Appunti (e spunti di riflessione) sulla maledizione pandemica
Appunti (e spunti di riflessione) sulla maledizione pandemica
Pubblichiamo questi “appunti” usciti su nucleocom.org, a nostro avviso particolarmente lucidi e preziosi. Se non mancano alcuni elementi di disaccordo, condividiamo appieno che l’«abbaglio micidiale» preso da buona parte degli antagonisti e dei rivoluzionari rispetto all’Emergenza da Covid-19 sia stata (e sia) – ancor più della «cretineria venduta come scienza» – la confusione tra “collettività” e Stato: cioè il nodo irrisolto delle disfatte rivoluzionarie del Novecento. Così come troviamo assai convincenti gli spunti di analisi sui modi e le ragioni della gestione cinese dell’epidemia (dal blocco alle cure ai vaccini) e del tutto condivisibili le annotazioni finali sulla mobilitazione contro il lasciapassare e l’obbligo vaccinale. Insomma, un po’ di aria fresca. Buona lettura.
Fin dal primo manifestarsi della pandemia una maledizione sembra aver colpito la gran parte della sinistra antagonista e di quella rivoluzionaria. Gli effetti più evidenti e grotteschi si vedono da quando sono iniziate le mobilitazioni di piazza contro il green pass e l’obbligo vaccinale, da cui il grosso di queste tendenze non solo si è tenuto rigorosamente a distanza, ma si è unito al coro governativo contro gli irresponsabili individualisti, negazionisti, no vax, fascisti, ecc.
Francamente non mi stupisco. Credo che queste reazioni fanno parte di una dinamica inevitabile che segue una situazione di sempre più profonda crisi del capitale, all’interno della quale le precedenti posture di classe proletaria e delle soggettività politiche che vi si sono sviluppate intorno sono destinate a subire un completo spiazzamento. L’epoca di cui si stanno definitivamente chiudendo anche gli strascichi è quella dello scontro tra proletariato e borghesia e quella che ora si manifesta con vigore (pur essendo da tempo iniziata) è quella tra capitalismo e comunismo. Chiunque affronta la nuova epoca con l’armamentario della precedente è destinato a soccombere o, peggio, assoggettarsi al capitale, così come vi si era già assoggettato il proletariato organizzatosi in classe sotto la spinta dell’epoca precedente. Tuttavia, sarebbe molto utile se riuscissimo a comprenderne i passaggi. Magari solo per aggiungere un nuovo capitolo al “bilancio” avviato da Paolo, senza poter pretendere di completarlo, né tanto meno di trarvi le lezioni decisive per il futuro.
Di primo acchito la questione sembra rimandare alla fiducia nella scienza. Chi ce l’ha si vaccina ed accetta il green pass. Chi non ce l’ha rifiuta vaccino e lasciapassare. Ma non è così. La scienza non è affatto univoca. Per ogni virologo che sostiene che il covid sia la nuova peste ne esiste almeno un altro che sostiene che sia poco più di una influenza. Per ogni esperto che ritiene il virus di origine naturale (attizzando i sinistri che vi scorgono l’opportunità di dimostrare alle masse la distruttività del capitale) ne esiste almeno un altro che dimostra che sia di origine artificiale. Per ogni esperto che sostiene il vaccino come unico rimedio ne esiste almeno un altro che sostiene la curabilità della malattia, meno facile solo nei casi di anziani con plurime comorbilità. Per ogni esperto che esalta il vaccino ne esiste almeno un altro che ne dimostra l’inutilità e la pericolosità. Il fatto è che i primi sono stati selezionati dai governi (…). Dunque, quando si dà credito a una certa narrazione sul covid e sui vaccini (con il green pass strettamente correlato a entrambi), non si sta dando credito alla scienza, ma a personaggi che i governi (pilotati da Big Pharma e Oms) hanno nominato come detentori di essa.
La domanda da porsi è, di conseguenza: come mai tanti rivoluzionari riversano fiducia nei governi, negli stati, negli scienziati a libro-paga delle multinazionali del farmaco e di Big Tech?
Non credo di poter dare una risposta con i crismi della certezza. Possiamo provare a ragionarci su.
