione della ricchezza privata e la dissoluzione dello Stato come il solo mezzo per assicurare la fraternità fra i popoli, la giustizia e la libertà per tutti e prepararsi a realizzarla.

In questa attesa, tutto ciò che tende a prolungare la guerra (che massacra gli uomini, distrugge la ricchezza e impedisce la ripresa della lotta per l’emancipazione) mi sembra criminale. Mi pare che predicare la guerra a oltranza faccia veramente il gioco dei governanti tedeschi, i quali ingannano i loro sudditi e li incitano alla lotta facendogli credere che si vuole schiacciare e ridurre in schiavitù la nazione tedesca.

Oggi come sempre il nostro grido sia: Abbasso i capitalisti e i governi, tutti i capitalisti e tutti i governi!

Errico Malatesta, Anarchici pro governo, “Freedom”, Londra, aprile 1916

Son quasi trascorsi due anni dall’inizio di questa terribile guerra, una guerra quale l’umanità non aveva mai sperimentato, cui si debbono milioni di tombe senza nome, milioni di storpi, milioni di vedove e di orfani. Beni per un valore di miliardi, prodotto di lunghi anni di umana fatica, sono stati gettati alle fiamme, inghiottiti da un abisso senza fondo. Un inumano dolore, sofferenze terribili, una profonda disperazione per l’umanità – eccone il risultato.

Ora, quando ovunque si odono grida di disperazione – “Basta spargimenti di sangue! Basta distruzioni!” – guardiamo con grande tristezza a quelli che un tempo erano i nostri compagni, P. Kropotkin, J. Grave, C. Cornelissen, P. Reclus, C. Malato ed altri anarchici e antimilitaristi che nel loro recente manifesto hanno dichiarato: “No, c’è stato ben poco spargimento di sangue, poca distruzione. È troppo presto per parlare di pace!”.

In nome di quali princìpi, a quale scopo pensano sia possibile proclamare la necessità del fratricidio? Che cosa ha portato questi fervidi partigiani della pace a sostenere il conflitto armato? Non riusciamo a capirlo, poiché, leggendo il loro manifesto, colpisce lo squallore di quell’idea nel cui nome chiedono che la guerra continui fino in fondo.

Gli autori del manifesto dichiarano che la colpa del conflitto è da attribuire alla Germania, che mira ad annettersi il Belgio e i dipartimenti settentrionali della Francia e ha richiesto a quest’ultima pesanti indennizzi e intende, in futuro, sottrarle le colonie. Essi biasimano il popolo tedesco per aver obbedito al governo e dichiarano che, fin quando la Germania non rifiuterà i progetti di conquista dei suoi governanti, non si può parlare di pace. In tutto il manifesto è chiaro l’atteggiamento parziale nei confronti dell’Intesa. E questa parzialità, originata da una grossolana sopravvalutazione della dubbia superiorità dei regimi democratici, ha inevitabilmente portato gli autori del manifesto a non parlare di molte cose che hanno seriamente compromesso le potenze alleate, ad applicare criteri diversi nel valutare le medesime azioni intraprese dai belligeranti, infine a confondere i desideri del popolo con quelli del governo di cui erano schiavi.

I firmatari del manifesto considerano il governo germanico come il maggior responsabile del conflitto. Ma non è un segreto che tutte le grandi potenze si stavano preparando già da tempo a una guerra europea. E non a una semplice guerra di difesa, non solo per proteggersi da un’invasione tedesca. Si preparavano, piuttosto, a una guerra di conquista, alla conquista di un nuovo territorio o alla dominazione economica degli Stati confinanti. L’aver ragione della Germania come rivale sui mari non è forse da sempre il sogno dell’Inghilterra? E non è ormai di pubblico dominio il desiderio della Russia di esercitare la propria sovranità sulle rive del Bosforo? Forse che la Russia non guarda con occhio famelico alla Galizia? Ed è forse tramontato il sogno della Francia di divenire una grande potenza coloniale?

Tutti gli Stati si stavano preparando alla guerra. E se questa non scoppiò prima del 1914, fu solo perché il canale di Kill, in Germania, non era stato ancora allargato, non era stata ancora completata la costruzione della flotta inglese, l’esercito francese non era ancora perfezionato e in Russia non erano ancora state create nuove divisioni. E se, grazie alle loro capacità organizzative, i pirati coronati della Germania sono riusciti a prepararsi prima degli altri e prima degli altri hanno deciso di dare l’Europa alle fiamme, questo non diminuisce in alcun modo la responsabilità morale dei pirati coronati dell’Inghilterra, della Russia e delle altre nazioni per l’alto numero delle vittime sacrificate sull’altare del militarismo.

