Covid-19, cure precoci, vaccini OGM e “green pass”: un contributo
Contributo scritto per l’iniziativa di controinformazione All’aria aperta, svoltasi venerdì 20 agosto 2021 a Rovereto.
Covid-19, cure precoci, vaccini OGM e “green pass”: un contributo
Con queste mie brevi noti, vorrei contribuire alla discussione in corso su come contrastare il lasciapassare sanitario e, più in generale, il progetto di società che avanza grazie all’Emergenza.
Si tratta di un groviglio di problemi sui quali la discussione avrebbe dovuto cominciare e approfondirsi già da tempo. Il nemico è riuscito ad imporre una vera e propria «paralisi cognitiva», la quale ha colpito non solo l’insieme della società, ma anche gli ambienti più “nostri”. Oggi ci troviamo in una doppia necessità: da un lato l’urgenza di operare scelte di campo nette e radicali – perché, senza esagerare, ci troviamo di fronte a una svolta decisiva; dall’altro l’importanza di mantenere la pazienza, la disponibilità e la cura di ascoltarci e di capirci il più possibile.
A mio avviso, dovremmo muovere in direzione ostinata e contraria rispetto ai progetti della tecnocrazia: cioè non indugiare troppo sui dettagli e cogliere le tendenze di fondo.
Sulla questione dei trattamenti precoci per evitare o limitare l’ospedalizzazione dei malati di Covid-19. Il punto non mi pare quello di stabilire in modo certo l’efficacia dell’idrossicrolochina, dell’azitromicina o dell’ivermectina. Non solo i trial clinici sono sempre tra loro contraddittori (come su qualsiasi altro ambito di ricerca), e viziati a tacer d’altro da un certo eurocentrismo (studi indiani o vietnamiti non saranno mai considerati altrettanto “autorevoli” di quelli condotti a Oxford o negli USA), ma non si può mettere a confronto l’esperienza di migliaia di medici in tutto il mondo con i “modelli statistici” richiesti dalla “comunità scientifica”. Non si può certo chiedere a un medico di somministrare a metà dei propri malati del placebo e all’altra metà della lattoferrina per raccogliere dei dati oggettivi verificabili. Gli si chiede di curare. Non c’è protocollo di cura che possa sostituire il rapporto tra medico e paziente – e bisogna diffidare di qualunque trattamento “valido per tutti”. Ora, cos’hanno in comune i modi con cui lo Stato italiano o inglese o francese ha “affrontato l’epidemia”? Che da un lato si è parlato in modo martellante di guerra, e dall’altro si sono disattivate le “prime linee”, cioè la medicina di base. Il processo non è cominciato con il Covid-19, ma ha una storia ben più lunga (l’altro giorno una mia carissima amica francese, anziana e con parecchi problemi di salute, mi diceva – come se fosse la cosa più insolita del mondo – che nel quartiere in cui vive è finalmente arrivato un giovane medico che visita i pazienti a casa, cosa che negli anni scorsi nessuno faceva…). La tendenza – che l’Emergenza ha accelerato – è quella di sostituire lo sguardo medico con i modelli statistici, sempre più basati sull’intelligenza artificiale e sugli algoritmi. E infatti i finanziamenti in ambito sanitario previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vanno principalmente alla digitalizzazione e alla telemedicina. In futuro il medico lo vedremo sempre più da lontano, dietro uno schermo. Non è certo un caso che a fornire il programma per digitalizzare i servizi pubblici sia lo stesso colosso che ha realizzato la app per il lasciapassare sanitario: IBM. Gli stessi che in passato hanno prodotto le schede perforate che hanno reso così performante la macchina dello sterminio nazista, oggi puntano a qualcosa di ancora più ambizioso: la schedatura universale, il Pianeta smart (Sanità compresa).
Che sia il Plaquenil, la quercetina o l’agopuntura, il punto è soprattutto contrapporre alla macchina tecnocratica degli spazi di autorganizzazione anche in ambito medico, coinvolgendo il personale sanitario critico.
Discorso simile sui vaccini a m-RNA (e a DNA ricombinante). Al di là delle gigantesche incognite che la loro somministrazione di massa porta con sé – e delle reazioni avverse, anche mortali, già verificatesi ed ampiamente taciute –, vale la pena di osservare la tendenza: le tecnologie convergenti (intelligenza artificiale, bio-informatica, biotecnologie, nanotecnologie, biologia di sintesi) hanno trovato nell’Emergenza da Covid-19 il loro «momento Sputnik» (i tecnocrati lo chiamano proprio così), cioè l’inaugurazione di una nuova èra. Senza che nessun quotidiano si sia nemmeno degnato di riportare la notizia, qualche giorno fa la Commissione europea ha autorizzato la commercializzazione per l’alimentazione umana e animale di dieci nuovi prodotti agricoli OGM. La “deroga temporanea” alle direttive UE sugli OGM con cui si è autorizzato lo sviluppo dei vaccini a m-RNA e a DNA ricombinante, come si vede, ha già avuto delle ricadute anche sull’agrifood.
Infine qualche spunto-proposta contro il lasciapassare sanitario.
Schematicamente, mi sembra ci siano tre terreni di azione.
Il primo è quello della lotta diretta, del blocco, del sabotaggio. Il fatto che Fugatti abbia annunciato – primo in Italia, a quanto sembra – di togliere il personale di biblioteche, palestre, piscine, scuole ecc. dall’imbarazzo di fare i controlli introducendo delle macchine per la lettura del QrCode, ci dice due cose, una negativa e l’altra no: il lasciapassare digitale è qui per rimanere; è più facile sabotare una macchina che litigare con un essere umano ridotto a lettore di codici…
Il secondo è quello dell’autodifesa. Non bisogna confondere il “green pass del tempo libero” con quello nei luoghi di lavoro (o dell’obbligo vaccinale diretto per il personale sanitario). Quando si rischia la sospensione dal lavoro senza stipendio e senza salario, il sistema ti prende per fame. È fondamentale pensare – come qua e là si sta già facendo – a delle casse di resistenza, da rimpinguare con delle iniziative apposta (cene, concerti, collette durante i cortei ecc.). Ed è proprio sulle iniziative di socialità che vorrei concludere.
Non solo si deve e si può battersi per ricacciare indietro il pass e il mondo a cui ci farebbe accedere, ma nel farlo si può rovesciare l’esclusione in occasione di incontro, in critica pratica della socialità mercificata. Tenetevi i vostri bar, i vostri teatri, i vostri concerti solo per cittadini responsabili! Tenetevi la vostra schedatura! Ci troveremo a mangiare, a danzare, a fare teatro e musica nelle strade, nelle piazze, nei parchi, rendendo più autentica e più intensa la nostra socialità! Le “terrazze selvagge” che sono cominciate in Francia sono un bell’esempio, via via più contagioso. Pensate che c’è un paesino della Bretagna (gente cocciuta, i bretoni…) in cui tutti e tre i bar hanno chiuso («Il controllo sociale non è il nostro mestiere. Bar chiuso» annunciano i cartelli esposti sulle vetrate dei bistrot) e gli abitanti si trovano a fare dei pic-nic nel giardino comunale. Vaccinati e non-vaccinati contro la sorveglianza generalizzata!
E poi ci vorrebbero canzoni e slogan all’uopo, come quelli nati in Valsusa nelle notti migliori.
Se questi tre piani riusciranno a intrecciarsi fra loro, potremmo dire, parafrasando un personaggio di Pulp Fiction: «E allora sì che hanno fatto bene a introdurre il lasciapassare!».