1. Gli ultimi trent’anni di riforme e di shock economico-sociali-ambientali hanno radicato una profonda precarietà esistenziale. La pandemia l’ha traslata dal piano economico-sociale a quello della nuda vita, della pura sopravvivenza. La paura di morire è accentuata dal fatto che si è sviluppata pienamente l’ideologia individualista. L’imprenditore di sé stesso che ha sostituito i precedenti vincoli di classe ha potuto affermarsi come ideologia dominante alimentandosi con le promesse di immenso potenziamento delle capacità individuali su ogni piano, compreso quello della salute e della durata della vita. L’emergere di una pandemia dichiarata ufficialmente come priva di cura ha, perciò, trovato un terreno favorevolissimo per innescare una paura generalizzata con punte di vera e propria isteria. La soluzione tecno-capitalistica del vaccino miracoloso si è, perciò, presentata come soluzione per riprendere il percorso interrotto, per restituire all’individuo quelle certezze sul progresso del suo continuo potenziamento. Come ha scritto un anonimo sui muri dell’hub vaccinale di Foggia, con puro (probabilmente inconsapevole) stile dadaista/situazionista “pretendiamo la quarta dose per diventare immortali”. Il capitale, forse, produce devastazioni ambientali che attentano anche alla nuda vita umana, ma, perdio, con l’ineguagliabile e continuo sviluppo delle sue forze produttive, sa come risolvere i problemi da esso stesso creati!
Sulla massa questa dinamica ha avuto senz’altro effetto. Si può escludere che l’abbia avuto anche su molti rivoluzionari? Per quanto possa sembrare assurdo, io credo che, in certa misura, abbia avuto effetto anche su di loro. Anche se da solo questo aspetto forse non spiega interamente la loro deriva.
2. Un secondo aspetto che ha il suo peso su questa deriva è il fatto che gli scienziati contro-corrente sono citati e ospitati da siti alternativi che inclinano, con rare eccezioni, verso posizioni destrorse o verso immaginifiche, e spesso rivoltanti, teorie cospirazioniste. Questo spaventa molti rivoluzionari che finiscono col non chiedersi se i contenuti scientifici siano o meno fondati, ma rifiutano di prenderli in considerazione per il semplice fatto che derivino da siti o organizzazioni di destra. Quel che, così, emerge è una visione del fascismo dai caratteri resistenzialisti, che porta a fare blocco con la democrazia contro il fascismo. Non solo si abbandona (per chi l’aveva apparentemente appresa) la visione del fascismo (ben più pregnante) espressa da Bordiga, ma si evita completamente di fare i conti con cosa sia diventata oggi la democrazia, mai come ora ridotta all’essenza di quanto da sempre sostenuto dal marxismo rivoluzionario, ossia di essere una pratica esclusivamente elettorale con cui il popolo sceglie, ogni tot, da chi … farsi dominare, dove a dominare non sono i politici, ma il potere reale che li promuove e li dirige. Potere che non è più solo l’impersonale pressione del rapporto di capitale, ma è sempre più il potere diretto della finanza e del grande capitale che si occupa di dettare le linee politiche dei governi e degli stati, utilizzando anche il monopolio ormai pienamente assunto sui media.
