Luci da dietro la scena (II)
Luci da dietro la scena (II)
La funesta farsa
«Immaginiamo che il diavolo stia comprando l’anima di uno sventurato e che qualcuno, impietositosi nei riguardi dello sventurato, intervenga nel contraddittorio e dica al diavolo: “È vergognoso da parte sua offrire questo prezzo; l’oggetto vale almeno il doppio”.
Questa è la funesta farsa che ha messo in scena il movimento operaio, con i suoi sindacati, i suoi partiti, i suoi intellettuali di sinistra».
Simone Weil, La persona e il sacro, 1943
Un vecchio arnese, l’uomo
La razionalità, emancipatasi dall’uomo, spingendosi al limite estremo della perfetta pura aderenza al proprio modello di funzionamento, si libera dell’uomo stesso come di un arnese arcaico capace solo di intralciarla nel suo retto esplicarsi. Nell’utopia tecnologica, progresso feticizzato e regressione auto-distruttiva sono due estremi opposti che finiscono per toccarsi. Là dove il loro incontro si traduce in unione, il divenire cieco, teso al proprio oltrepassamento ininterrotto, magicamente cessa, tutto si placa d’un colpo e subentra un’immobilità mortuaria nella quale il battito delle macchine, le sole ancora a dar l’impressione del movimento, scandisce il ritmo di una realtà soddisfatta di sé, che si pone come la trionfale tautologia di se stessa, come il pieno attuarsi di una razionalità che ha bruciato in sé gli ultimi residui testimonianti la sua vergognosa origine umana.
L’utopia perversa, in “Utopia”, Milano, a. II, n. 1, gennaio 1972, siglato: t.p. [Tito Perlini]
Nelle tenebre della scienza burocratizzata
[…] se la perdita dell’unità teorica della conoscenza scientifica è un motivo di prostrazione intellettuale per gli scienziati più lucidi, la sua incoerenza pratica ne costituisce uno del tutto materiale per coloro che subiscono i risultati delle operazioni della scienza burocratizzata. Nella sua ostinazione a non prevedere mai se non isolatamente, sul modello dell’esperimento da laboratorio, i processi che essa provoca su grande scala nella natura senza preoccuparsi degli effetti cumulativi e delle interazioni possibili, la pratica della scienza moderna si rivela meno razionale, e in ogni caso di una irrazionalità ben più disastrosa, dell’antico pensiero alchimistico con il suo senso poetico dell’unità della materia.
[…]
È la stessa potenza di falsificazione, che agisce a tutti i livelli della vita sociale, e che ha il suo centro in un modo di produzione che deve dissimulare di essere accompagnato ovunque dalla morte e dalla distruzione, è quella potenza di falsificazione senza precedenti nella storia che impedisce tanto la qualificazione di un regime politico quanto l’identificazione di una malattia, e che, per ognuno, fa della realtà direttamente vissuta qualcosa di perfettamente atipico. Si sa che i manipolatori della percezione, che programmano cinicamente l’abbassamento del gusto di quelli che sono i consumatori coatti dell’alimentazione prodotta industrialmente, si vantano di poter far loro trangugiare qualsiasi cosa, a patto che qualche apparenza venga rispettata: i loro test mostrano infatti che un pastone di fagioli adeguatamente tritato e colorato si può benissimo far passare per del melone, e viceversa. E poiché gli uomini che servono da cavie, privati di ogni mezzo concreto di conoscenza e di adeguatezza, si rivelano incapaci di riconoscere la differenza, ciò prova irrefutabilmente che la loro valutazione è perfettamente soggettiva, suscettibile di essere rieducata; non riposa su nessuno di quei dati oggettivi che sono stati previamente soppressi o manipolati, sicché essi non vengono lesi in alcunché privandoli di quel che sono stati resi incapaci di valutare.
Ad vocem “Abaissement” (Abbassamento), “Encyclopédie des Nuisances”, tomo I, fascicolo III, 1985
Vuoto sperimentale
Di fronte a realtà tanto smisurate, è necessario oggi affermare senza giri di parole che il pensiero scientifico è come il giardinaggio in un cimitero: anche quando ci sono dei fiori, si sa su cosa crescono. Restiamo allora un momento nel campo vegetale. Abbiamo considerato altrove come, per gli scienziati, l’albero astratto delle loro ipotesi s’un’eventuale scomparsa della foresta nascondesse la foresta scomparsa (si veda l’articolo Abêtissement). E la paziente cura con cui potano questo albero ipotetico mostra quanto basta la loro disponibilità a sacrificare tutte le foreste reali e ogni vita reale pur di perfezionare la loro conoscenza dei deserti dell’astrazione. Questa religione scientifica ha, come l’antica, i suoi preti e i suoi martiri, i suoi fanatici e i suoi illuminati (si veda l’articolo Abnégation). Eppure, per quanto “disinteressata” pretenda di essere, niente può distoglierla dal servire un ordine sociale che, sebbene sia governato senza dubbio da interessi più immediati, nondimeno si dà da fare con mirabile zelo per creare ovunque, in concreto, le condizioni di vuoto sperimentale che la scienza ricerca per i suoi calcoli e le sue operazioni. Quali che siano l’elevatezza del suo ideale, le sue ambizioni, i suoi scrupoli, deve ben riconoscere in questa pratica profana la propria realizzazione terrestre: ogni sragione particolare non è che una prova sul cammino della Ragione, prova dalla quale la fede deve uscire accresciuta, poiché ogni nuovo disastro giustifica la mediazione degli specialisti, i soli in grado di interpretarlo e di comprenderlo. E il regno della Scienza arriverà quando finalmente sarà infine stata ridotta a niente questa fastidiosa sorgente di errori che è l’esistenza umana. Poiché ogni catastrofe dimostra la poca affidabilità di questa stravagante umanità.
Ad vocem “Abîme” (Abisso), “Encyclopédie des Nuisances”, tomo I, fascicolo VIII, 1986