Gli autori del manifesto protestano contro la possibile annessione alla Germania dei territori occupati senza il consenso delle popolazioni indigene. Ma perché non hanno protestato per l’annessione dell’Egitto, che l’Inghilterra aveva già effettuato nel corso del conflitto senza il consenso della popolazione egiziana? Perché non hanno stampato un manifesto che incitasse i lavoratori ad insorgere contro l’Inghilterra schiavista? Non è forse perché un atto del genere toglierebbe il tappeto da sotto i piedi di questi anarco-militaristi? Non sarebbero costretti a dire chiaramente che questa guerra è una guerra tra due gruppi di predatori ugualmente nemici della libertà? Gli autori del manifesto sono sicuri che parlare di pace in questo momento significherebbe incoraggiare i progetti della fazione belligerante germanica, che comprendevano l’invasione delle nazioni limitrofe, invasione che compromette ogni speranza di liberazione e di progresso umano. Noi invece crediamo che non l’invasione germanica, ma la guerra in sé, di cui sono parimenti responsabili tutte le nazioni che vi prendono parte direttamente o indirettamente, costituisca una minaccia per ogni speranza di liberazione e di umano progresso. E noi esortiamo il popolo a lottare non solo contro il governo germanico, ma a insorgere contro tutti coloro che vogliono farlo schiavo. Salutiamo con gioia la dimostrazione delle donne di fronte all’edificio del Reichstag per difendere la pace e il pane. Tutto ciò che è sano e puro si è manifestato in queste seppur flebili proteste. Chiamiamo i lavoratori di ogni paese a una tempestosa protesta, a una sollevazione popolare, perché solo con questi mezzi possiamo sperare di rigenerare l’umanità, e non continuando la guerra. Gli autori del manifesto chiamano alla rivolta solo il popolo germanico e, nel contempo, chiamano il popolo degli Stati alleati alle trincee. Siano pure coerenti e rifiutino ad un tempo l’antimilitarismo e la rivoluzione. Perché l’antimilitarismo in Francia o i fermenti rivoluzionari in Russia o in Inghilterra non faranno che favorire la Germania. E qualsiasi forma di antimilitarismo o rivoluzione al di fuori della Germania favorirà i disegni della nazione germanica. Tuttavia, questo è precisamente ciò che Kropotkin ha fatto. Con orrore abbiamo scoperto che anche prima della guerra era contrario alla lotta contro la legge che stabiliva tre anni di servizio militare obbligatorio in Francia.

Ma gli autori del manifesto non riescono veramente a capire che non solo in questa, ma in tutte le guerre si può trovare – in un senso puramente formale – una percentuale di colpa presumibilmente più o meno grande di democrazia? Così si appelleranno sempre al meno colpevole per difendersi; rimarranno sempre schiavi del vergognoso slogan: “Fabbricate i cannoni e rimetteteli al loro posto!”. Anche adesso mentre passano da frasi generiche sul progresso e sulla minaccia germanica a dichiarazioni concrete sulle possibili conseguenze di una vittoria tedesca, temono solo che la Germania si impadronisca delle colonie francesi e, per mezzo di accordi commerciali, riduca la sua vicina ad una soggezione in campo economico. E dopo tutto ciò, Kropotkin e gli altri autori del manifesto si dichiarano ancora anarchici e antimilitaristi! Chi esorta il popolo alla guerra non può essere né anarchico, né antimilitarista.

Essi difendono una causa estranea ai lavoratori. Essi vorrebbero mandare i lavoratori al fronte non in nome della loro emancipazione, ma per la gloria del capitalismo nazionale progressivo e dello Stato. Vorrebbero distruggere lo spirito dell’anarchia e gettarne i resti ai servi del militarismo.

Noi, però, rimaniamo al nostro posto. Esortiamo i lavoratori di tutto il mondo ad attaccare i loro nemici più prossimi, chiunque siano i loro leader – l’imperatore di Germania o il sultano turco, lo zar russo o il presidente francese. Sappiamo che quando si tratta di corrompere la volontà e la coscienza dei lavoratori, la democrazia e l’autocrazia non sono seconde l’una all’altra. Non facciamo alcuna distinzione tra guerre accettabili e inaccettabili. Per noi, esiste un solo tipo di guerra, la guerra sociale contro il capitalismo e i suoi difensori. E ripetiamo i nostri slogan, che gli autori del vergognoso manifesto hanno rinnegato: Abbasso la guerra!

Abbasso il potere dell’Autorità e del Capitale! Viva la fratellanza del popolo libero!

Gruppo degli Anarchici Comunisti [russi] di Ginevra, Otvet, in “Put’k Svobode”, Ginevra, maggio 1917

e guerra alla democrazia!