3. Un terzo aspetto, sempre a parere mio, è legato alla scomparsa del movimento operaio. Vero è che questo, quando c’era, era dominato dal riformismo, ma, tuttavia, esisteva come una sorta di contro-potere. Noi sappiamo quanto ciò fosse apparente e non reale, tuttavia sappiamo anche che, in modo esplicito o implicito, i rivoluzionari lo consideravano un elemento che si sarebbe prima o poi aperto, per necessità, alla loro influenza. Da chi si proponeva come mosca cocchiera del corpaccione proletario dominato dal riformismo, a chi pensava di fare con esso fronte unito sul piano immediato in vista dell’apertura di contraddizioni nel suo seno. Il corpaccione proletario era lì, ed esprimeva (sia pure sul solo piano operaio-borghese) una propria visione delle cose, che era, con una pur sempre relativa puntualità, anti-sistema, o anti-stato. Oggi non esiste più e, con esso, viene a mancare una base di forza politica che sviluppava visioni alternative in generale e/o su singole questioni. Ricordo che mio padre, anti-fascista in gioventù e democristiano per il resto della vita, un giorno dei suoi ultimi anni mi chiese di accompagnarlo in edicola a comprare l’Unità. Aveva sentito una notizia in tv (non ricordo a proposito di cosa, forse armi nucleari) e diffidando della fondatezza voleva trovare conferma o smentita in quello che per lui era l’anti-stato… Ora l’anti-stato (per quanto, sappiamo noi, più fittizio che reale) non c’è più e questo mette tutti nella scomoda posizione di isolata monade (anche quando si è associati in piccole organizzazioni rivoluzionarie) che deve su ogni singolo accadimento cercare le coordinate su cui fondarne la comprensione e allorché questo singolo fatto giunge al punto di minacciare la sopravvivenza della propria individuale carcassa è inevitabile che ci si appoggi a chi apparentemente fornisce qualche certezza, soprattutto se unita a dichiarazioni di assunzione di responsabilità verso la salute collettiva.
4. La pandemia ha improvvisamente svelato quanto l’individuo lungamente celebrato sia impotente dinanzi a certuni accadimenti, che si possono affrontare soltanto con una cooperazione tra tutti gli individui. Ciò ha riesumato la necessità di agire come comunità sia pure solo per affrontare il nemico virus. Molti rivoluzionari hanno interpretato questa dinamica con grande entusiasmo, considerandola suscettibile di preparare il percorso alla concretizzazione di una nuova comunità di classe. A mio avviso questo aspetto ha, potenzialmente, un significato effettivamente positivo, dal nostro punto di vista. Non di meno, bisogna darsi conto del percorso che ha intrapreso. La comunità realmente esistente, essendosi sciolta ogni apparenza di comunità di classe, è quella dello Stato. A esso, perciò, è stata naturalmente indirizzata la richiesta di provvedere a organizzare le misure collettive per contrastare il nemico. Lo Stato ha recepito di buon grado l’istanza e l’ha tradotta in una sua potente ri-legittimazione in quanto rappresentante dell’interesse generale della collettività, risollevandosi da decenni in cui questo aspetto si era fortemente indebolito. Ma per ri-legittimarsi ha messo in atto misure la cui unica direzione era di scaricare la responsabilità della pandemia sui comportamenti individuali, fino al punto di scatenare la fobia uno dell’altro, ciascuno terrorizzato dalla possibilità che l’altro sia un untore, e pronto ad aggredirlo in caso di mancato rispetto delle regole di distanziamento sociale. Le potenzialità teoriche che l’istanza comunitaria si potesse tradurre in un percorso in grado di aprire l’avvento di una nuova comunità di classe, si sono, insomma, immediatamente risolte nel loro contrario. Ma i rivoluzionari non se ne sono resi conto, anzi, hanno continuato a credere alle propria illusione della comunità in marcia aderendo toto corde alle misure di distanziamento sociale, scambiando la realtà di soldatini che obbediscono ai comandi dello Stato considerandosi l’un l’altro pericolosi untori per un’illusoria comunità che si difende dalla pandemia disciplinando le mene individualistiche con comportamenti collettivisticamente univoci. Un abbaglio micidiale. Favorito da una vera e propria cretineria venduta come scienza, ossia che si potesse bloccare la trasmissione del virus confinando ognuno a casa propria, indossando mascherine e tenendo un metro di distanza dai vicini. Come Giulio Tarro sostiene da un anno e mezzo, tutto ciò è semplicemente folle. Il virus si diffonde e diviene inevitabilmente endemico, e come tutti i virus, più si diffonde più riduce la propria virulenza (a meno che certi vaccini non riescano a indurlo a mutazioni più aggressive…). Essendo una palese cretineria, anche gli esperti governativi l’hanno abbandonata, sostituendola col fatto che le misure servivano a ridurre l’afflusso negli ospedali già stressati. A ciò una comunità davvero in marcia avrebbe dovuto rispondere esigendo il rafforzamento dell’assistenza sanitaria, ospedaliera e no, con ciò aprendo una crepa nella illusoria e anti-proletaria comunità-Stato. Ciò che non è minimamente avvenuto, se non in alcune minoranze che si sono, però, opposte alla narrazione ufficiale della pandemia come incurabile e si oppongono ora alla sperimentazione di massa delle terapie di mutazione genica chiamate vaccino, che si collocano, perciò, oggettivamente fuori dalla comunità-Stato saldatasi nella gestione a-sociale e pro-statuale della pandemia.
5. Si introduce, con ciò, un ulteriore aspetto che induce tanti rivoluzionari a prendere le distanze da chi contesta la gestione della pandemia, i magici vaccini, e il lasciapassare (per ora) sanitario. Quello della libertà individuale. Chi contesta gestione, vaccini e lasciapassare lo farebbe esclusivamente per affermare la libertà individuale, chi non li contesta affermerebbe, invece, il proprio profondo comportamento comunitario, in grado di assoggettare le spinte individualistiche all’interesse comune, prodromo del comunismo a venire. A me questa pare la più (carognescamente) esilarante delle scuse. Se si guarda all’opposizione dei piccoli e piccolissimi capitalisti al confinamento (quasi) generalizzato si può indubbiamente vedere in azione una rivendicazione di libertà individuale fondata sull’essenza capitalistica di libertà di sfruttare, anche se non si dovrebbe dimenticare che in queste pulsioni si fa spazio, oggi come oggi, contraddittoriamente più che la libertà di sfruttare quella di vivere, ossia di esercitare un’attività per guadagnarsi da vivere, sia pure in una condizione che si elevi da quella proletaria. Se si guarda, invece, alle pulsioni di poter esercitare una vita sociale, o di poter essere liberi di scegliere se sottomettersi o meno a un trattamento sanitario, il piano cambia completamente. L’una non si può confondere con l’altra. Vero è che la prima (libertà di sfruttare) può farsi forte agitando anche la seconda. Ma ciò è vero per qualsiasi rivendicazione di massa. Ognuna di esse può evolvere in un senso (rafforzamento del capitale) o nell’altro (gettare condizioni per la formazione di una comunità di lotta di classe). Quel che decide della direzione non è meccanicamente contenuto nella rivendicazione in sé, ma nelle condizioni generali in cui la lotta si svolge. Le prime contestazioni che prepararono il ’68 erano tutte individualistiche. Dal giovane Usa spaventato dalla leva obbligatoria per il Vietnam, agli afro-americani oberati dalla discriminazione razziale che li penalizzava come individui nell’ambito della società, ai giovani occidentali che avvertivano il peso opprimente delle convenzioni sociali, alle donne che non sopportavano più la gabbia-famiglia e la tutela sui propri corpi e la propria vita del padre-padrone, marito-padrone, del prete e della chiesa, ecc., ai contadini, operai, piccoli borghesi stanchi dell’oppressione coloniale che gli impediva di godere di una più ampia libertà individuale, economica e sociale, all’operaio che voleva finalmente partecipare come individuo allo sviluppo generale che il suo lavoro aveva consentito, e così via. Tutti partivano da una rivendicazione di maggiore libertà individuale. La somma di queste esigenze divenne collettiva e si trasformò in comunità solo allorquando si avviò il percorso della lotta collettiva. Perché si avviò? Perché a ogni singola oppressione corrispondeva un preciso oppressore che ne beneficiava a suo vantaggio, e perché tutti gli oppressori facevano fronte comune nello Stato (e nelle sue istituzioni, famiglia, esercito, chiesa, ecc.) e nel difendere ed estendere il dominio del rapporto di capitale. Si possono, per esempio, schifare i giovani di allora che rivendicavano il libero amore (che era sì libero, ma era amore, ossia prodotto da un sentimento profondamente umano e, perciò, sciolto dagli obblighi economico-sociali che presiedono all’istituzione familiare, su cui lo stato della prima fase del capitalismo necessariamente si fondava) solo perché il capitalismo è stato in grado di appropriarsi a modo suo della rivendicazione realizzando l’attuale sessuomania senza amore (molto più efficace per fondare il potere dello stato nella nuova fase di sussunzione reale del capitale)? O si possono schifare i giovani di allora renitenti alla leva perché in risposta a ciò è sorto l’esercito professionale di mercenari più facilmente manovrabili sul piano etico-militare? O le donne che allora rivendicavano “il corpo è mio e me lo gestisco io” contrapponendosi al patriarcato familiare, istituzionale e religioso solo perché oggi dalla deformazione di quel femminismo si è sviluppato il femminismo neo-liberale?