I governi dittatoriali che imperversano in Italia, in Spagna, in Russia e che provocano l’invidia ed il desiderio delle fazioni più reazionarie o più pavide dei diversi paesi, stan facendo alla già esautorata “democrazia” una specie di nuova verginità. Perciò vediamo vecchi arnesi di governo, adusati a tutte le male arti della politica, responsabili di repressioni e di stragi contro il popolo lavoratore, farsi avanti, quando non ne manca loro il coraggio, come uomini di progresso e cercare di accaparrare il prossimo avvenire in nome dell’idea liberale. E, data la situazione, potrebbero anche riuscirvi.

I dittatoriali hanno buon gioco quando criticano la democrazia e mettono in rilievo tutti i suoi vizi e le sue menzogne.

[…]

Non v’è dubbio, secondo me, che la peggiore delle democrazie è sempre preferibile, non fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle dittature. Certo la democrazia, il cosiddetto governo del popolo, è una menzogna, ma la menzogna lega sempre un po’ il mentitore e ne limita l’arbitrio; certo il “popolo sovrano” è un sovrano da commedia, uno schiavo con corona e scettro di cartapesta, ma il credersi libero val sempre meglio che il sapersi schiavo ed accettare la schiavitù come cosa giusta ed inevitabile.

La democrazia è menzogna, è oppressione, è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi a benefizio di una classe privilegiata; ma possiamo combatterla noi in nome della libertà e dell’uguaglianza, e non già coloro che vi han sostituito o vogliono sostituirvi qualche cosa di peggio.

Noi non siamo democratici, fra le altre ragioni perché essa presto o tardi conduce alla guerra ed alla dittatura, come non siamo dittatoriali, fra l’altro, perché la dittatura fa desiderare la democrazia, ne provoca il ritorno e così tende a perpetuare quest’oscillare delle società umane dalla franca e brutale tirannia ad una pretesa libertà falsa e bugiarda.

Dunque guerra alla dittatura e guerra alla democrazia.

Errico Malatesta, Democrazia e anarchia, “Pensiero e volontà”, Roma, 15 marzo 1924

Democrazia e guerra

E con l’isolamento degli individui, la dissoluzione del proletariato nella nazione, là dove il cittadino non può far altro che obbedire agli imperativi dello Stato, dalla partecipazione democratica alla guerra. Esemplare in questo senso, l’esperienza storica della Francia pre-1914. Negli ultimi vent’anni dell’Ottocento, infatti, «risulta ben presto chiaro che la democratizzazione della vita politica implica la mobilitazione delle masse e la loro integrazione: il suffragio universale, l’istruzione obbligatoria, il servizio militare sono altrettante colonne della democrazia giacobina, ma al tempo stesso sono fattori essenziali della nazionalizzazione della società francese. […] In realtà la scuola popolare, l’istruzione gratuita, la politica in regime democratico, tutte queste innovazioni provocano la comparsa di un fenomeno completamente imprevisto, che disorienta i militanti socialisti più lungimiranti e più attaccati all’ortodossia. Ecco che, invece di accedere alla coscienza di classe, le masse urbane si trovano a essere coinvolte in un processo di integrazione sociale, di nazionalizzazione, favorito e accelerato esattamente da queste vittorie sui privilegi. È così che affiora alla luce del giorno, in tutto il suo potenziale esplosivo, il conflitto fra democrazia e socialismo: la mobilitazione del proletariato, nell’agosto 1914, proverà che la nazionalizzazione delle masse era stata molto più rapida e più profonda della loro socialistizzazione. La grande corsa verso la Gare de l’Est fu il risultato tangibile di mezzo secolo di democratizzazione della società francese».

Zeev Sternhell, La desta rivoluzionaria [Le origini francesi del fascismo 1885-1914], Corbaccio, Milano, 1997

Quanto qui scritto a proposito della Francia ha una portata ancor più generale, essendo che il livello di adesione popolare alla mobilitazione bellica nella Grande Guerra corrisponde esattamente al livello di democratizzazione dei rispettivi Stati: «Il diverso atteggiamento assunto dai partiti socialisti può difficilmente essere compreso se non si prende in considerazione la logica dei partiti stessi. Questi esprimono la linea di tendenza complessiva del proletariato in ogni Paese: partecipazione quasi totale alla guerra da parte del proletariato francese e inglese, adesione più moderata di quello tedesco che si trasformerà in rivolta contro la guerra, disfattismo di quello russo. Il proletariato si dimostra ancora una volta schiavo della democrazia».

Denis Authier Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, La Salamandra, Milano, 1981