Cosa ha determinato il passaggio dalle pulsioni individuali per la libertà individuale in lotta collettiva contro il capitale (almeno nelle intenzioni, che furono, non di meno, enormemente diffuse)? Il semplice riconoscere di non essere soli a rivendicarle e che l’unione di tutti gli interessati era molto più efficace per conseguirle. Ciò ha aperto il successivo passaggio di coscienza sul fatto che l’oppressione esisteva perché c’erano degli oppressori che la sfruttavano ed erano intenzionati a preservarla. Gli oppressori, ulteriore passaggio, non erano poi tra loro slegati, ma facevano fronte comune nello stato e nella difesa di un determinato sistema economico-sociale. A ciò si giunse perché la mobilitazione si estese coinvolgendo agenti sociali, i proletari, che per esigere le loro libertà individuali dovevano necessariamente aggredire il cuore del sistema, cioè il rapporto di capitale basato sullo sfruttamento dell’uomo. Il ’68 fu, perciò, un primo, potente (e contraddittorio quanto si vuole), annuncio della nuova epoca in cui la lotta non era più del proletariato contro la borghesia per decidere quale classe, e come, doveva sviluppare le forze produttive, ma tra una parte rilevante (ed estremamente composita) dell’umanità che opponeva al capitale in via di farsi totale (cioè sussumere sotto di sé l’intera vita individuale e dell’organismo sociale) la totalità della sua opposizione e dei suoi bisogni. Cosa decise del rinculo di questo movimento? Cosa portò a infrangere la totalità della lotta con la frammentazione settoriale fino all’attuale imporsi delle politiche identitarie (abbracciate dai sinistri come sostituto della lotta di classe, e da tanti rivoluzionari come fronte di lotta da integrare nella lotta di classe per meglio qualificarla)? Cosa decise del fatto che le pulsioni emerse finirono per essere appropriate a modo suo dal capitale per basarvi un nuovo (e duraturo) rilancio? Domande che esigono risposte inevitabilmente complesse, ma che, tuttavia, rinviano all’aspetto fondamentale che il capitale aveva ancora una grossa forza propulsiva e nuove opportunità (in sostanza il trascinamento della Cina nel vortice del mercato mondiale come principale officina di nuovo plusvalore del mondo) per rilanciarsi comprando anche il consenso di alcuni (se non proprio tutti) i settori coinvolti nella lotta prospettandogli adeguate risposte ai bisogni settoriali e specifici, prima rinnovando ed estendendo il compromesso socialdemocratico, poi sostituendolo con quello neoliberale, che ha smantellato i vincoli di classe di quello socialdemocratico, offrendo, tuttavia, in cambio opportunità (soprattutto l’accesso generalizzato al credito) per conservare un certo livello di sussistenza a ceti medi e proletariato.
Se si applicasse al ’68 lo schema che oggi tanti rivoluzionari applicano alla libertà individuale richiesta da chi si oppone al confinamento come misura di gestione della pandemia, al vaccino obbligatorio e al lasciapassare sanitario bisognerebbe concludere che sarebbe stato meglio soffocare in fasce le esigenze di libero amore, bollare di individualisti piccolo-borghesi i giovani renitenti alla leva obbligatoria per il Vietnam, deridere gli operai che non si occupavano solo di salario e orario di lavoro, ma esigevano, come i giovani, le donne, ecc. una vita più libera, e, dunque, più piena di relazioni sociali liberamente scelte.
6. In ultimo credo che ci sia un ulteriore aspetto che ha contribuito alla deriva di tanti riv. La misura principale di contrasto alla pandemia, inaugurata in Italia e annunciata in pompa magna in Occidente è stato il blocco delle attività economiche. Ora questo è stato attuato in modo totale solo nell’Hubei. La Cina ebbe inizialmente paura (et pour cause…) che l’epidemia fosse il prodotto di un attacco biologico. La chiusura di ogni attività nello Hubei e il completo isolamento di questa provincia dal resto del paese erano necessari per cercare di stroncare la sua diffusione e avere il tempo di capire la gravità del virus e della malattia. Cosa che fu subito chiara, tanto è vero che i cinesi svilupparono subito le cure necessarie a contrastarla efficacemente, come dissero in un rapporto ufficiale fin dal marzo ’20, spiegando in lungo e in largo come non si trattasse di polmoniti interstiziali bilaterali ma di un virus che attaccava direttamente il sistema cardio-vascolare, e illustrando con la stessa dovizia di particolari le cure adeguate della medicina tradizionale cinese e quelle della medicina ufficiale, tutte sperimentate con notevole successo. In seguito la Cina ha continuato ad avere un atteggiamento di grande vigilanza a ogni esplodere di nuovi focolai, non perché tema che le cure sperimentate non siano adeguate, ma perché teme un nuovo attacco biologico con mutazioni più aggressive del virus (come, per esempio, è successo in Iran, unico paese al mondo che ha avuto un grande numero di morti anche tra il personale politico di alto livello…). Se la Cina si è avviata sulla strada del vaccino non è per l’inadeguatezza delle cure, ma perché chi detta il gioco della concorrenza economica mondiale è ancora l’Occidente e la Cina è tuttora costretta a inseguire. Se l’Occidente diventerà effettivamente più produttivo di plusvalore sociale sviluppando la tele-medicina, il vaccinismo, le terapie geniche, e così via, la Cina non può rimanere indietro, pena il fallimento del suo tentativo di emergere dal fondo della gerarchia capitalistica mondiale, paese paria produttore di plusvalore per conto altrui. Ciò non di meno, anche se i suoi laboratori si stanno confrontando (per gli stessi motivi di competitività) con le terapie geniche, i vaccini che sta diffondendo nella sua popolazione (e che propone ai paesi poveri) non sono terapie geniche, ma sono vaccini nel senso tradizionale del termine, ossia utilizzano frazioni del virus reale (il che li rende, tuttavia, a rischio di scatenare la già nota reazione avversa, secondo cui i vaccinati entrando in contatto con il virus naturale possono sviluppare, in un numero significativo di casi, una reazione potenziata della malattia – non ho trovato letteratura che spieghi se e come i cinesi hanno affrontato questo problema). Anche la Russia, come si sa, si è precipitata a produrre i propri vaccini per impedire di essere colonizzata da quelli occidentali, e li ha prodotti con vettore diverso dal mRNA, anche se, a differenza della Cina, sono terapie geniche, ossia inducono la produzione delle proteine Spike nell’ipotesi di sollecitare il sistema immunitario a produrre gli anticorpi necessari ad affrontare il contagio del virus naturale (in compenso la Russia non ha imposto finora il vaccino, e ha gestito la pandemia anch’essa come se fosse un attacco biologico, ma senza creare allarme eccessivo nella popolazione, che, infatti, si sta vaccinando poco e quando il sindaco di Mosca, probabile espressione della cosiddetta quinta colonna atlantista, ha cercato di uniformarsi all’Occidente proponendo vaccino obbligatorio e passaporto vaccinale è stato – almeno per le notizie trovate finora – mandato a quel paese non da Putin, che anzi ha fatto qualche apertura all’obbligo vaccinale, ma dagli stessi moscoviti che stanno sabotando obbligo e passaporto).
Chiusa parentesi. Torniamo al problema chiusura dell’economia. Come visto, una vera chiusura c’è stata solo nell’Hubei. In Italia e nel resto dell’Occidente sono stati da subito esonerate le attività essenziali. Ovvero quelle legate al consumo indispensabile, alla sanità, all’esercizio di alcune funzioni dello stato e del pubblico in generale, e della produzione industriale. Grazie ad alcune sollevazioni operaie sono stati ristretti un po’ i confini delle attività essenziali, subito ri-estesi con l’accordo sindacale che ha messo in sicurezza le fabbriche, con le misure che abbiamo già visto essere del tutto inutili a fermare la diffusione dei virus (mascherine, distanziamento, sanificazione di superfici e mani, ecc.) e che, peraltro, chissà perché erano in grado di mettere in sicurezza le fabbriche ma non scuole, musei, trasporti pubblici, ristoranti, bar, ecc.
Il blocco dell’economia ha entusiasmato molti rivoluzionari che hanno visto nella pandemia l’avvento del cigno nero in grado di mettere al tappeto il capitale costringendolo a rinunciare al processo di accumulazione e, nel contempo, a fare emergere le funzioni essenziali alla vita individuale e sociale, su cui si sarebbe potuto innestare un nuovo ciclo di lotte per il socialismo o per il comunismo. Qualcuno, meno illuso, si sarebbe accontentato dell’emergere della essenzialità (alla vita sociale e alla stessa tenuta dell’accumulazione) di una gran parte del proletariato, sulla cui base si sarebbe potuto inaugurare una ripresa della lotta rivendicativa di classe. Per inseguire queste chimere era, tuttavia, necessario accettare a occhi chiusi il fatto che fosse una pandemia devastante e senza altra cura se non quella non-farmacologica del distanziamento e, appunto, del blocco dell’economia. Anzi, si trattava di dimostrare che la pandemia fosse persino più devastante di quanto ufficialmente riconosciuto e che la sua diffusione fosse dovuta in buona misura all’egoismo dei padroni che si erano opposti alla chiusura della fabbriche. Questa tesi sembrava corroborata dai picchi di decessi avuti in alcune zone fortemente industrializzate, ma dimenticava di considerare che erano zone in cui si era avuta una precedente vaccinazione di massa contro l’influenza e la meningite, oltre a essere zone in cui l’ospedalizzazione della cura era già in stato avanzato, con gli ospedali che immancabilmente perseveravano nell’errore di intubare i malati credendoli affetti di polmonite, mentre erano affetti da micro-emboli che formavano tappi all’ossigeno insufflato e gli impedivano di raggiungere il sangue. I ciclo di lotte socialiste non si è avviato, alcune lotte di rivendicazione dei lavoratori essenziali ci sono, invece, effettivamente state, soprattutto negli Usa e in Italia, e qualche risultato è stato persino ottenuto, ma non si è innestato un ciclo generale di lotta né dei lavoratori essenziali, né di quelli inessenziali. Il blocco dell’economia è ovunque stato parziale ed ha fortemente penalizzato il piccolo capitale innescando un processo di ulteriore concentrazione e centralizzazione, tuttora in corso e destinato a rafforzarsi ulteriormente come delineato da Draghi nel documento stilato per il “gruppo dei trenta”. Distruzione del piccolo capitale, precarizzazione della condizione proletaria, disciplinamento sociale, preparano il terreno per una generale ristrutturazione che punta a rilanciare lo sfruttamento per risollevare il capitale occidentale dalla sua crisi dell’accumulazione (maturata ben prima della pandemia) e prepararlo allo scontro con i tentativi revisionistici dell’ordine mondiale che Cina e Russia sono costrette a portare avanti per cercare di prevenire crisi sociali al proprio interno.
Dopo aver condiviso la tesi della pandemia devastante (nonostante gli stessi numeri ufficiali dicessero il contrario: 3 milioni di decessi in un anno sono circa lo 0,4% della popolazione mondiale, più o meno come le influenze stagionali, e senza considerare il gonfiaggio dei decessi attribuiti al covid, da ultimo riconosciuto persino dall’Avvocatura dello Stato italiana!) e incurabile che si poteva affrontare solo col confinamento e il correlato blocco dell’economia, diventa ovviamente impossibile prendere le distanze dai vaccini e dare credito alle migliaia di medici che in tutto il mondo curano il Covid con rimedi già noti e persino poco costosi (figurarsi poi se una cosa del genere la sostengono i destrissimi Bolsonaro e Trump!). Dopo aver dato credito allo Stato nel suo prendersi cura del popolo (avendolo contestato solo per la sua incoerenza a non chiudere tutte le attività economiche) diventa difficile comprendere il ruolo di disciplinamento sociale e di preparazione alla tele-medicina del passaporto sanitario.
Che sia corretta ed esaustiva questa analisi, o che non lo sia, io credo che si tratta di una deriva da cui non è possibile tornare indietro, salvo riconoscere di aver sbagliato su tutto fin dal primo momento. Un’ammissione che forse qualche singolo compagno avrà il coraggio di fare, ma che non potrà essere fatta da alcuna piccola organizzazione, in quanto metterebbe a rischio la sua stessa esistenza. Lo si vede, peraltro, nel modo in cui si reagisce alle mobilitazioni di piazza contro il lasciapassare e l’obbligo vaccinale. Non induce dubbi neanche la constatazione che il grosso dei renitenti al vaccino e al lasciapassare si annidi in settori proletari e sotto-proletari, come negli stessi afro-americani, ossia in settori che hanno conosciuto (e conoscono) sulla propria pelle i tentativi di disciplinamento dello stato e il trattamento da cavie in sperimentazioni mediche. E, infatti, praticamente tutti i rivoluzionari e gli antagonisti si schierano in blocco contro le manifestazioni. Qualcuno cerca qualche ri-posizionamento sul solo lasciapassare, ma è un fuoco di paglia. Non puoi mettere davvero in discussione il lasciapassare se non metti in discussione il vaccino e non puoi mettere in discussione il vaccino se non riconosci che il Covid si può curare con normali farmaci e che, di conseguenza, tutta la narrativa ufficiale sul Covid faceva acqua da tutte le parti. Ma se riconosci tutto questo, allora ti devi chiedere perché i governi hanno adottato la stessa narrativa e gli stessi rimedi e sei, magari, costretto a riconoscere che è in atto un feroce attacco di classe che non prende sotto mira direttamente un aspetto economico. Inoltre, devi anche riconoscere che i governi più scatenati su narrativa e rimedi sono quelli dei paesi imperialisti (tutti occidentali) e quindi chiederti se non ci sia sotto anche un tentativo di difendere e rafforzare il dominio imperialistico sull’intero mondo.
Se abbiamo molti motivi di delusione (anche se, ribadisco di non stupirmene affatto e mi aspetto persino derive anche peggiori, come quelle che si preparano dietro certe letture revisioniste dell’imperialismo…) per la deriva così profonda del pur ridottissimo milieu rivoluzionario esistente, credo che possiamo avere motivi di conforto per le reazioni di piazza contro il lasciapassare e l’obbligo vaccinale. Non era affatto scontato che ci sarebbero state, ed è già un ottimo fatto che ci siano. Non credo che siamo già davanti a un movimento di lotta radicato e determinato (salvo forse in Francia), ma a primi tenui fermenti. Possiamo fare qualcosa? Io credo che possiamo provare a cercare di contribuire a farlo consolidare e a cercare di dare un contributo al sorgere di una tendenza più marcatamente classista al suo interno. Le due cose stanno, naturalmente, insieme. (…) Senza farsi illusioni che il nostro intervento possa, da solo, far emergere quella tendenza. Se non si creano condizioni oggettive per il suo sorgere, anche il più perfetto degli interventi non potrà sostituirle fittiziamente. Non siamo ai prodromi di un processo rivoluzionario, e credo che lasciarlo intendere rischia di preparare solo il terreno per nuove delusioni. Siamo, però, in un piccolo accadimento che rivela la potenzialità dell’affermarsi di una opposizione totale al rapporto di capitale, proprio nel momento in cui esso ha urgente bisogno di portare a compimento l’assoggettamento e il controllo totale della vita proletaria e della varia umanità non-proletaria cui non è più possibile erogare le antiche prebende.
A noi spetta, pur con forze sempre più ridotte, cercare di contribuire all’emergere di questa opposizione totale e al suo assumere connotati di classe. Ma, credo, che spetti anche non abbandonare il lato teorico delle questioni. Terreno, purtroppo, persino più complicato del primo, ma non meno urgente.
Nicola, 9 agosto 2021